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20 luglio – Giulio e Didier, espressioni di montagna

Da qualche anno la linea Torino-Aosta si è frantumata così come tante altre linee che sono state spezzate, limitate e soppresse; la Milano-Venezia, la linea notturna che scendeva nel meridione, eccetera eccetera eccetera. Si è lasciata via libera e preferenziale alle frecce nazionali, la bianca, la rossa e la freccia argento. Chissà se all′inizio quelli delle ferrovie pensavano a paragonare i treni agli aerei e abbiano dimenticato e confuso il terzo colore della bandiera. Niente alta velocità per quest′anno, al massimo un Intercity notte da Roma a Messina. AV rappresentava per me il tasto che ero solito vedere da bambino sul telecomando del videoregistratore. Sì, ammetto di averlo preso anch′io un treno ad alta velocità quando c′era un offertona meno costosa dell′interregionale, ma per questo progetto ho scelto la calma e la pazienza e in cambio ho ricevuto tempo. Un tempo per leggere, un tempo per conoscere e parlare, per stare con altri viaggiatori, per guardare le stazioni passare e sincerarmi di ciò che le separa, per scrivere articoli e per dormire.

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Dicevamo che per arrivare ad Aosta bisogna prepararsi ad una serie di cambi. Per chi come me parte dalla stazione di Brescia i cambi arrivano a Milano, Chivasso e Ivrea.    
I passeggeri che scendono dal treno partito da Chivasso potrebbero trovare lungo lo stesso binario, verso nord, il rumore di una locomotiva alimentata a gasolio, la puzza del combustibile, il piccolo definitivo pezzo a due vagoni che avrà il compito di distendersi e arrampicarsi risalendo la valle che punta alle Alpi occidentali.
Poco dopo Ivrea, sulla destra, compare alla fine di una galleria la parte bassa della Valle, Pont e Donnas, e lassù, attaccati alle pareti della montagna, i vigneti di Nebbiolo, i primi tetti di lose, le prime fortificazioni, le postazioni d′avvistamento. Montjovet, Châtillon, Nus, Fenis, balle di fieno e qualche mucca che non ha avuto la sorte di salire verso i verdi pascoli d′alpeggio.
La Media Valle ora si è aperta e allargata ed è il momento di scendere al capolinea di Aosta fiancheggiato per un lungo tratto dalle costruzioni e dalle ciminiere dell′acciaieria Cogne. Didier mi aspetta sul retro della stazione. Lo vedo appoggiato all′auto sotto un cielo ormai tramontato che tende a scurirsi.
E saliamo verso Aymavilles e ancora più su verso i mille metri di quota nella frazione di Ozein dove l′aria dell′estate si mantiene fresca, da una parte la vetta del Bianco e dall′altra il vertice della Grivola. Un piccolo gruppo di vecchie case di legno tra le quali l′abitazione della famiglia Gerbelle, prati e orti di montagna. A tavola due bottiglie di rosso 2013.

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Il Peque-Na! (perché no!) fatto di Cornalin, Fumin e Premetta appassita che ha il compito di far rifermentare il vino e l′Aîné dal vecchio vitigno di Neret fatto rinascere da poco da Didier dopo un silenzio di quasi cento anni e dedicato, come dice il nome, al primo genito. 
Qui ci trovo tutte le caratteristiche della Valle d′Aosta, mi dice Didier mentre beviamo il Neret sul balcone che guarda il monte più alto d′Italia.
Qualche anno prima l′avevo visto crescere il vigneto del Neret di fronte al castello di Aymavilles, le piante ancora giovani che si preparavano a dare i frutti per la prima vendemmia. Allora Didier camminava per i filari ed aveva in braccio Christophe che era piccolo piccolo, mentre ora lo guardo già grande, dal balcone, seduto a tavola e imboccato dalla madre. Bevo e sento nel bere le montagne che girano intorno, che sono lì ferme e attendono le fatiche di chi le vuole raggiungere e il vino mi dà una tensione diritta, tesa, sottile come una fune, un semplice stare in una posizione precisa senza vertigini e possibili cadute o perdite di equilibrio. È già un prologo alle future scalate, un nutrimento geografico che scalda i muscoli di uno stanco camminatore e rinfresca la mente di chi ancora vede lontano il rifugio.
È così, del resto, che si arriva da queste parti. Il punto di arrivo sembra sempre vicino, è lì davanti che lo puoi quasi toccare. Poi, dopo pochi passi, scompare e poi riappare ancora e passano minuti e i minuti si fanno ore e lui sembra sempre lì ad aspettarti finché quando nemmeno ci pensi più eccola la vetta, il rifugio, il bivacco.
Forse la gente di queste montagne è questa fatica, per raggiungerle e toccarle deve passare del tempo. Ci giri intorno a cercare una via d′accesso e un giorno, dopo che ne hai fatti di giri, te li trovi davanti con tutta la loro generosità e accoglienza.
Mangiamo che le montagne sono buie e si confondono con la notte. 
Domani all′alba scendo nel vigneto in paese che stiamo finendo di rifare un muretto, se vuoi scendi in cantina verso le 8 che arriva Fabian, potete andare insieme a cimare i vigneti del Petit Rouge.
Direi di sì. Poi dopo pranzo scendo a Quart che mi aspetta Giulio.
Prendi pure il furgone così ci raggiungi a casa quando hai finito.            
Grazie.
Alissia accompagna Christophe a dormire, un ultimo bicchiere e scendo anch′io lungo le scale di legno. Un alto pieno di stelle e un′aria fresca da respirare.
La notte è silenzio e una luce che si stende sul risveglio di fronte al letto. In mezzo ai vetri della finestra un prolungamento di sole che sbatte sulle rocce e sulla neve delle montagne. Mi affaccio a guardare il versante italiano del Bianco bagnato da una pennellata di arancio che si fa man mano più intensa.

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Scendo con Alissia e il figlio nella cantina di Aymavilles dove già aspetta Fabian e il lavoro di cimatura.
Qualche grappolo di uva sta già cambiando colore, invaia e tra gli acini verdi qualcosa tra l′arancio e il violetto.

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Camminiamo velocemente lungo i filari dove la cimatrice non è riuscita a compiere l′intero lavoro ed ha lasciato alcuni tralci penzolare in basso, un colpo di cesoia deciso e via così, io da una parte e Fabian dall′altra per tutto il vigneto da sistemare.
Il caldo si sente ma l′assenza di umidità lo rende sopportabile e i colori e gli orizzonti fanno il resto.
Chissà come se la sta cavando Didier con le pietre del muretto?
Noi parliamo di montagna e di sentieri e fatica mentre i grappoli maturano all′ombra delle foglie senza correre, con respiro costante.
Un piatto di pasta e una birra all′enosteria del paese e scendo la valle verso Aosta e lungo il fiume a Quart. Giulio l′avevo conosciuto a novembre durante il piccolo convegno organizzato da Didier per la presentazione del Neret dove si è parlato della riscoperta del vitigno dei vecchi vigneti della Valle e delle sue caratteristiche e alla fine si è anche bevuto quel vino le cui radici Giulio Moriondo e Rudy Sandi, appassionati ampelografi e ricercatori pedologici, avevano rintracciato.
La figura asciutta ed alta, i capelli ricci, una polo verde scura mi aspettano sotto l′arco di pietra di una casa sotto la chiesetta di Quart. 
In cortile Giulio mi mostra un primo filare di viti.
Questo è Petit Blanc, vedi le foglie?
In pochi secondi ci organizziamo sul da farsi e carico l′attrezzatura sulla sua auto.
Ora andiamo verso le Plantaz dove ho messo a dimora alcune piante di Fumin e Cornalin. Il vigneto è un po′ sparso ma vedrai che è poca roba, ci lavoro quando finisco di fare l′insegnante a scuola.
Ci fermiamo su di una stradina in salita di fronte ad una fontana.

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Qui c′è scritto acqua non potabile ma io l′ho sempre bevuta ed è buona.
Ci rinfreschiamo la testa e riempiamo la bottiglia poi riprendiamo a salire.
Eccoci arrivati. Da qui nasce il Balteo, siamo nel comune di Nus in una piccola valletta scavata dalla Dora Baltea. Il terreno è per l′80% sabbia e il 20% limo. Sono tutte piante che ho selezionato durante il mio lavoro all′Institut mentre dovevo riconoscere e classificare i vecchi vigneti della Valle. 

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Stare con Giulio è stare con parole che viaggiano nel vento forte che inesorabile e continuo trova valichi e fessure dove farsi sentire, tra i tralci cresciuti e le foglie che fanno ombra e proteggono il grappolo dal sole; con i gesti delicati che muovono la vegetazione e mostrano soddisfatti e felici i risultati di un lavoro minuzioso fatto con il tempo fisico del corpo di un uomo. Sono tra le pagine di un libro che non smette di raccontare la vita e nei pressi di un fiume che incessante porta in basso i detriti e le sostanze dei ghiacciai. Sono incantato e incalzato dai movimenti, dalle mani che indicano e da una voce che dice senza chiedere. Accanto alle piante stanno le rocce che affiorano dalla terra.

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Questa è una varietà che ho scoperto a Châtillon, non è un vitigno valdostano, tuttavia, è una varietà che mi piace molto e che sento mia.
È il Nebbiolino, un Nebbiolo a bacca grigia, guarda che bellezza di pianta!
E l′erba che è cresciuta tra i filari è una meraviglia. 
Seduto davanti ai grappoli che stanno invaiando pare un bambino.

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Risaliamo fino all′auto e ci spostiamo verso altri pezzi di vigna. 
Queste sono piante centenarie, Petit Rouge ed altre varietà della Valle, ho comprato nel 2000.
Il Petit Rouge è la pianta che più patisce i raggi del sole, vedi, qui (passando per un pezzo di vigna che ha dato in affitto) hanno tolto troppe figlie e il grappolo si è bruciato, un po′ di inesperienza o di eccessiva abitudine a defogliare.
Guarda che pianta, dimostra tutti i suoi anni. 
Il fiume appena appena si sente sotto il sottofondo ventoso che muove il bosco tutt′intorno mentre le cime dei monti rimangono apparentemente immobili.

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Ho dovuto mettere le recinzioni per il tasso e poi qui dove stiamo camminando c′è una parte di suolo diversa che sembra soffrire maggiormente la mancanza di acqua.
Saliamo a piedi, andiamo a vedere come stanno le ultime piante.
Lasciamo le nostre maglie appese ad un palo di testa e costeggiamo il bosco fino a incontrare la vigna più alta.

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Cartesan, Jacquemin, Plantaz sono nomi di lingua patois, il dialetto valdostano, tra francese, italiano e qualcosa di spagnolo, nomi di vigneti che sembrano incisi nella materia.
Guardo la schiena nuda di Giulio che mi cammina qualche metro avanti, le chiome degli alberi che si muovono leggere come fossero petali o fogli di giornale, l′erba alta e gli acini che si stanno colorando.

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Ci sediamo su di uno scalino di pietra e Giulio risponde a qualche mia domanda sempre con voce carica di energia, di soggettiva euforia.

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All′università ho studiato biologia e un giorno ho trovato sui ripiani di una libreria un libro di Tomasella dal titolo Chimica enologica. Così ho voluto capire come le due cose potessero stare assieme. Poi ho trovato appeso un bando per un master in Enologia e mi sono iscritto. È stata una passione continua e quando ho finito di fare lezione vengo quassù a lavorare e scarico le eventuali tossine della giornata e sto bene.
Resto una mezz′ora ad ascoltarlo e nemmeno mi accorgo che le piume antivento del microfono sono entrate nell′inquadratura, una spontanea e semplice imprecisione.
Torniamo a Quart, la minuscola cantina e un bicchiere d′acqua.
Questa la bevi stasera con Didier poi mi direte. E mi allunga una bottiglia di Balteo.
Una stretta di mano e una felicità consapevole. Me ne vado leggero come le chiome degli alberi del bosco.
E via passando dai bordi della città e salendo i tornanti verso l′ultima frazione di Aymavilles. Ritrovo la casa a fatica, la via d′accesso è sbarrata dai preparativi per una festa di paese.
Prima di salire le scale vedo Christophe che si aggira per l′orto alla luce del tramonto, poco distante Didier. 

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Come è andata con il muretto?
Ci vuole il suo tempo.
Dai, domani scendiamo insieme così ti aiuto.
Prima saliamo a cimare a Villeneuve i bianchi poi devo preparare un pezzo di muretto all′operaio.
Giulio mi ha dato questa.
È quasi pronta la cena intanto la apriamo.

Christophe !
E qualcosa in patois. Riempiamo i bicchieri di Balteo.
E beviamo. Fumin e Cornalin scendono come il fiume dai ghiacciai trascinando a valle i detriti rocciosi e i cristalli di neve, grezze parti di natura.

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Dopo la cena facciamo una passeggiata per le case del borgo. Il padre carica sulle spalle il figlio e guarda giù verso il fondo valle.

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Il silenzio della montagna fa da orizzonte al rumore dei passi. Sotto riposano i vigneti del Torrette.

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Una nuova alba rischiara il confine tra Italia e Francia, un tazza di caffè e scendiamo per la cimatura. Qui a quasi mille metri d′altitudine ci sono Pinot Gris, Gewürtz e qualche altra varietà a bacca bianca. Didier si siede su di uno sgabello di legno e inizia a pulire la pianta mentre io passo filare per filare a tagliare i tralci che ricadono all′interno della fila. I grappoli del Pinot stanno invaiando più velocemente dei rossi.
In breve tempo finiamo il lavoro e ci muoviamo verso Aymavilles.
Nei pressi di un ponte sulla Dora Didier si ferma e mi mostra la sua coltivazione di asparagi. 
Quest′anno sarà un modo per guadagnare due soldi. Dovrei riuscire a venderli a qualche ristorazione.     
Togliamo nel passare qualche pianta selvatica e prima di risalire in auto sto un attimo ad ascoltare le acque grige della Dora.

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Andiamo a vedere come procede il muro.     
Dal vigneto vicino alla strada si scorge un uomo con una canottiera e senza nulla in testa. 

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Il muretto separa questo vigneto del vicino e il mio che è più in alto. Si tratta di buttare giù il muro e rifarlo da capo sfruttando le pietre buone e recuperandone altre che stanno qui in giro. 

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Due fili tesi segnano le misure da rispettare, in basso sono accumulate le pietre più grosse che faranno da base al muretto rifatto.
Faccio un giro per la vigna mentre Didier discute con l′operaio poi mi chiama e mi tolgo la maglietta che l′aria è quasi gradevole nonostante il sole. 
Dobbiamo caricare lo scavatore con le pietre buone che sono rimaste indietro, monta sulla macchina e avvicina la bocca meccanica a terra.   
Poi scende e raccogliamo le pietre che si possono riutilizzare e le sistemiamo nella bocca di ferro.
Ora scendi anche tu sotto al muretto che ne devo buttar giù un altro pezzo.
Dal basso guardo Didier che manovra con attenzione il cingolato e con l′estremità dentata fa cadere una porzione di muro sollevando una nube di polvere.

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Ritira il braccio e arretra lasciandoci il tempo di sistemare le pietre grosse che verranno utilizzate come basamento, poi torna all′azione. Sì procede centimetro dopo centimetro in questa fase di demolizione per lasciare uno spazio di lavoro all′operaio che dovrà pian piano rimettete con cura e maestria le pietre e ricostruire la solidità della materia che il tempo ha logorato.

Guardando in alto, l′edificio della Cave des Onze Communes e altri vigneti alle prese con il caldo.

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Anche lo scavatore sembra faticare sotto il sole e continua a rifiutarsi di lavorare spegnendo il motore.
Pochi minuti è ci raggiunge il meccanico. Diagnosi: il motore ha bisogno di ombra e di riposo.
Finiamo di sistemare le ultime pietre

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poi approfittiamo del contrattempo per andare a cimare un′altro pezzo di vigna e infine in cantina.

Chiedo a Didier di assaggiare il Pinot Gris Le Plantse 2014. Ne avevo assaggiato dalle due barrique a novembre. In una il vini fermentato con lieviti selezionati, nell′altra la parte fermentata con i propri lieviti, quelli che stanno sulla buccia.

Ora il vino è in bottiglia e le due barrique sono state assemblate.
Molto buono. Tiene una bella mineralità ed è spontaneo e pieno.
Mi era piaciuta molto la barrique del vino con i lieviti indigeni.
Sì, è la strada giusta.
Dai, prendiamo qualche bottiglia per stasera da assaggiare. Vediamo cosa troviamo.
Didier sale su una scala e si mette a cercare in una nicchia della cantina.
Questa è una bottiglia che non bevo da anni, tieni. 
Questa può andare e anche questa.
Saluto i miei e possiamo salire a Ozein.
In cortile, Remy e la moglie scambiano qualche parola con il figlio poi li saluto anch′io e ripartiamo. 

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I preparativi per la festa del borgo stanno facendosi più visibili. Parcheggiamo l′auto sotto al tendone che accoglierà le tavolate di gente e con il cartone di vini sotto braccio percorriamo il sentiero fino a casa.

Metto un attimo le bottiglie sotto l′acqua corrente della fontana.
Certo, mi faccio una doccia anch′io per togliere un pò di polvere, faccio presto.
Quando risalgo da Didier e Alissia, Christophe ha già mangiato e dal balcone il sole sta scendendo dietro al Bianco. Andiamo a prendere le bottiglie, saranno fresche.

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Apriamo.
Pinot Gris 2012, Pinot Gris 2008, Gewürtz 2007.
Beviamo.
Il vino più giovane sembra il meno espressivo come fosse già stanco.
Si percepisce la mineralità ma rimane una percezione ovattata almeno all′inizio. Passiamo al 2008. Sì sente già una presenza più decisa e viva. Come il più giovane ha fatto solo acciaio ma qui è conservata una nervatura minerale che si stende lungo il palato e un vena sottile che ricorda la carburazione del Riesling. Ed è appena aperto, buon inizio.
Di queste bottiglie ne sono rimaste un paio credo. E mi riempie il bicchiere.
Ha un profumo di un erba fresca. 
Già, non lo ricordavo così.     
E poi, dentro, il liquido sciacqua il palato e lascia una risacca di menta che sta lì. Anche lui ha qualcosa di un buon Riesling con un pò di residuo ma questo sapore di menta è davvero piacevole e bello.
Sono proprio contento di come ha potuto evolvere, non l′avrei mai pensato così.

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Già, facciamo anche cena e facciamo bere anche Alissia che confronta con noi i suoi pensieri.
Guardo fuori, la luce se ne sta quasi andando. Guardo Didier.
Che ne dici se ti faccio due domande fuori nel prato davanti alla Grivola?
Finiamo il bicchiere e usciamo.
Siamo proprio agli sgoccioli diurni ma la situazione al limite la trovo quasi commovente e i contorni che a malapena si riconoscono un perfetto paesaggio di anima montana.
Parliamo fino a che quasi non ci si vede più e in lontananza alle nostre spalle risuona qualche rombo di tuono e la quasi notte si illumina dei lampi di un temporale d′altura.
Prima di chiudere gli occhi passo nella stanza a fianco a dove sta il mio letto.
Sul ripiano di un armadio le foto di un ciclo della Storia. Fiorentino, Emir, Remy. Tre generazioni che sono state vicine alla vigna e la quarta, la più giovane, porta dentro di sé la forza crescente di un passato, una tempra determinata e schietta come i fulmini e i tuoni che tengono compagnia al mio sonno e alle Alpi.

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