Continuiamo così, facciamoci del male

Dalla penna di Bardamu, uno dei protagonisti del Forum, una lettera attualissima, che a qualcuno non piacerà. Pazienza.

Vi siete accorti che è nata, e si sta ora allargando e consolidando, l’ennesima, fottutissima eno-ideologia?
Ancora ci portiamo dietro gli strascichi della grottesca e faziosa mobilitazione “bipolare” degli anni ’90, modernisti vs. tradizionalisti. Ha appena iniziato a defluire l’onda violenta del “pensiero unico” del cosiddetto gusto internazionale (tabula rasa elettrificata…).
Sarebbe finalmente arrivato il momento di fermarsi un istante, uscire dal nostro fazioso nevrotico parlamento immaginario e respirare un po’ di aria buona. Per scoprire, e soprattutto far finalmente scoprire, che Giacosa e Massolino hanno capito il nebbiolo più di Scavino e Rivetti, che Mastrojanni e Pian dell’Orino hanno capito il brunello più di Banfi e Valdisuga.
Molti appassionati paiono muoversi in questa direzione, prima e più risolutamente degli operatori professionisti, che mostrano una certa lentezza a rispondere agli stimoli di cambiamento, a divincolarsi dalle forze d’inerzia. Il mercato, una volta feticcio e alibi degli ultra-modernisti, mostra diversi segnali di stanchezza verso un certo tipo di prodotti, e parallelamente va riscoprendo e sempre più interiorizzando i concetti di autoctono e di “grande classico”.

 

Sarebbe il momento buono, questo, per superare certe militanze estetico-ideologiche, e far emergere produttori e prodotti per quello che sono, e non per ciò che rappresentano: di far capire finalmente che Tenuta Giuncheo non è il miglior produttore di Liguria (premio Vinitaly di quest’anno) ma solo il più estremo e monolitico nell’applicare i dettami del cosiddetto gusto internazionale, che Bartolo Mascarello fa grandi Barolo tradizionali anche perché ha rinnovato completamente il proprio parco-botti, e così via.
E invece no. Quasi seguendo i più logori schemi della sinistra politica italiana, appena si creano le condizioni per essere ascoltati, nascono nuove fazioni, nuove divisioni. Tutto in ottima fede, tutto comprensibile e persino nobile, viva il pluralismo e il pensiero libero e indipendente, viva i contributi arricchenti: tutto tremendamente autolesionistico.
La nuova ideologia, perché di questo si tratta, si pone all’estrema sinistra del nostro enoparlamento, ha molti punti di contatto con il reazionarismo luddistico di Ziliani ma è qualcosa di diverso. E’ una sorta di reazionarismo mistico-naturista, “new age”. Omeopatista. E con un forte culto dello “strabismo di Venere”.

La valorizzazione di vini più territoriali, varietali, bilanciati viene vissuta, per lo più inconsapevolmente, come una prospettiva assai auspicabile, ma parziale, e in qualche modo noiosa. Una sorta di tappa obbligata, cui occorre però andare oltre.
In questa prospettiva le uve, i vini, non vanno toccati, assolutamente. La natura, e il Dio Bacco, devono essere liberi di fare il loro corso, e il vino dev’esserne l’espressione più conseguente e compiuta. Eventuali imperfezioni e problemi, anche vistosi, anche fastidiosi per un assaggiatore “classico”, diventano parte del gioco, e vanno considerati elementi di personalità, di fascino. I vini precisi sono vissuti come vini freddi, scolastici, sterili. Vini tecnici, e per ciò stesso banali. Come chi li apprezza, modernista, tradizionalista o “non-allineato” che sia.

 

Il tradizionalismo di Ziliani e dell’Onav è diverso, loro vogliono tornare alla tecnica enologica dei loro padri o nonni, sono molto lontani dal teorizzare la fine di ogni tecnica, la vitivinicoltura contemplativa.
I nuovi mistici stanno creando il mito dei vini biodinamici, con zero-solforosa-zero, a ossidazione controllata. Vini anche di notevole fascino, caldi e profondi, ma che, pur nascendo nel mito del “vero” varietale, finiscono paradossalmente per costituire l’altra faccia di LangaIn, visto che l’impronta di vinificazioni così “estreme” tende a sovrastare le caratteristiche più fini di vitigno e terroir, e in definitiva per omologarli in un certo espressionismo stilistico.
In degustazione, gli EnoThoreau preferiscono il pur ottimo Brunello Poggio di Sotto al Lambardi, il pur pessimo Pigato De Andreis al Bruna. E così, mentre l’approccio tecnico-estetico del gusto internazionale continua a essere sospinto dall’inerzia sistemica, chi potrebbe/vorrebbe aiutare il movimento a crescere invia segnali contradditori e spesso settari. Continuiamo così…