Ab assuetis non fit passio*

«Vuole dire che più si trova più si cerca, e che più si cerca più si trova?»
«Esatto. Certe volte mi sembra che fra la ricerca e la scoperta si sia formata una relazione paragonabile a quella che si stabilisce fra la droga e l’intossicato».

da Paul Valéry, L’idea fissa, a cura di Valerio Magrelli, Adelphi Editore, Milano 2008

 

In assenza di un bisogno riconoscibile che nel quotidiano si nasconde dietro innumerevoli appunti, per scrivere, devo giocherellare a lungo con le idee e districare fili conduttori, frecce che segnalano collegamenti e cancellature di parti che rinascono e s’intersecano in altre. A mente fredda questo senso di manualità mi rassicura perché non è stereotipata, vive del potenziale. E si sa, i prototipi, anche brevettati, spesso funzionano male, così come una scontata riproducibilità, e abbondanza di titoli e articoli, saturano la nostra famelica ricerca d’informazione. Tenere costantemente in considerazione un’elevata entità di notizie, annunci, smentite e vociare ci terrà sì occupati, ma alimenta un costante senso d’incompiutezza, che diventa inevitabile smarrimento provocato da questa effimera montagna semiologica. Magari si può pensare che da questa nevrosi della scrittura prenda consistenza un – apparente – atto creativo, mentre siamo troppo tesi a scartare, eliminare velocemente e, di conseguenza, superficialmente.
A proposito, mi capita di leggere riviste digitali e cartacee dall’ampia diffusione che ritrovo sempre, sconfortantemente uguali a se stesse – però puntuali – replicanti i soliti approcci e gli stessi standard appresi a lezione del largo consumo e degli artifici pubblicitari. Il problema di fondo è la corsa all’iperproduttività: si scrive il più possibile, si pubblica l’inverosimile e, in relazione, si legge poco. Questo scenario stridente con i tempi di comprensione e di riflessione, induce all’assuefazione e fa apparire imposte e impostate le emozioni che scaturiscono dalla conoscenza. Le manifestazioni della cultura, poi, sembrano un pretesto per creare contatto, nasce così questo mondo salottiero fatto d’indolenza e d’irresponsabilità. La cultura si tramuta formalmente in un gioco man mano più farraginoso e frammentario e alla fine perde ogni contatto con noi stessi, anzi diventa uno strumento d’inganno, di circostanza.

Di fronte a questo sommario ho scelto di scrivere una tesi di laurea sull’editoria indipendente, non solo per ricostruire e prendere maggiormente atto dello scenario nazionale e internazionale, ma piuttosto per cercare di capire il senso della stessa indipendenza. In una prima analisi mi sono accorto che l’assenza di vincoli, racchiusa idealmente nel termine, emerge dall’indole, al di là di un’impostazione.

Essere indipendente, status troppe volte abusato, è in primis essere in crisi, dal greco krisis, separazione, scelta: reagire alla passività e alle costrizioni con una scelta veramente creativa e disinteressata, attraverso una parola che contiene un tracciato. Si tratta di un momento di discontinuità nel quale l’esercizio critico (dal greco krino, giudico) pressoché assente in una critica caricaturale, sviluppa la capacità di giudizio e diventa una vera arma forte. Lo spirito indipendente è problematico, prigioniero della ricerca di oggettività, della perfezione allineata, della correttezza formale e della sicurezza. Va aspettato e la disposizione a costruire un giudizio su basi attendibili e forti è prerogativa della sua stessa vita che offre conoscenza, pensiero, autocritica, conflitto. Ci vuole il coraggio di mettersi in discussione, di reinventarsi ed è quindi importante che l’indipendenza non rimanga solo un principio stimato e isolato, ma che abbia un riscontro pratico, si sganci dalla teoria e magari anche dall’ambito editoriale e strettamente culturale. Se da sempre sono legato alla lettura, alla scrittura e al vino, da oltre un anno ho intensificato e accresciuto il mio rapporto con quest’ultimo. I corsi e le successive collaborazioni con Porthos mi hanno formato, incuriosito, hanno ampliato le conoscenze non solo dell’oggetto-vino ma specialmente nel rapporto tra il vino e la mia persona. Un ulteriore, importante passo è stato l’opportunità di lavorare in un ristorante per il quale rielaboro e aggiorno la carta dei vini. Il cambiamento apportato alla modalità di acquisto, in precedenza subìta e/o delegata a uno sterile elenco fornito da un rappresentante, ha comportato un vero e proprio mutamento di parametri e di situazioni: il contatto ravvicinato e costante con i produttori, il confronto con persone che amano il vino naturale ben prima di pensare a venderlo, il coinvolgimento dei colleghi, la proposta, la condivisione.
La scelta dei vini è nata, inoltre, dalla necessità di mettere il vino a disposizione del cibo, dopo aver osservato per oltre un anno non solo gli ingredienti che maggiormente gravitavano nella cucina, le caratteristiche delle ricette e gli accostamenti tra materie prime, ma anche i pareri e le inaspettate proposte dei clienti. Nella compilazione della carta mi è sembrato doveroso non usare soluzioni grafiche che segnalassero la presenza di vini naturali, fatto non più sopportabile, come se ci fosse la necessità di avvertire o di mettere in allerta. Penso che la strada giusta sia porre delle domande e farle a un interlocutore capace, lieto di rispondere e che sappia, nei limiti del possibile, spiegare un vino. Così come non amo assecondare le persone in base alle abitudini imposte dalla grande distribuzione, dal gusto del largo consumo, dai soliti blasoni pluripremiati: bisogna parlare non solo del vino naturale ma anche del messaggio insito nel suo essere figlio di un territorio, di un susseguirsi di stagioni, di uomini e donne che hanno cercato di interpretare lo spazio e il tempo.
L’indipendenza è il progetto difficile della vita di una persona, di qualsiasi cosa essa si occupi; richiede dedizione e tempistiche a volte faticose da mantenere, ma offre grandi soddisfazioni e sempre nuovi spunti di riflessione di fronte alle krisis; una felice e umile ricerca non affannata dal bisogno ossessivo di scoperte, di primati e di ottusi megafoni.

 

* Locuzione latina che significa letteralmente: “Dalle abitudini non nasce la passione”.