Miniature di Settembre 2006

Abbiamo scelto di condividere la campagna per il sostegno del quotidiano Il Manifesto, attraverso un banner su www.porthos.it. Era in programma di tenerlo per un mese, siamo arrivati a un paio. 

Il Manifesto
Abbiamo scelto di condividere la campagna per il sostegno del quotidiano Il Manifesto, attraverso un banner su www.porthos.it. Era in programma di tenerlo per un mese, siamo arrivati a un paio. Questa scelta ha scatenato la reazione di alcuni frequentatori del sito di Porthos che, non amando il quotidiano comunista, hanno pensato a un nostro eccessivo coinvolgimento. A questo punto è utile una spiegazione, che mi scuso di non aver presentato a tempo debito.
A noi non importa esprimere attraverso la rivista e il sito il nostro orientamento, non ce ne vergogniamo, tutt’altro, ma non fa parte delle nostre abitudini dire per chi votiamo. Il Manifesto merita sostegno per la sua capacità di essere indipendente, una dote rarissima di questi tempi. Personalmente amo gli scritti di alcuni giornalisti, come Loris Campetti, altri mi convincono di meno, non posso non sorridere amaro alle vignette di Vauro, talvolta davvero dure da sopportare, ma questo non incide minimamente con la scelta di mettere il banner. Anche se rimanesse con solo quattro fogli farei l’abbonamento al Manifesto, anche se su tre di questi ci fossero articoli non completamente condivisibili, farei l’abbonamento. E’ una scelta di libertà.
Sottoscrivere un impegno con un progetto editoriale non significa trovare sempre le proprie ragioni accolte, talvolta è difficile avere il tempo per leggere tutto: un abbonamento o una campagna di promozione appartengono ai doveri di una persona consapevole.

Guido Sobrio
Gerardo Grego è un sostenitore di Porthos, frequentatore dei corsi di “Porthos racconta…” e rappresentante di vini per la provincia di Verona. Ha avuto un’idea per sensibilizzare l’attenzione verso l’eccesso di consumo di bevande alcoliche, in particolare quello delle persone che viaggiano. Si tratta di premiare la persona che accompagna un gruppo di amici al ristorante o in un locale e non beve, così da riportare a casa tutti sani e salvi. Tale pratica è da tempo diffusa in molti paesi, ma a nessuno era venuto in mente di premiare l’amico morigerato.
Come si legge nel progetto presentato a tutte le istituzioni coinvolte ed entusiaste dell’iniziativa, tra cui la Polizia stradale e i Carabinieri, il 30% degli incidenti avviene a causa di guida in stato di ebbrezza. E’ bene quindi muoversi, coltivare una cultura del consumo consapevole che prenda in esame il senso del limite.
Il primo regalo venuto in mente è stata una bottiglia di vino, accompagnata da un biglietto che invitava l’autista ad aprirla a casa propria. Ebbene, c’è stata una levata di scudi che lo stesso Gerardo non si sarebbe aspettato. Tutti hanno detto di no al vino, sostenendo che, se da un lato si proibisce, dall’altro si fa un invito esplicito comunicando un segnale poco chiaro.
Proviamo a capire. Le istituzioni si comportano tutte nello stesso modo quando si tratta di affrontare il vino nella sua idea di consumo: stanno a grande distanza, non ne vogliono sentir parlare. Le emittenti radiofoniche e televisive, per esempio, non trattano di vino o di altri alcolici – salvo casi eccezionali – prima delle 12, un esempio di quella fobia proibizionista che abbraccia molti dei piaceri della vita. Salvo poi lasciar passare la pubblicità che si permette qualsiasi cosa, a qualsiasi ora.
Come spesso accade mancano il racconto e la spiegazione, che invece sono determinanti per evitare di trasmettere solo la paura dell’argomento di cui si discute. Il vino è una bevanda preziosa, educativa, conoscerlo meglio vuol dire approfondirne anche gli aspetti negativi. Ciò non basta a risolvere la questione delicata dell’alcolismo, le cui risposte vanno cercate sia attraverso un’analisi sociologica sia con l’aiuto di un approccio individuale e psicologico, ma certamente può aiutare chi si avvicina al vino a vederlo nella giusta luce.
Tornando all’iniziativa di Gerardo, ora si cerca un regalo alternativo; si parla di un cavatappi. A riprova che la società in cui viviamo preferisce il guardare al fare, lo strumento al soggetto.

L’amore per il fare
A proposito del ruolo educativo del vino vorrei esprimere qualcosa più di una sensazione. Mi sembra che gli ultimi anni abbiano visto il diffondersi di un atteggiamento sempre meno affettuoso nei confronti del lavoro che si fa. Ora, per evitare di apparire nostalgico e passatista, mi sono confrontato con alcuni amici e molti hanno condiviso la mia impressione. Qualcuno di loro sostiene che sono stato abituato bene e sono anche ingenuo, perché non si ricorda persone che mettono amore nel proprio lavoro; al massimo accetta l’idea che un tempo ci fosse un più alto senso del dovere.
Io non credo che sia solo questo. Nelle ultime settimane sono stato impegnato in viaggi e incontri, in preparazione dei prossimi numeri di Porthos. Uno degli argomenti emerso naturalmente è la perdita del concetto “del fare”, come gesto proprio, che appartiene alla persona: è diffusa la percezione che il lavoro non debba incontrare la nostra intimità e la nostra essenza. L’atteggiamento comune che scaturisce da questa ricerca di distanza è che quello che si fa non è mai l’opzione migliore, c’è sempre qualcos’altro di meglio che si sarebbe potuto fare se la vita fosse stata più generosa.
Il vino e la vita agricola in genere consegnano un’idea del fare molto vicina alla sua piena realizzazione; lo dimostra il fatto che chi ci è passato, chi ha avuto un’esperienza temporanea, oggi prova e comunica un vero amore per quello che fa, qualsiasi cosa sia.