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Frammenti di Ein Prosit 2014: Carlo Zoratti

a cura di chiara guarino
foto di davide vanni

Vi proponiamo alcuni passaggi della conversazione tra Sandro Sangiorgi e Carlo Zoratti, regista friulano e autore del film The special need, durante l’incontro Il segreto delle radici: dolore, scoperta e riconoscenza, organizzato da Porthos a Ein Prosit 2014.

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Sandro: Nella tua vita che cos’è il vino?

Carlo: Il vino… è stato un rapporto conflittuale. Fino a 19 anni mi facevo schifo. L’idea stessa del vino mi repelleva, l’odore poi…

S: Qualsiasi tipo di vino?

C: Qualsiasi tipo di vino. Se mi bagnavo le dita perché toccavo un bicchiere, andavo a lavarmi le mani. Non so perché. Poi un giorno stavo mangiando brovada e muset, ho preso il bicchiere dell’acqua, ma non l’ho neanche portato alla bocca. Ho capito che c’era qualcosa che non andava, non potevo bere dell’acqua, non si sarebbe mai unita. Sarebbe stato come sciacquarsi la bocca o usare del collutorio. Ho pensato che non c’entrasse niente con quello che stavo mangiando.

S: E avevi la fortuna di avere un po’ di vino?

C: Sì, ero a tavola con i miei e c’era del vino rosso, credo fosse del cabernet. L’ho provato senza dire niente a mio papà, sapevo che mi avrebbe giudicato. Faccio una parentesi, ho sentito una volta un discorso fra mio padre e mia madre, lui in particolare diceva: «Se non beve il vino, è segno di un problema. Perché uno che non sa dove andarsi a sfogare, se non prova il vino, cerca delle cose più forti. Dopo passi a uno spinello e, piano piano, sai tu dove va!». La questione era semplice, se solo avessi provato il vino, sarei riuscito a prevenire la mia deriva verso le droghe.

S: Solo questo racconto varrebbe la partecipazione oggi. Credo che questa cosa la citerò per tutta la vita.

C: Mio padre era convintissimo e continuava: «Con i nonni che ha avuto, se sapessero che non prova neanche ad assaggiarlo… è nei geni della famiglia, io l’ho sempre bevuto con moderazione, con gusto». Ed effettivamente ho visto mio padre ubriaco una sola volta, al matrimonio di mio fratello l’anno scorso, e mi ha fatto morire dal ridere. A lui sembrava davvero ci fosse qualcosa che non andava. E quindi, quando mi son trovato con brovada, muset e vino, mi sono detto: «Non voglio neanche che si accorga che lo sto provando, non voglio che tiri delle conclusioni strampalate, del tipo “Finalmente!”, e poi, magari non mi piace». Ne ho versato un po’, l’ho assaggiato e ci stava benissimo. Un’altra cosa mi spaventava del vino: non è come la Coca Cola, che puoi comprarne cento bottiglie ed è sempre la stessa cosa. Io capivo che il vino cambiava, sentivo mio padre dire «Mmm, ha il fondo. Ah, c’è questa o quell’altra cosa», ed era questa imprevedibilità che mi mandava in sbattimento. Pensavo che non ce l’avrei mai fatta a bere qualcosa che, nel momento in cui arrivava nella bocca, non ero neanche sicuro del sapore che avesse. Era un rischio troppo alto, magari poteva essere cattiva, aver cambiato sapore o avrei potuto sentire il fondo. Il fatto che fosse variabile per me era insostenibile.

S: Ti dico una cosa sola: da oltre quindici anni lavoro sull’imprevedibilità del vino e cerco di rassicurare le persone. Tutte persone come te qualche tempo fa, timorosi che il vino potesse sorprenderli…

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C: È un po’ come andare a vedere le mostre a Berlino – io e Marina ci abbiamo vissuto tre anni – ad un certo punto hai talmente tanta paura che quella mostra faccia schifo che lasci perdere. Poi basta una sola bella mostra a compensare tutte le altre fregature.

S: È il rischio…

C: Sì, è un rischio ed è allora che ricominci. Per il vino è stata la stessa cosa. Il bicchiere che ho bevuto a casa era un buon cabernet, il cotechino e la brovada erano top level e da lì ho cominciato a bere vino, ma solo ed esclusivamente quando c’era il cotechino, l’ho sempre abbinato a quello.

S: Per quanto tempo questo?

C: Direi un anno, se c’era il cotechino bevevo il rosso.

S: Quindi tua madre lo ha fatto più spesso?

C: No, non penso che i miei si fossero accorti della cosa. Mio padre ha semplicemente chiesto «Bevi del vino?», io ho risposto sì ed è finita lì.

S: E dopo?

C: Dopo questo ho iniziato ad assaggiare, ma non ricordo la prima volta del vino bianco, perché per un po’ ho bevuto solo il rosso a pasto. Solo più tardi ho affrontato un altro scoglio, il pesce, e iniziando a mangiarlo mi si è aperta un’altra strada.

S: Perché il pesce con l’acqua è veramente difficile…

C: Dall’episodio del vino rosso è cominciata una lenta esplorazione del vino. Prima di allora l’unica esperienza positiva era legata alla mia infanzia, quando, a Mereto di Tomba, avevamo delle viti di bacò nell’orto […] Lo vendemmiavano e lo pigiavamo con i piedi, mi ricordo la tinozza e io bambino dentro.

S: E non ti dava fastidio in quel momento?

C: No, perché penso che da bambino la sensazione fisica fosse molto più forte…

S: Una sensazione soffice, meravigliosa…

C: Sì, è proprio la mia infanzia.

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Insieme a Carlo abbiamo assaggiato due vini accompagnati da due cibi preparati da Alberto Corona del ristorante Trota Blu di Caneva (Pordenone):

Friuliano 2011 Ronco Severo (Prepotto)con Tartare di trota
Sacrisassi Bianco 2011 Le Due Terre (Prepotto) con Trota affumicata a caldo con finocchio, zeste di arancio, ribes secco