dammuso ferrandes

Il diario di Francesco Ferreri

Seconda puntata

L’inferno è vivere da vero re

Senz’essere stati mai sé stessi
Ma niente lacera di più
Niente può far male più
Non più di essere me stesso
da Afterhours, So chi sono, Folfiri o Folfox, 2016

Mentre il nostro aereo atterrava a Pantelleria, al rientro da Roma, continuava a ronzarmi in testa questa canzone degli Afterhours. Il capitano aveva da poco annunciato la turbolenza dovuta al vento. Mi guardavo intorno, ma non riconoscevo nessuna faccia con cui condividere il momento. Solo turisti che hanno scelto l’isola per le loro vacanze estive senza considerare che lo Scirocco arriva a raffiche, strattona, strappa e porta lontano. Non ha nulla di lineare, niente di ordinario. Così ci fu un silenzio spaventoso prima di toccare terra saltellando e con un’ala che quasi sfiorava la pista. Poi, solo risate e facce contente di poter chiamare a casa per dire quanto l’isola, da subito, può turbare.
Con la fine di maggio inizia l’estate e noi panteschi ci sentiamo ospiti. 
Frotte di turisti invadono ogni angolo, se non si presta attenzione è possibile trovarli persino sulla veranda della propria casa: «C’è una vista magnifica da qui, possiamo fare una foto?» Molti di loro, negli anni d’oro, hanno comprato una casa e ben presto l’hanno trasformata in un’oasi privata. Dove prima c’era un libero accesso al mare, adesso si trova un cancello con su scritto “Proprietà Privata”. Inoltre per indicare un dammuso vengono esposte targhette con i nomi più strani — El boat, Ca’ dei Sass, Welcome in tanq — prima bastava usare il soprannome di chi ci viveva: «Va unni Vicenzo Ciccune, resta vicino a Rosa, a mugghiere du Canonico», mi diceva mia madre. 
È stato confortante raggiungere Kaffefi, ritrovare i miei genitori nella loro immutabilità quasi atarassica, ritrovare Zu Pino che ogni giorno cura il suo orto in maniera maniacale e che, di tanto in tanto, mi chiama per bere insieme un bicchiere di vino. Per lui non fa differenza se è estate o inverno, l’unica cosa che importa è che ci sia sempre qualche ortaggio da poter raccogliere e condividere con gli amici, lontano dalla frenesia.

dammuso ferrandes

La pizzicatura
Maggio è il mese del vento: Scirocco e Maestrale si alternano senza tregua a Pantelleria.
Il primo arriva da sud-est e porta con sé tutta la terra del deserto e l’umidità del mare, il secondo soffia da nord-ovest e rinfresca con la sua brezza nordica. Per la vite è un momento difficile in particolare verso la fine del mese, quando va in fioritura. Il viticoltore pantesco cerca di fare tutto il possibile per proteggere le viti: le alleva nascoste in conca con il classico sistema dell’alberello radente al suolo e, sin da fine aprile, inizia la svettatura dei germogli alti che potrebbero fare da bandiera ed essere spezzati dal vento con la conseguente perdita di gran parte della produzione. Questa forma di cimatura, che in pantesco si chiama pizzicatura, si fa con l’unghia, fino a tre volte e sempre prima della fioritura. All’ascella della foglia, dove si trova la gemma fruttifera, sorgerà una femminella, ovvero un nuovo tralcio che nella maggior parte delle varietà non dà frutto, ma sullo Zibibbo (e sul Primitivo) riesce a fare dei secondi grappoli e a portarli a maturità completa: in italiano si chiamano racemi, sganguna sull’isola. La femminella, in una pianta come la vite rampicante per natura e tendente a estendersi in ogni verso, permette uno sfogo vegetativo. I nuovi tralci gioveranno al nutrimento generale, richiamando gli umori dalla terra verso le parti aeree. Inoltre, miglioreranno la fruttificazione dell’anno dopo, coadiuvando la foglia ascellare a fecondare la gemma che, in autunno, grazie a una sostanza amidacea, alimenterà il nuovo germoglio. La pizzicatura, ritardando il movimento della linfa, arresta la vegetazione per favorire i frutti, le gemme e il legno (l’ortopedia vegetale). Infine, si scopriranno i grappoletti nascenti facendogli godere la piena luce del sole e impedendo la colatura. 
Dopo maggio non resta che aspettare, se il tempo è favorevole non serviranno nemmeno i trattamenti crittogamici. Basterà la brezza ad asciugare ogni velo d’acqua della rugiada notturna. Si tornerà in vigna solo per seguire la maturazione delle uve e togliere, a mano, qualche erbaccia.