Miniature di Marzo 2009

Ville Venete
Dal 2 al 4 aprile Porthos avrà uno stand a Villa Boschi, mentre il 5 e il 6 sarà a Villa Favorita. Tutti coloro che vorranno confrontarsi, acquistare i libri, prenotare L’Invenzione della Gioia (in uscita a fine giugno), o rinnovare l’’abbonamento, troveranno schierata la Ciurma, quasi al completo.
Anche quest’’anno, come lo scorso, abbiamo rinunciato a partecipare al Vinitaly, nonostante il taglio naturalista che l’’organizzazione e il marketing di Verona Fiere hanno voluto dare all’’edizione 2009. I motivi sono i soliti: il prezzo spropositato a fronte di spazi sempre più esigui, insufficienti servizi di base e scarsissima considerazione della diversità di esigenze: in altre parole, una politica organizzativa priva di qualsiasi progettualità. Ci rendiamo conto di perdere occasioni di vendita, ma ora non ce la sentiamo di investire in una manifestazione sempre più distante dalla natura del vino e del cibo la cifra che la partecipazione comporta: almeno 5000 euro, comprese anche le energie umane e materiali richieste per essere presenti.
Inoltre, non vogliamo assistere alla miracolosa conversione al vino bio preannunciata dalla maggior parte delle aziende che possono permettersi un ufficio stampa. Da poco più di un mese è partito un battage impressionante con inviti presso la fiera, o fuori, a cene e degustazioni collaterali, nelle quali la parola d’’ordine è “naturale”, declinata in varie forme, quali “senza solforosa”, “biodinamico”, “vinificazione del bianco sulle bucce” etc. Molte cantine, poi, si scoprono organic da sempre, peccato che, assaggiando i vini, nessuno se ne fosse mai accorto!
Quel che più dispiace è non poter incontrare i numerosi produttori bravi e seri, siano convenzionali o naturali, che continuano a prendere parte al Vinitaly: persone che mettono il cuore al di là dell’’ostacolo, dimostrando, attraverso i propri vini, di avere un alto senso di responsabilità verso il territorio che occupano. Ci auguriamo che vi siano altre occasioni per poterci confrontare con loro. Quello che è certo è che noi coltiviamo un interesse crescente per l’’universo enologico tutto, così da evitare che qualche interprete possa sentirsi sottovalutato a causa di un pregiudizio.
Non a caso, Porthos riesce a mantenere una grande severità anche verso la produzione naturale, soprattutto ora che tutti i vignaioli hanno a disposizione conoscenze e strumenti per evitare che il proprio vino si trasformi da liquido genuino in una bevanda sciatta e inaccettabile. Il nostro affetto per molti dei protagonisti di Vin Natur e di Vini Veri non va scambiato per supina approvazione di qualsiasi bottiglia ci venga sottoposta, solo perché “fatta senza metterci nulla”. Per meritarsi il vetro e un’’ampia diffusione che superi i confini della zona di produzione, un vino non può accontentarsi di essere sano, ma deve possedere contenuti che lo rendano interessante. Il prezzo incoraggiante di molte bottiglie naturali non può giustificare il pressapochismo con cui spesso vengono vendute e nemmeno far dimenticare che l’’invocata vitalità può significare anche fragilità e sensibilità ai problemi del trasporto e della conservazione.
Una cosa nella quale le Ville Venete sono imbattibili e che la dice lunga sulla strada che ‘l’intera produzione nazionale dovrebbe intraprendere, è la salute dei visitatori. Bastano poche ore al Vinitaly, qualche assaggio da produttori convenzionali e la giornata può venire segnata da mal di testa feroce e da stomaco in subbuglio. A Villa Boschi e a Villa Favorita i vini donano un tale senso di conforto e di benessere che l’’unico effetto collaterale è… il sorriso!

Vino mediatico
È difficile resistere alla tentazione di paragonare la cultura del vino a quella di altre forme d’arte, in particolare la musica, ma anche la pittura, il cinema e la scultura, nelle quali si fondono la qualità della “materia prima” e la bravura dell’’interprete, proprio come succede al liquido odoroso.
Questo passatempo è del tutto innocuo, fino a quando qualcuno non comincia a prenderlo sul serio. Ma non nel senso facilmente intuibile e ancora simpatico di «un Barolo impressionista contro uno espressionista» e altre amenità del genere, quanto piuttosto in quello della trasposizione del vino da bevanda capace di sollecitare i sensi e il nostro intero organismo, a prodotto virtuale, mediatico, completamente sganciato dalla sua stessa sostanza e dalla terra che lo ha generato. Non badate alle schede tecniche e al marketing di supporto (quanto odio questo termine), con i quali si cerca di esaltare l’originalità della bottiglia, la storica vocazione del produttore e i forti legami con il territorio. Sin da quelle righe si capisce che il vino mediatico non vuole scontentare nessuno, non ha mai un milligrammo di acidità fuori posto o un singolo tannino irrequieto: immobile dal primo impatto odoroso, è il campione della noia, un’’impeccabile sequenza di sensazioni prevedibili. Può essere molto corposo o altrettanto leggero, non importa: la sua impalpabilità e la totale mancanza di emotività lo rendono invisibile, impossibile da ricordare. In pochi anni, la tanto incoraggiata collaborazione tra produzione e consulenza al marketing, sia essa interna o esterna alle aziende, ha trasformato il vino in un’invenzione, un’’idea che segue una stagione o il particolare momento attraversato dalla nostra società. Proprio come accade alle manifestazioni più deteriori della nostra cultura –– pensate a musicisti mediocri che improvvisamente diventano depositari della classicità –– anche il vino perde la sua corporalità, per librare da una home page all’’altra e permettersi di esistere anche se non viene mai, realmente, bevuto.

Responsabilità, senso di
Tutto questo con buona pace di politici e amministratori che, in nome del “progresso” –– non dimenticate l’’esempio musicale di poco fa –– mandano giù stravolgimenti territoriali, modifiche di disciplinari e nascita di aziende ed etichette del tutto strumentali a una elementare opzione finanziaria.
Ma, se la classe politica è collusa con la produzione meno sana, chi dovrebbe vigilare per evitare che questi mostri mediatici si insinuino subdolamente nelle abitudini della persona consumatore? Un amico risponderebbe: «È ora che il consumatore si svegli e divenga veramente persona! Smetta di sentirsi vittima di un complotto ordito dalle multinazionali e dalle industrie alimentari e cominci a scegliere con una consapevolezza matura! Non occorre essere talebano o polpottista per acquistare senza cadere nel consumismo acritico e compulsivo. Una volta si poteva nascondere la propria pigrizia dietro la rarità di vini e cibi virtuosi; oggi la distribuzione ha fatto passi da gigante e, seppure resistano specialità di nicchia, la loro reperibilità è alla portata di chiunque voglia davvero assaggiarle. E non si può più farne soltanto una questione economica: le fiere dedicate al consumo consapevole dimostrano che c’è una via al prezzo giusto per chi acquista e al reddito onesto per chi produce».
Qual è il ruolo della stampa? L’’essere, contemporaneamente, controparte della produzione, vigilando perché questa non tradisca il proprio scopo, e del compratore, in modo che le mode vengano trattate come tali e non come una verità assoluta. Per fare questo è fondamentale non accettare soldi dalle aziende: non si possono organizzare degustazioni sotto forma di analisi serie dei vini realizzati dal produttore x, per poi proporgli di pubblicarle in una pagina intera o in una doppia, a seconda di quanto denaro è disposto a investire. Non si deve far pagare per assaggiare i vini, chiedendo poi una cifra aggiuntiva, magari raddoppiata, se si vuole che le schede siano accompagnate dall’’etichetta.