antonella

Intervista ad Antonella Sgrillo

di sandro sangiorgi e sara manzin

Roma-Palermo, 10 ottobre 2013

«Attraverso il cibo posso offrire un pezzetto di me e donarlo agli altri».

L’autrice di Io riesco a vederci il Sole. Ricette di dolci con poesie – in uscita per Porthos Edizioni in una versione completamente rinnovata (nota dell’editore) – ci racconta la sua vita: il lavoro, l’impegno per liberare Palermo dal pizzo, l’amore per il marito Aldo e la nascita del suo libro.

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– Cara Antonella, partiamo dal principio. Parlami del tuo arrivo a Palermo e dell’attività che hai svolto per liberare la città dal pizzo.
– Arrivai a Palermo trentadue anni fa, in una città totalmente devastata e chiusa in se stessa. All’inizio non fu facile ambientarmi; tuttavia, essendo una persona che non ha mai amato il termine “rassegnazione”, iniziai da subito il mio impegno nel sociale tra campagne referendarie e volontariato. Poi, quando nel 2004 Palermo fu scossa dalla rivoluzione del movimento “Addiopizzo”, mi parve del tutto naturale aderirvi con il mio ristorante. Da questa esperienza nacque la necessità di andare oltre: così insieme ad altri dieci commercianti, che come me non avevano mai pagato il pizzo, fondammo “Libero Futuro”, la prima associazione antiracket della città. Per circa un anno facemmo training con il presidente della FAI Tano Grasso. Ancora oggi sono parte del direttivo di “Libero Futuro”, ahimé come unica donna.

– Prima di aprire il ristorante quali lavori hai svolto?
(Ride) Feci dapprima un’esperienza incredibile e che da sempre m’incuriosiva: sperimentare dall’interno la realtà di una fabbrica. Lavoravo dodici ore al giorno, dalla mattina alla sera, ma dopo poco tempo il mio fisico non resse. Poi, seguii un corso di ceramica e lavorai per due anni all’interno di un’associazione che aiuta persone con handicap di vario tipo. È stata un’esperienza bellissima…

– Il ristorante “ll Mirto e La Rosa” sorse nel 1987; prima di allora avevi mai pensato di occuparti di cucina?
– Assolutamente no, anche se ho sempre amato cucinare a casa per gli amici. Poi feci questo colpo di testa: attraverso il cibo potevo esprimermi, offrire un pezzetto di me e donarlo agli altri. I primi tempi sono stati duri: ero completamente inesperta, ma avevo moltissima volontà e perseveranza.

– Tuo marito Aldo ti è stato da subito vicino?
– Sì, Aldo si è sempre occupato del settore economico, per il quale sono totalmente negata. Io, invece, curavo, e curo ancora, tutto il resto.

– La nascita de “Il Mirto e la Rosa” è stata subito contrassegnata dalla scelta vegetariano-naturalistica. Che reazione ebbe la Palermo di fine anni Ottanta?
– Palermo è una città che ha delle fiammate. Quando c’è una novità, tutti accorrono incuriositi, ma la moda passa presto, specie se troppo lontana da abitudini radicate. Il nostro fu il primo locale d’impronta vegetariana, al quale seguì due anni dopo l’apertura di un mio emporio naturale, dotato di un reparto cosmetico, uno gastronomico – con dolci, pasta, torte salate preparate da me –, e infine un reparto orto-frutticolo. Tuttavia, non era quello il momento per scelte simili. Oggi sì, ma allora non si era ancora pronti, specie in una città come Palermo. Per questo, dopo otto anni, decidemmo di arricchire il menù del ristorante – inizialmente con la pizza, poi anche con il pesce e la carne –, pur mantenendo alcuni dei nostri piatti vegetariani e conservando l’impronta naturalistica: ancora oggi cucino solo con olio e prodotti biologici.

-Com’è avere un ristorante in una città famosa per il racket?
– Anch’io, come tutti, mi posi a suo tempo la solita domanda: «Quando apro il negozio, se vengono cosa faccio?». «Non pagherò mai», risposi. Non è facile, ma credo che il contributo di ognuno di noi possa realmente cambiare il mondo: “Libero Futuro”, nato dal basso e non dall’alta politica, ne è la prova.

– Aldo era dalla tua parte?
– Certo. Quando vidi Aldo per la prima volta, portava sotto braccio la rivista Mondo Operaio; subito capii che io e questo giovane marinaio, di stanza a Roma per il servizio militare, condividevamo gli stessi ideali.