Miniature di Marzo 2012

Noi non ci saremo

È la comunicazione di servizio agli abbonati di Porthos e a coloro che seguono il nostro progetto didattico ed editoriale, molti dei quali abituati a incontrarci alle fiere dedicate ai vini naturali. Non avremo dunque uno stand, nonostante gli organizzatori di tutte e tre le principali manifestazioni, Cerea, Villa Favorita e Verona, si siano resi disponibili a ospitarci.

Se da un lato abbiamo poco di nuovo da offrire – l’Invenzione sta finendo e il numero 37 sarà pronto a fine giugno – dall’altro c’è da considerare il gravoso impegno economico richiesto per organizzare una spedizione capace di coprire tutte le postazioni. Dunque sarà il tempo di una pausa che aiuterà anche a riflettere sulla nostra missione di mediatori culturali. Evidentemente, a un certo punto, dopo aver contribuito a generare un movimento, emerge la necessità di fermarsi e vedere quello che si è fatto dedicandogli uno sguardo meno emozionato. Sento di voler lasciare spazio ad altri – sebbene non abbia alcun “potere” di veto, anzi… Vorrei incoraggiare la gente che si avvicina all’universo dei vini naturali a modificare il proprio approccio, a stupirsi della differenza accogliendola, senza voler capire a tutti i costi da cosa è composta. Le persone che vorranno incontrare me, per un breve saluto o per una chiacchierata, sappiano che da lunedì mattina fino a mercoledì alle 14 sarò al Vinitaly presso la struttura gestita dall’ERSA della Regione Friuli Venezia Giulia; per accordarci chi vorrà può scrivermi a sangiorgi@porthos.it.
Non sono il primo, né sarò l’ultimo, a usare il titolo della canzone più celebre dei Nomadi per riassumere la scelta di non esserci, tuttavia è talmente bella e significativa da valere, per una volta, il non tentare di essere originale.


Ricordi

Devo a Giuseppe Quintarelli la scoperta della Valpolicella e dell’Amarone. Mi rendo conto di non essere l’unico, ma l’occasione nella quale l’ho conosciuto con la sua famiglia mi rimarrà impressa nella memoria come poche esperienze vissute da sommelier ed enofilo. Le ho riservato l’articolo introduttivo al più celebre dei vini veronesi su Porthos 18-19; chi ha voglia di leggerla può andare qui. A quasi 33 anni di distanza, di quella giornata d’inizio autunno mi rimane forte l’impressione di umanità di un vignaiolo schivo quanto scaltro, esemplare nel suo ruolo di “sussurratore” alle viti e coraggioso nell’esplorare soluzioni viticole ed enologiche inconsuete se non addirittura rivoluzionarie, tanto erano vicine alle pratiche dei contadini e lontane dalla convenzione industriale. Era la Valpolicella degli anni settanta, una zona dominata da grandi cantine che stavano entrando in crisi, la famiglia Quintarelli non contava su enormi ricchezze, se non quella che molti di noi, appassionati ricercatori, hanno avuto la fortuna di provare: la generosità felice, quella senza calcoli né aspettative.
Un altro ricordo di Giuseppe risale al 21 gennaio del 1996. Si tratta di un’immagine semplice, un’istantanea. Avevo ricevuto l’incarico di organizzare un gemellaggio tra i rampanti produttori delle Langhe, riuniti nell’associazione “Langa in”, e i più innovativi tra i rappresentanti del Consorzio della Valpolicella. Tra le visite programmate non poteva mancare quella a Quintarelli, che intanto era diventato un punto di riferimento assoluto e le sue bottiglie venivano pagate cifre inimmaginabili solo cinque anni prima, prezzi irraggiungibili per un vino italiano. Giunsi da lui prima degli altri, del resto in qualità di responsabile della Guida ai vini d’Italia per il Veneto mi era capitato di visitarlo spesso e di aver condiviso assaggi indimenticabili. Volevo preparare l’accoglienza insieme alla sua famiglia. Ebbene, lo trovai mentre spazzava l’interno dell’ingresso della cantina; muoveva la scopa come fosse sopra pensiero, meccanicamente. Era solo. Forse non stava vivendo la sua migliore giornata, o forse non aveva voglia della visita, in fondo era domenica mattina. Appena entrato lo vidi alzare la testa, mi guardò come se avesse visto uno sconosciuto: il tempo passato da quel pomeriggio del 1979 si era portato via letizia e magnanimità.
Giuseppe Quintarelli è morto il 15 gennaio di quest’anno.


La figura del sommelier – prima parte

Vi prego di considerare questa miniatura come un appello: che le mie parole siano usate come contributo a una questione cara a tutti gli enofili italiani. Avrò bisogno di alcune “puntate” per affrontare in maniera adeguata il tema e sviluppare i legami con le diverse parti del multiforme universo enogastronomico. Sono consapevole della complessità che coinvolge l’educazione alberghiera, la ristorazione nelle sue varie forme, l’attività didattica perseguita dalle associazioni dei sommelier, per non parlare dei cittadini consumatori i quali, attraverso il loro potere discriminante, possono incoraggiare la crescita di sensibilità degli addetti e il generale progresso culturale.
Parto dal primo compito del sommelier, il servizio, che è diventato uno dei punti più vulnerabili della formazione professionale. Quando cominciai a frequentare i corsi dell’Associazione Italiana Sommelier, ricordo bene che la gran parte dei miei colleghi apparteneva già al mondo professionale, mentre chi seguiva il vino solo per diletto era una minoranza, gli “aderenti”. La mia categoria – a quel tempo lavoravo in un ristorante – era divisa in due: gli “aspiranti”, che frequentavano i corsi, e i “professionisti”, che avevano completato i tre corsi e superato l’esame finale. Sono passati molti anni e non conosco nel dettaglio i programmi attuali, tuttavia mi confronto quotidianamente sia frequentando vinerie, ristoranti, osterie ed enoteche, sia conversando con gli alunni e le alunne di “Porthos racconta…” che non di rado provengono dall’AIS e dalle altre associazioni. È più di un’impressione superficiale, potrei definirla quasi una certezza: lo spostamento del pubblico dei corsi da una base essenzialmente professionale a una base di dilettanti – uso questo termine nel senso più alto della sua etimologia – ha allentato fortemente l’insegnamento del servizio, limitandolo quasi esclusivamente all’apertura della bottiglia. E non importa che nei titoli delle lezioni siano enunciati i principi che regolano l’attività del sommelier, alla fine si tratta di nozioni, si rimane in superficie e non si motivano le persone a concentrarsi su un aspetto decisivo: l’uso del vino. Tale deriva ha coinvolto anche i professionisti che hanno perso confidenza con la pratica e danno la sensazione che la bottiglia, il suo contenuto e ciò che li accompagna siano degli estranei. È sufficiente osservare al lavoro camerieri incaricati del servizio del vino, o addirittura gli stessi proprietari dei locali, per non parlare di chi si mostra in tv vestito di tutto punto o si fa ascoltare alla radio millantando competenze, tutti protagonisti di errori gravi e pronti a scusarsi, chi per la mancanza di tempo o perché le bottiglie sono arrivate il giorno prima, chi perché non c’è cultura e la “gente” comunque non capisce, oppure, ancora peggio, chi certi lavori, quelli con le mani, proprio non li sa fare. Sono gli stessi che, per esempio, prima di versare un vino avvinano i bicchieri, perché insicuri della pulizia dei calici, e magari non rispettano le più elementari indicazioni sulla temperatura. Pronti ad aprire una bottiglia ore prima o a versarla nella caraffa, per caricare d’importanza e nascondere la propria ignoranza, ma incapaci di organizzare una minima carta dei vini del giorno, in modo che alcune tipologie, magari adatte ai piatti in menu, siano tirate su dalla cantina e rese disponibili senza doversi inventare abbattitori, incauti passaggi al caldo, etc. Dunque, possiamo cominciare da qui: riprendere il servizio del vino, compreso tutto ciò che riguarda il trasporto, la conservazione, l’esposizione e il dopo apertura della bottiglia, e rimetterlo al centro dell’attività del sommelier, invece che adoperare giorni di lezione per spiegare il grafico dell’accostamento tra cibo e vino col metodo Mercadini.
Ma questo, come altri, sarà parte delle prossime puntate.