
26 Mag 21 maggio – Cortona, Stefano Amerighi
Mi allontano dalla Maremma che gli occhi ancora stanno appresso alle piazze, alle strade, a una torre spezzata a metà dal nemico conquistatore, al simbolo di una lupa che invece di guardare i due orfanelli ha il muso dritto verso l’orizzonte, alla parte vecchia di Massa Marittima, mentre le orecchie riascoltano la voce di Francesca che racconta i racconti dei vecchi sulla fine della guerra; i tedeschi che lasciarono morti prima di ritirarsi, un giovane ragazzo che di notte si fece a piedi la macchia per avvisare gli americani del cannone puntato sul paese.
La Storia si mette così di mezzo a spezzare il viaggio tra un paese e un altro, una storia piccola che può essere un soldato che piange vedendo un bimbo in braccio ad una madre, il suo nome, il suo dietrofront, i suoi stivali, la stanza murata che nasconde tutti i beni degli abitanti, il grido di dolore o di gioia.
Vai a capire quanta storia dovremmo fare nostra per sentire davvero cosa tutto è stato.
O se invece tutto si ripete da sempre così come sempre sarà.
Se la Storia non si può fermare nemmeno davanti a un portone siamo noi a doverlo fare anche un attimo solo, il tempo, per sentircela passare attraverso e decidere se andare o restare, ascoltare o ignorare.
Poi il treno che parte da Follonica e risale verso Pisa e si distende per un cammino di variante attraverso Pistoia, Lucca e Firenze. Da lì proseguo verso Arezzo e Cortona Camucia. Il piazzale è quasi deserto, un tassista mi chiede se mi serve aiuto, due ragazze americane aspettano l’autobus ridendo spesso tra una parola e l′altra.
Poi il treno che parte da Follonica e risale verso Pisa e si distende per un cammino di variante attraverso Pistoia, Lucca e Firenze. Da lì proseguo verso Arezzo e Cortona Camucia. Il piazzale è quasi deserto, un tassista mi chiede se mi serve aiuto, due ragazze americane aspettano l’autobus ridendo spesso tra una parola e l′altra.
Mi metto comodo, aspetto Stefano.
Sono una ventina di chilometri a separare la città dalla campagna dove stanno le vigne, la cantina e il casolare.
Arriviamo in un cielo arruffato di nuvole e vento, tra spazi di blu e raggi di un sole che appare e scompare.
Una distesa di viti tra un viale alberato di esili e magri sempreverdi. In alto la struttura lignea di una cantina. Camminiamo nel momento dove il giorno si mette composto in un religioso silenzio ad attendere il calare del sole. Soltanto le grida dei fagiani e un’aria che tende al freddo sembrano non partecipare al raccoglimento della giornata.
Stefano mi mostra i nuovi impianti, gli innesti di due e tre anni, le piante di Syrah dei diversi cloni, lo sviluppo di un cordone, di un alberello. Percepisco la complessità delle diverse particelle di vigneto. Un disegno in apparenza omogeneo che nasconde trame di sottili sfumature. La ricerca di un’espressione attraverso la curiosità e l′intuizione. Un senso di larga distensione mi accompagna in questo luogo dove le energie sembrano tenute insieme da un ampio cielo e dai profili sinuosi di colli e di monti intorno.
Montepulciano, gli avvallamenti che separano la Toscana dall′Umbria, il monte Amiata.
Una fila di piante che stanno da poco crescendo vicine, una piccola vite e un piccolo leccio consacrati in matrimonio dalla mano dell’uomo.
Là stanno le mie giovani. Sono arrivate da poco e non vedo l′ora di mettere dei pali e una recinzione esterna per poterle fare uscire.
I corpi asciutti e scattanti di quattro bianche chianine poco più che manzi ci vengono incontro al limite della staccionata.
I corpi asciutti e scattanti di quattro bianche chianine poco più che manzi ci vengono incontro al limite della staccionata.
Questo era l′animale con cui una volta si faceva il lavoro nel campo. Trasmette serenità e calma a chi ci lavora a fianco. Sarà il colore bianco del manto o il movimento flemmatico di chi possiede anche una potenzialità di scatto, uno sguardo di pace preventiva…

Strappiamo dell′erba da terra e la avviciniamo al muso delle bestie che cominciano a fare andare la bocca in un senso e nell′altro secondo una dinamica di ruminazione.
Raccogliamo qualche fava e risaliamo verso la cantina.
Tra le nubi che sfumano, tra il nero e il bianco, c’è un piccolo angolo di mondo, quanto basta al sole per dare spettacolo ed esaltare nell’estremità del giorno le forme e i contorni di quello che è nato e che ancora sta crescendo.
Saliamo nel punto più alto della vigna sopra la cantina e ci fermiamo laddove ci raggiunge il profumo del grappolo in fiore, come un suono acuto, un lampo in uno spazio di blu, un ricordo che sale senza essere chiamato.
A volte mi chiedo come posso perdermi questi momenti della vita del vigneto. Il profumo del grappolo che si fa fiore è qualcosa che va colto e sentito nella sua brevità. Se fossi andato in fiera mi sarei perso questa emozione che viene una sola volta l′anno. Bisogna restare in vigna nei momenti essenziali.
A poche centinaia di metri lungo una stradina sterrata il casale color mattone.
Una scalinata che sale all′ingresso e stanze dai soffitti alti, spazi con una misura più che umana e un focolare come mai avevo visto.
Saluto Calogero, il ragazzo siciliano che sta finendo gli studi di enologia e viticoltura a Pisa e che da qualche tempo sta aiutando Stefano nella vigna e in cantina. Sto preparando la frittata e un po′ di pasta, è quasi pronta.
Stefano intanto stappa una bottiglia e e riempie i bicchieri.
È un vino del Rodano, una Syrah.
Conobbi Stefano proprio in Rodano nei due giorni passati tra Mauve e Tain dove si svolgeva la fiera del vino.
Ricordo che parlò del Saint Joseph di Michal Clotaire, della sua bellezza e del fatto che Michal aveva abbandonato il Domaine per andarsene in Italia con un camper a imparare qualcosa sul vino.
Facciamo un brindisi e beviamo.
Un incontro ricco che porta il piacere materico di una sostanza in grado di riappacificare le discordie della giornata, se discordie ci sono state, altrimenti un godimento di sensualità che fa da sfondo a tutto il resto.
Peccato che Michal abbia lasciato.
Già, peccato. Sto cercando le bottiglie che ancora sono in circolazione e qualcosa ho trovato.
È una Syrah dove convergono il profumo violaceo e il legno dei raspi, eleganza e rusticità, fluidità e corporeità. Le parole seguono lo stesso andamento e presto ci troviamo a ricordare il tempo dei nonni, la loro importanza e le scelte o gli impulsi che da loro sono venuti.
Stefano mi parla del nonno a cui piaceva mangiare e lavorare la vigna.
Da ragazzo non mangiavo molte cose e quando mio nonno morì fu come se la sua fame e voglia di mangiare passasse nel mio stomaco. Poi iniziai anche ad avvicinarmi alla vigna…
Io parlo di mia nonna con la quale andavo a funghi e a camminare per i boschi della collina. È la parte della mia infanzia a cui ricondurre il mio amore per il viaggio, per il cammino e per la natura.
Allora può essere che il padre del padre o la madre della madre possano aver lasciato un seme che, forse, può restare nascosto e inattivo per anni ma che poi improvvisamente ce lo troviamo spiga dentro di noi.
Come se inconsapevolmente ci abbiano innestato qualche qualità, una sensibilità, un gusto o un piacere che a distanza di tempo ci troviamo addosso senza magari accorgerci della sua provenienza. Ci guardiamo senza tanto aggiungere, versiamo l′ultimo sorso di Syrah e lasciamo il pensiero andare per la sua strada. Chissà, forse verso il ricordo d′infanzia o sulle tracce di Michal, sperando che torni un giorno al suo Domaine e continui a fare un vino così.