Rossese 12 dic

Essere altrove, essere altrimenti: Dolceacqua e il Rossese

foto di giampiero pulcini

I vini sono denominazione di origine controllata Rossese di Dolceacqua.
I colori sono tutti limpidi, quasi trasparenti, talvolta pallidi; ben diversi, come impostazione, dalle ricchezze scure che caratterizzavano i campioni al tempo della degustazione pubblicata su Porthos 13-14. È evidente una scelta di alleggerimento, ma che non riguarda solo i produttori dell’estremo ponente ligure, come si evince dalle ultime descrizioni pubblicate.
I vini sono stati sentiti in due batterie, tutti insieme i 2013 e i 2012, a parte l’unico 2011 e il fuori “concorso” 2004. Giampiero Pulcini ha voluto mettere a confronto le diverse identità produttive, che comprendono differenti terroir e peculiari interpretazioni tecniche – basti pensare ai frutti di un alberello o di un guyot – e l’evidente diversità tra la fresca e appuntita annata 2013 e la più composta e grassa 2012.
Dopo averli divisi nelle due batterie, Claudio Caputo ha pensato a mescolare i numeri così che neanche noi, addetti alla guida della degustazione, potessimo conoscere la sequenza.
Ben preparati da Giampiero, protagonista di una lezione viva e ricca di dettagli, i partecipanti sono entrati negli assaggi con un intenso desiderio di far seguire alle parole del relatore la verifica delle sensazioni. Hanno contribuito a gratificare la vocazione gastronomica dei Rossese le pizze di Gabriele Bonci, il formaggio fornito dalla Tradizione e la combinazione pane-burro-acciughe a cura di Andrea e Luigi Scorrano di Pomarius.

Rossese 12 dic
foto di pino carone


2013 Giuseppina Tornatore (Dolceacqua)

Rubino vivo.
Naso molto vinoso, di frutta dolce, capace però di qualificarsi col passare dei minuti facendo intuire il potenziale odoroso ricco e sfaccettato; ha i tratti di un rosso rustico e artigianale, nello stesso tempo esibisce una limpidezza odorosa paragonabile a quella visiva.
In bocca è intonato alla fragranza giovanile del profumo, fila via senza sussulti ben sorretto dall’acidità e da un finale sapido e cristallino.
Le uve arrivano da mezzo ettaro in vigneto Armetta e da mezzo ettaro in vigneto Tramontina (entrambi nel comune di Dolceacqua).
Sta molto bene sul lardo di cinta senese servito su pane integrale di solina rovente.

Bricco Arcagna 2013 Terre Bianche di Filippo Rondelli (Località Arcagna)
Granato con sfumatura rosa.
Impatto odoroso delineato dalla pungenza dell’acido acetico, in compenso ci vuole poco a capire che ha le sue ambizioni, lo sviluppo odoroso è infatti volitivo e foriero di una complessità che tiene insieme mare e terra, come nelle migliori tradizioni della tipologia.
Il sapore è succoso e si distende leggiadro benché non gestisca un consenso univoco, come dimostrano alcune osservazioni sulla mancanza di unità della stoffa, che appare una coperta corta. Alla mia descrizione aggiungo una nota di Giampiero: «Ha il pregio di schierarsi, restituendo scarnificato il profilo di un’annata durissima. Toccante, tutt’altro che perfetto, da attendere».

Posaù di San Biagio della Cima 2013 Maccario Dringenberg (San Biagio della Cima)
Rubino-granato lucido.
Naso vinoso, esuberante e non sgraziato, per ora la vena fermentativa copre le potenzialità odorose e restituisce l’anima fredda e umida dell’annata, solo in parte attenuata dalla posizione del vigneto, sud-sud est tra i 200 e i 350 metri di altitudine.
La bocca è cruda, salina e con un nerbo virtuoso che desta l’attenzione sino in fondo; ci manca l’effetto amplificatore dei profumi, ma forse è pretendere troppo.
Realizzato solo in acciaio, Giampiero osserva: «Serio, pieno, frenato nell’allungo. Forse è la gioventù ma il sospetto è che una fattura eccessivamente consapevole ne diluisca l’espressività».
Lo abbiamo trovato efficace sulla pizza con bieta e provola affumicata.

Rossese2
alberello centenario a Luvaira

Beragna 2012 Ka Manciné di Roberta Repaci (San Martino di Soldano)
Granato uniforme.
Naso lento da scoprire, colpisce l’inclinazione dolce-vegetale che…
… si riverbera in bocca, dove il sapore è un modello di equilibrio; la sua gradualità è frutto di una virtuosa combinazione tra l’annata e l’esposizione del vigneto; molto bene le sensazioni finali gratificate dalla generosità alcolica.
Giampiero ha letto un ulteriore slancio: «Sulla carta un casino, in pratica esce il fiato del vitigno e ciò ne compensa ampiamente il timbro naif».
Da provare su un formaggio vaccino di media stagionatura ancora morbido.

Brae di Perinaldo 2012 Maccario Dringenberg (San Biagio della Cima)
Granato intenso.
È il primo naso della batteria a provocare controversie, tra chi ama la sua identità sulfurea e chi invece lo trova troppo organico perché sia piacevole; alla distanza quello che in modo neutro chiamiamo “odore” si trasforma in “profumo” e così l’espressione guadagna una vena floreale carnosa e matura.
In bocca il liquido non si siede, anzi, è sollecito e fine, quasi sincopato nel suo ritmo imprevedibile, dal quale spunta una tannicità attiva, funzionale sul crostino con formaggio fresco e broccolo romanesco.
Non è stato prodotto nella complicata 2013, il vigneto Brae è un pieno nord con i filari che arrivano a 450 metri.

Testalonga 2012 Antonio Perrino (Dolceacqua)
Rubino-granato vivo.
Conferma il cambio di passo nella batteria suggerito dal vino precedente: il Testalonga è ambizioso e articolato, preludio a una complessità che ha già regalato soddisfazioni agli affezionati di questa bottiglia, anche dopo 7-10 anni di affinamento; accanto all’impronta del rovere si distendono sentori di agrumi e confettura di fragole, mentre l’impianto si conserva vivido.
In bocca è ancora scisso in un’avvenente dualità: da un lato la tenerezza del frutto e il fervore etilico, dall’altro la grinta dell’acidità e l’accenno astringente, che ha sorpreso più di qualcuno, vista l’aura silvana contenuta nell’epilogo.
Giampiero chiosa: «Dentro c’è tutta la distesa intensità di Antonio Perrino, persona di straordinarie qualità umane».

Rossese3
“sgruttu” (flysch di Ventimiglia)

Superiore Luvaira 2012 Tenuta Anfosso (Soldano)
Rubino-granato, intenso.
Naso vissuto e irriverente, è il primo a giocarsi la partita con l’acidità volatile, il primo della batteria a vivere con meno protezione dall’anidride solforosa; il risultato di questo dialogo più libero con l’ossigeno è una dinamica stratificazione odorosa, nella quale hanno posto la levità delle erbe mediterranee e l’aspetto di frutta surmatura, la sostanza del prosciutto fresco con la mineralità iodata.
In bocca è sensuale, pronto, diretto e coinvolgente, fin troppo generoso rispetto al precedente che appare quasi più “esperto” e capace di gestire il proprio slancio; in compenso, il vino di Anfosso si è liberato di quella caramellosa prevedibilità che lo caratterizzava fino 4-5 anni fa, e riporta il nostro palato a masticare l’aria densa del golfo d’Imperia.
Luvaira: vigneto esposto a ovest, il nome evoca l’antica presenza di lupi e con essi altri animali selvatici, quindi lontana dai centri abitati.
Giampiero evidenzia: «S’assesta sul timbro vagamente ossidativo del produttore, ritorni organici poi cioccolatino mon chéri, l’alcolicità distorce i ritorni retronasali senza comprometterne del tutto la golosità. Piuttosto dissociato, al momento, si farà».
Il migliore su pane, burro e acciughe, a parte Mandino Cane.

Migliarina 2011 Faroi di Rondelli (Dolceacqua)
Granato pieno.
Il profumo è di tè verde e spezie, l’accenno di florealità s’insinua fin nella definizione del corpo, dandoci l’impressione di essere accattivante ma non smaccato.
Il sapore è elegante nel senso classico del termine che illustra l’incedere regale e la leggiadra sospensione; il vino del vigneto Migliarina, esposto a nord e con matrice geologica ricchissima di calcare, fa storcere il naso a chi ama la rusticità dei due precedenti, ai nuovi amanti della tipologia pare invece irresistibile.
Giampiero aggiunge: «Difficile prenderlo alla cieca per un Rossese, eppure ha carica e raffinatezza tali da non poterlo considerare un traditore».

Superiore Vigneto Arcagna 2004 Mandino Cane (Dolceacqua)
Granato stagionato, riflesso arancio-mattone.
Naso lento e vecchio, tutt’altro che arreso ma desideroso di esserci, come dimostra la sua uscita alla distanza; non è il sentore di straccio a poter scoraggiare, vista la fragranza calcarea che sale accanto alla sfumatura di frutta sotto spirito e alla delicata liquirizia; il vino è sano, autorevole.
Il sapore non delude, l’integrità non è quella di un ragazzo, eppure i segni del tempo qualificano lo sviluppo del tessuto che si è raccolto attorno a un’idea di luogo e che si sublima nella fusione tra lo strumento – il Rossese – e la mano di chi lo accompagnava, Giobatta Mandino Cane.
Come anticipato nella scheda sul Luvaira, è il Vigneto Arcagna il rosso di pane burro e acciughe, un accostamento che si rinnova senza soluzione di continuità.
Leggiamo Giampiero: «Vivo in bocca, profili slabbrati ma finale pungente. Emotivo più di ogni altro, trova con pane, burro e acciughe un abbinamento semplicemente commovente, come se avesse bisogno di questo cibo da marinai per recuperare tridimensionalità e accendere immagini di banchine sul fare del giorno».

[…] E quasi notte ormai: Venere appare una scheggia di quarzo incastonata in una grande volta di cristallo. Enzo sente il corpo esile della donna che reclina sulla spalla il capo stanco; è colpito dall’affettuosità materna di lei, da quel gesto che nulla ha di sessuale. Lentamente scende in lui una dolcezza mai provata. Lentamente le immagini del giorno trascorso si ricompongono in nuova luce. […]

Francesco Biamonti
Frammento da Serenità dei fiori in “La Battaglia dei fiori”, numero unico, maggio 1951

unnamed
Terre Bianche