Omaggio a Pino Ratto

Pino ci attende nel cortile di casa; nel silenzio profondo di questi luoghi, la macchina lo ha avvertito del nostro arrivo, ma guardandolo mentre saluta con gesto benedicente sembra che sia lì da una vita intera.

Il viaggio per Ovada è costellato dalle prime brume autunnali. Recuperati Aldo e Giovanni, dirigiamo verso Rocca Grimalda, abbandonando ben presto la strada principale in direzione della località San Lorenzo, cascina Gli Scarsi e Le Olive.
Pino ci attende nel cortile di casa; nel silenzio profondo di questi luoghi, la macchina lo ha avvertito del nostro arrivo, ma guardandolo mentre saluta con gesto benedicente sembra che sia lì da una vita intera. La berretta di lana blu gli dona un aspetto ieratico, antico sacerdote di un luogo sacro.
I brevi saluti privi di convenevoli anticipano il carattere dell’uomo. Una mano dolorante accentua la sofferenza, non solo fisica, che Pino cerca di nascondere ma che invade l’aria come l’urlo arrabbiato del cane Bibo, custode di un luogo fuori dal mondo.
La malinconia scompare immediatamente appena entriamo in cantina, ventre materno di un corpo segnato dagli anni.
Solo botti piccole, barrique; da una di queste Pino trae un vino che c’invita a scoprire. L’aggressività animale del profumo, l’acidità sopra le righe e il gusto asciutto e amarognolo me lo fanno riconoscere come barbera: infatti, è quella che Pino acquista da un vicino per poi trasformarla in vino. Annata 2004.
Assaggiamo poi il Dolcetto Le Olive 2007, sempre dalla botte. Gli Scarsi, perchè poco produttivo e Le Olive per qualche pianta d’olivo, sono due vigneti adiacenti. Il primo fu acquistato dal padre, affinatore di formaggi in Ovada, per un investimento. Alla fine degli anni ‘60 Pino, classe 1935, dopo una vita dietro il pallone, la musica e le donne, fu costretto dal padre, con il ricatto di venderlo, ad occuparsi di questo terreno. Le Olive vennero in seguito. Nonostante la vicinanza, i due luoghi esprimono due vini diversi: la stessa misura che unisce e divide Barolo e Barbaresco. Più maschile il primo, più femminile il secondo. Pino ci racconta del padre, dei figli, delle tante donne avute, dei tanti amici che non ci sono più. Ci parla di Gino Veronelli, amico fraterno, dei suoi ultimi giorni e di quando Pino lo raggiunse in ospedale con due bottiglie del suo vino per un ultimo bicchiere, ma ormai per Gino era finita e di come quelle bottiglie rimasero un fiore non colto, del vagare disperato per una Bergamo bella e in quel momento cattiva.
La coerenza costa cara: spesso non basta il denaro a pagarla ma pretende sangue e solitudine.
Pino ci porta a pranzo al Ristorante Da Pietro, nel centro storico di Ovada. Assaggiamo Le Olive 2006 e Gli scarsi 2004 che Pino aveva fatto aprire fin dalla mattina. A tavola, chiacchierando come tra vecchi amici, in abbinamento ai piatti della tradizione piemontese: cacciatorino tagliato con il coltello, battuta di carne cruda, agnolotti al sugo di arrosto di vitello e fritto misto piemontese.
Giudico il vino attraverso l’uomo e questi vini mi commuovono.
Compare magica e misteriosa anche una bottiglia di Champagne (Clos des Goisses di Philipponnat millesimo 1983) che Aldo ci ha donato per suggellare l’incontro.
Mi piace molto e piace anche a Pino; ritorna la malinconia, appena stemperata dal Moscato Passito che dopo il pranzo Pino ci offre a casa sua, prelevandolo direttamente dalla vasca. Suonano note di jazz, registrazione di una sua vecchia performance francese. Le mani di Pino segnano il ritmo, gli occhi gli brillano, i miei s’inumidiscono forse per il vino o forse per la nebbia che torna ad invadere queste colline.
Pino ci racconta dei suoi progetti futuri; vuole diradare un po’ del bosco che ha invaso gli antichi vigneti e piantare altre barbatelle che ha scelto con selezione massale. Ci vogliono almeno 15 varietà delle centinaia di cloni diversi per fare un buon Dolcetto.
E poi ristrutturare la casa, ampliare la cantina sulle antiche fondamenta romane, tutto con l’entusiasmo del ragazzino.
Sono quasi le cinque del pomeriggio, Pino non vorrebbe che andassimo via, salutiamo con una carezza Bibo e con una lacrima Giuseppe Ratto.