In partenza da Loreto Aprutino e l'azienda de Fermo - Porthos Edizioni

9-10 maggio – Fare quadrato

Nessun fantasma, nessun sogno, la notte è trascorsa semplicemente notte, nuda oscurità.
Si può pensare che un luogo accolga con più o meno generosità un sonno?
Che gli intonaci scrostati, le polveri, i volti dei ritratti, le impronte sul legno di un armadio, un crocifisso lasciato a guardare il soffitto, entrino a far parte della nostra coscienza, delle nostre presenze interiori senza generare immagini notturne, evocazioni di onirica celluloide?
Potrebbe essere stato un lungo e sommesso insieme di voci che hanno sussurrato parole e versi e suoni di musiche, un disperato e sovraumano bisogno di comunicare.
Che tutto si sia risolto in un sonno apparente e che il sogno inizi proprio adesso mentre sto scrivendo di quella notte.
C’è una sensazione che arriva rivedendomi uscire sulla terrazza a guardare il cielo che a est si sta facendo più chiaro.
È un senso di protezione. Guardare il cortile in basso e l’edificio che continua a destra e a sinistra e si chiude nel lato opposto a dove sono. Guardare i mattoni messi insieme alle pietre che una mano simile alla mia ha preso da una terra vicina e portato qui, guardare uno spazio che tiene unito uno spazio come a offrire un conforto, una forza solida a chi ci abitasse dentro.

Scendo la s.s. 81 in direzione dei vigneti prima che spunti il sole.
Mi fermo in mezzo a due filari e guardo verso nord la vigna distesa che scende e risale e scende nuovamente all′orizzonte.
Poi arriva la luce e seguo il suo posarsi sulla superficie che mi circonda. Come risuona diversa la realtà di un luogo alle prime luci, sono attimi ancor più fuggenti della caducità di un tramonto. Sarà che il tramonto pare trascinarsi con più lentezza lasciando nell’aria e nel respiro un qualcosa di non definitivo, un prolungamento emotivo che perdura nell’assenza e si fa eco tra le cose. La luce di un’alba, quella, ridisegna un mondo senza lasciare respiro, si allunga come un’onda ed è subito mare. Un incanto.

Stefano mi scrive che arriverà per le 10. Prendo una sedia, mi metto nel cortile con le spalle alla grande terrazza e rileggo la prima pagina di un libro di Saramago, Una terra chiamata Alentejo.

La cosa più abbondante sulla terra è il paesaggio. Anche se tutto il resto manca, di paesaggio ce n’è sempre stato d’avanzo, un’abbondanza che solo per un miracolo instancabile si spiega, giacché il paesaggio è senza dubbio precedente all’uomo e nonostante ciò, pur esistendo da tanto, non è esaurito ancora. Sarà perché costantemente muta: ci sono epoche dell’anno in cui il terreno è verde, altre giallo, poi marrone o nero. E anche rosso in certi luoghi, che è il colore dell’argilla o del sangue versato. Ma questo dipende da ciò che nel terreno si è piantato e si coltiva, o non ancora, o non più, oppure da quello che vi è nato naturalmente, senza mano d’uomo, e giunge a morte solo perché è arrivata la sua fine.

Alle 10 carichiamo le bottiglie di vino, i miei bagagli e partiamo per un nuovo paesaggio.

In partenza da Loreto Aprutino e l'azienda de Fermo - Porthos Edizioni

Dopo pochi chilometri che abbiamo imboccato la strada per L′Aquila le colline si fanno montagna e i paesi e i segni di uomini e donne si nascondono sulle sommità lasciando la natura a sè stessa se non fosse per una continua striscia d′asfalto che le scorre dentro.
Navelli è lì, tra le montagne che appaiono cumuli di terra, gobbe ordinate e dolci. Più in là il Gran Sasso e le nevi di cime con più aspri profili.

Paesaggio abruzzese - Porthos Edizioni

Al centro del cortile del palazzo che ospita la manifestazione un pozzo, seduta all′ombra del pozzo Giovanna.
Sono passati più di tre mesi da quando sono stato nel suo vigneto a Castelnuovo Berandenga, prima tappa del viaggio.
Il solo vederla mi riporta là, tra le viti che crescono sciolte, senza filare, sotto la cantina.

Sai che ti dico, resterei qui tutto il tempo.
Le sorrido. Come stanno i tuoi alberelli?
Loro bene, ma ho visto che anche nei tuoi articoli l’alberello torna spesso a farsi vedere. È una linea comune.
Già, da sud a nord ne ho trovato diverse espressioni, poi ti racconto, ora vado ad aiutare Stefano a portare sopra le bottiglie.

Naturale, Fiera del vino artigianale a Navelli - Porthos Edizioni

Dai lati del cortile salgono due scalinate che arrivano ad un corridoio, un porticato fatto di colonne. Da lì a destra e a sinistra l′ingresso alle sale interne del palazzo.
Mi metto a percorrere la prima sala alla mia sinistra, poi la seconda, la terza, poi un′altra e un′altra ancora fino a ritornare al punto di partenza.
Ancora non c′è gente, soltanto qualche produttore che sta sistemando le bottiglie accanto al tavolo.
Rifaccio il percorso inverso da stanza a stanza come per trovare una sicurezza, una confidenza con un ambiente sconosciuto o forse per un bisogno infantile di concretezza che mi dica effettivamente “è proprio così, cambiando il senso di marcia si torna sempre al punto di partenza”.

Gli spazi vuoti iniziano a farsi persone e voci che salgono per gli alti soffitti e che salendo si aprono e prendono forza.
Resto un attimo a guardare il porticato che si è riempito. La gente che fuma e che parla con il bicchiere vicino.
Dopo giorni e giorni trascorsi in vigneto, nell′intimità di una casa, affacciato alla solitaria finestra di un treno, trovarmi qui, dove spazio e tempo paiono avulsi da un contesto fatto di natura, da un ritmo di lavoro e un ritmo di crescita, mi disorienta. È solo un’impressione iniziale, credo inevitabile e necessaria dinamica per tornare con nuova intensità al confronto con me stesso e con l’idea del viaggio e del progetto che lo segue.

Palazzo Santucci a Navelli - Porthos Edizioni

Non resta che rientrare e provare a parlarci con chi ancora non si conosce. Chiedere e assaggiare un vino mai bevuto. Ascoltare con pazienza la voce di chi quel vino l′ha fatto crescere e guardarlo negli occhi mentre parla e dare tempo a che le parole dell’uomo o della donna scendano dentro assieme alle parole del vino.
Certo, farlo in cantina, a due passi dal vigneto, a tu per tu con il contadino o la contadina che hanno lavorato la terra…
Ma è comunque un′occasione, una possibilità, creare un piccolo spazio di condivisione dove, eliminati rumori e distrazioni, stare attenti e conoscere, rimettersi in gioco.

Man mano che passa il tempo aumenta la difficoltà di concedersi e guadagnarsi questo spazio.
È una questione di attesa, della scelta di un momento buono che può venire o non venire affatto. Sempre che non si decida di forzare i tempi e forzare di conseguenza un assaggio, un incontro.

Intanto il paesaggio resta fuori, dietro le mura del palazzo. Mi concedo qualche pausa per riconciliarmi con le vallate, le ferite ancora aperte di questa terra, l’aria e la luce che cambia per poi ritornare e proseguire il cammino.

Navelli - Porthos Edizioni
Dietro ai tavoli con le bottiglie i volti disegnano tratti di stanchezze più o meno sentite. Li guardo e mi dico che anche questo fa parte del mondo che ho scelto di vivere e raccontare in un anno della mia vita. Che se non ci fossero occasioni di questo genere sarebbe difficile per molti conoscere, anche per caso, un certo modo di intendere il vino, la terra, lo stare insieme. Magari il numero di queste fiere potrebbe inflazionare il senso sincero che è punto di partenza.

Non lo so, potessi scegliere, resterei in vigna a parlare con un bicchiere nella mano o semplicemente a parlare e camminare o a parlare e lavorare.
Tuttavia il senso di unione che a momenti si respira, il sorriso di complicità che passa da tavolo in tavolo, la concretezza di essere un luogo di riferimento per una parte di territorio, continua a farmi pensare.

Tramonto a Navell i- Porthos Edizioni

E ripenso agli spazi. A Cordiano e alla casa disabitata dove è trascorsa la notte, a palazzo Santucci dove è terminata la giornata di fiera e all′ostello del Tratturo, ricavato da un ex-convento a fianco di un cimitero, dove adesso mi trovo e passerò il tempo di un’altra notte. Sono edifici con uno spazio interno, cortile e chiostro, sono edifici con uno spazio comune di forma e pianta quadrata come se le mura intorno proteggessero un cuore fatto di vuoto. Ecco, mi dico, che fare quadrato, allora, non è soltanto una espressione militare che descrive una formazione pronta a far fronte sui quattro lati ma anche un guardare dentro verso la parte più indifesa, verso un vuoto che può riempirsi di nuova creazione, di energia e possibilità.

Ostello del Trattuto, Navelli - Porthos Edizioni

Fare quadrato. Puoi scegliere da che parte vederlo.