18 Apr Seminario sul matrimonio tra cibo e vino, prima lezione: le assonanze
Comincio questo breve resoconto con un messaggio ricevuto da un partecipante, Carlo Giuliano, la mattina dopo la prima lezione: «Le sensazioni provate ieri sera sono in modalità repeat sul giradischi della memoria del mio palato e devo dire che sono molto affascinanti anche rispetto alle contrapposizioni ben riuscite. Soprattutto la lieve sovrapposizione provata praticamente in tutti e tre i casi paradossalmente fa ricordare meglio i cibi, anche oltre i matrimoni migliori. In questo caso è un vero e proprio sacrificio da parte del vino».
Uno scampo a Navelli
Ceci di Navelli/ scampo arrosto/
rosmarino disidratato/ zeste di limone Costa d’Amalfi.
Spumante Metodo Classico Rosé 2004, sboccatura 2012, Casa Caterina (Erbusco)
Ce lo aspettavamo più arrendevole, già incline all’ossidazione, invece si è presentato con una tensione odorosa che ha lasciato presagire uno sviluppo gustativo dinamico e incisivo.
Pecorino 2013 Emidio Pepe (Torano Nuovo)
Lento a scoprirsi, ha rivelato la sua unità proprio nel passaggio naso-bocca, quando la natura morbida e alcolica ha retto bene l’impatto dell’acidità.
L’accostamento presentava la necessità di proteggere lo scampo e di fondere insieme la sua polpa morbida con la crema di ceci, nella quale peraltro lo chef aveva lasciato diversi legumi interi; il confronto ha premiato il Pecorino, che in quell’annata ha rivelato una duttilità non immaginabile in altri millesimi, per il suo modo graduale d’impossessarsi del palato, così da far vivere tutti gli aromi, e per la chiusura con un pizzico di amaricante. Lo Spumante non ha sfigurato, tuttavia i suoi tempi più perentori mal si accordavano con quelli del cibo.
La Genovese d’Abruzzo
Fettuccelle di grano Saragolla integrale fatte a mano/ stracotto di vitellone Bianco dell’Appennino centrale/ cipolla dorata e carote dell’altopiano del Fucino/ formaggio stagionato di mucca di Scanno di Gregorio Rotolo/ un pizzico di zafferano di Navelli/ peperoncino Pomarius/ trebbiano d’Abruzzo/ maggiorana.
Syrah 2013 Stefano Amerighi (Cortona)
Lineare e compatto, si è mostrato subito donando l’attesa speziatura, per poi continuare in bocca col suo tono sicuro e accondiscendente, come se sapesse già i confini del suo compito.
Conte Bianco 2006 Sacrafamilia (Godiasco Terme)
Ottenuto con Riesling, questo bianco dell’Oltrepò ha il dono dell’imprevedibilità, sia per come consegna il suo bouquet di fiori e agrumi, sia per l’articolazione del sapore, un equilibrio apparentemente fragile eppure così saldo.
È stato il confronto più discusso, a taluni non è andato bene nessuno dei due vini, problemi di “misura”,
qualcuno li ha amati entrambi per la loro complementarietà, uno dietro l’altro… L’esperienza è stata utile per comprendere il concetto d’illuminazione del cibo da parte del vino: il Syrah si è concentrato sulla densità dell’incontro tra la pasta all’uovo e la carne ormai sfaldata, facendo pulizia ma senza strafare, così da rilanciare sempre il desiderio; il Conte Bianco ha invece seguito la traccia del cibo e ha espresso un accostamento di assonanza da manuale, senza lasciare in eredità sensazioni stucchevoli.
La pollastrella
Pollastrella ruspante in doppia cottura (62°C 12 ore, finitura casseruola)/ patate Agria dell’orto di Mammaròssa/
timo di montagna.
Chardonnay del Collio 2001 Dario Princic (Oslavia)
Uno dei due campioni aveva un tappo non a posto, ciononostante il vino ha saputo difendersi; la bottiglia sana è stata un’esperienza surreale, perché si sono incrociate la vena rustica della macerazione con l’anima gentile della varietà borgognona.
Brunello di Montalcino 2003 Il Paradiso di Manfredi (Montalcino)
Attraverso i vini del Paradiso ho imparato come il liquido odoroso possa permettersi nella vita una vera sinusoide fatta di giornate più serene e aperte e giornate di completa inespressività e chiusura; questo 2003 era in uno stato di grazia riassumendo il concetto di eleganza applicato al Sangiovese, forse non così aristocratico, e per questo ancora più irresistibile.
Lo Chardonnay ha fatto la sua parte, agendo con delicatezza sulla pelle croccante e dando alla fibra della carne lo spazio per esprimere la qualità della cottura; il Brunello invece ha fatto suo l’insieme, patate comprese, e l’ha fatto diventare parte di sé, generando una nuova sensazione nella quale non era più così importante chi e quanto prevalesse, è stato un passare magico che poteva continuare all’infinito.
Il Moscato della Torre 2010 Marabino (Noto) ha accompagnato i tozzetti alle mandorle di Mammaròssa.