Venditori e consumatori

Sempre di più si ritiene necessario lasciare ai consumatori, le persone-consumatori, la responsabilità della scelta. Si dice: «evitiamo dichiarazioni, protocolli, indicazioni particolari in etichetta, tanto saranno loro a scegliere, una volta formatasi un’opinione». I canali sono diversi: corsi, degustazioni guidate, assaggi liberi agli eventi nei quali sono presenti i produttori con i loro vini, oppure visite in cantina. A tale quadro promettente sfugge che solo un numero esiguo di persone si dedica a queste attività e non soltanto per pigrizia, mancanza di soldi o perché troppo impegnate in altri campi, a cominciare dal proprio lavoro. Diventa fondamentale, quindi, la figura del venditore – enotecaro innanzitutto, ma anche ristoratore, oste, gestore di wine bar – che non può essere sostituita dall’acquisto sul web e neanche da un consulente online. Negli ultimi anni, questo indispensabile intermediario ha perso la sua centralità, non tanto per la concorrenza di altri strumenti di acquisto, quanto per l’incapacità degli operatori di prepararsi adeguatamente. L’incompetenza degli interlocutori, che invece dovrebbero essere pronti a rispondere alle osservazioni dei loro clienti, è uno storico problema nazionale. Ristoratori, che hanno poca voglia di impegnare il loro tempo per seguire il vino, considerato talvolta un peso e talaltra un mezzo per ottenere incassi consistenti – basti pensare ai ricarichi eccessivi su bottiglie dal costo risibile; professionisti, che si fanno compilare la carta dei vini dai rappresentanti, presentando all’avventore una selezione “monocolore”, o da altri soggetti del settore enogastronomico (giornalisti, sommelier e consulenti) che selezionano secondo la propria sensibilità, non considerando quella di chi porterà i vini in tavola. I gestori di enoteche hanno altri problemi: il vino venduto attraverso l’asporto è in crisi, vanno solo alcune tipologie e spesso a prezzi stracciati; se non ci fosse la mescita, utile all’assaggio, diversi prodotti nobili non si muoverebbero dallo scaffale. Tuttavia, anche gli enotecari sono meno inclini che in passato a ricercare i vini, si accontentano di una distribuzione accessibile, preferiscono acquistare da rappresentanti e aziende che propongono pagamenti dilazionati, fino a un anno dalla data di fatturazione. Sempre più di frequente, infine, al momento di ordinare ci troviamo di fronte a persone che vengono mandate allo sbaraglio senza preparazione.

Per avere indicazioni utili a orientarsi, la persona consumatore fa bene allora a rivolgersi alla produzione, così da sollecitare una maggiore trasparenza a partire dalle etichette – non dimentichiamo che, rispetto ad altri settori alimentari, il vino è ancora il porto franco della manipolazione non dichiarata. Ciononostante, finché la bottiglia non è aperta, sarà difficile raggiungere un responso credibile sull’acquisto. Ricordate il carosello della Arrigoni degli anni settanta? La signora estenuava il salumiere chiedendo assaggi di tutto perché l’unico prodotto che comprava a scatola chiusa era, appunto, Arrigoni. Ebbene, ciò non significa dover aprire ogni bottiglia, anzi la nostra riflessione vuole invitare il venditore ad accollarsi ulteriori responsabilità nell’indirizzare la scelta, nel confrontarsi in modo costruttivo e duraturo col suo cliente. E la persona consumatore deve pretenderlo, invece di inseguire informazioni più “sexy” ma del tutto marginali: se il venditore non sa spiegare il prezzo di un vino, se non conosce le persone che stanno dietro una bottiglia o una sigla, se non è in grado di suggerire un accostamento, bisogna scegliere un’enoteca diversa. L’enotecaro o il ristoratore deve guardare al profitto e su questo nessuno può intromettersi, neanche a livello teorico, ma se non sa cosa vende, cosa c’è dentro le bottiglie che ha acquistato…

Preoccupa anche la linea delle associazioni di categoria: si lamentano della crisi, ma fanno poco per la formazione dei soci e dei loro dipendenti. Se nei periodi di grassa era sufficiente alzare il telefono e lavorare, oggi, che le cose marciano con lentezza, ci vorrebbe uno scatto d’orgoglio per ritrovare la forza di distinguersi non solo per i prezzi bassi.

Naturalmente, ci sono encomiabili eccezioni: gestori che dopo anni di lavoro conservano la voglia d’imparare e la curiosità dei primordi – allora non era facile avere notizie e alcuni agricoltori non avevano neanche il telefono. Ancora oggi, quando pensi di essere il primo a scoprire un produttore, te li ritrovi in cantina, magari lo vendono già da un paio d’anni e ti senti un parvenu. Ci sono uomini e donne del settore sempre in grado di stupirsi, di mettersi in discussione e di cambiare idea; persone per le quali libri, riviste e guide sono una palestra e non il vangelo.

È apprezzabile, infine, il comportamento del proprietario del ristorante che affida al sommelier la gestione della cantina, della carta dei vini e del servizio, a patto di stabilire un confronto costante per evitare che il vino diventi estraneo alla linea di cucina. Non di rado il gusto per il vino bevuto da solo prevale, infatti, sulla sua efficacia nella relazione con il cibo, al punto da non riuscire a trovare nei ristoranti di pesce un bianco delicato adatto alle crudità.