04 Ott La battaglia del Tocai
ll Tocai: una battaglia di retroguardia?
Il Tocai quale nuova linea del Piave da difendere strenuamente? Può sembrare un’affermazione esagerata ma, in Friuli-Venezia Giulia, ci sono molte attese per le ultime posizioni espresse dal Governo italiano in merito all’annosa questione del nome del tradizionale vino friulano.
Andiamo per ordine. È risaputa la decisione della Comunità Europea che alcuni anni fa diede ragione all’Ungheria sulla titolarità del nome “Tokai” e suoi simili. A pagarne le spese dovevano essere principalmente il Tokay d’Alsace e il Tocai Friulano, prevedendo un regime transitorio che scadrà nel 2007. È risaputo anche che i tre vini in questione sono del tutto differenti.
Mentre i nostri cugini d’oltralpe si sono subito uniformati ed hanno aggiunto la dicitura “Pinot Gris” al precedente nome, che andrà poi a scomparire, in modo da abituare per tempo il consumatore, in Italia non si è fatto nulla di simile. Anche questa volta si è sperato che l’italico stellone alla fine sistemasse tutto. Il Ministero dell’Agricoltura di allora, in particolare, avrebbe immolato il Tocai sull’altare del Parmigiano Reggiano, in un gioco di do ut des in sede europea.
Ma perché in Italia non si è pensato ad un nome alternativo? Sono state fatte tante, troppe chiacchiere. Ad ogni convegno ed occasione conviviale usciva una nuova proposta. Si era parlato di “Friulano” (la soluzione più semplice), “Furlan”, “Taj”, “Blanc”
. Viene da domandarsi perché Regione, ERSA (l’Ente Regionale per lo Sviluppo Agricolo), Assessorati, Consorzi, si siano mossi solo ora, dopo che le barricate dovevano essere fatte 10 anni fa, quando bastava un minimo di coordinamento. Forse perché allora erano altri vini sui quali si puntava e la riscoperta dell’autoctono è cosa recente? Ritorna il problema dell’individualismo alla base dell’enologia friulana, ove tutti fanno diversamente dagli altri.
Recentemente qualcosa è però cambiato. Alcuni ricercatori hanno dimostrato che esiste un toponimo “Rio Toccai”, citato in alcune mappe, nella zona di S.Lorenzo Isontino, smentendo l’assunto ungherese che voleva il loro il solo nome legato geograficamente. Inoltre, è stato documentato che un’erede della patrizia famiglia Formentini di S.Floriano, quando è andata sposa ad un nobile rampollo ungherese, ha portato in dote delle viti di “Toccai”. Per inciso, il vitigno che dà origine al vino ungherese si chiama “Furmint” e si suppone che l’origine del nome derivi proprio dalla famiglia goriziana.
Si vorrebbe quindi riaprire la questione, in vista dell’adesione della Repubblica magiara all’Unione Europea, dal momento che vige la regola dell’unanimità degli Stati membri ed il parere negativo anche di uno solo è vincolante per la decisione. Si sentono poi giustificazioni del tipo: “Quando Friuli e Ungheria facevano parte dell’Impero Absburgico, non c’erano problemi se i due vini avevano lo stesso nome, quindi non c’è motivo per non ricreare la stessa situazione all’interno dell’UE”!
Ma è una battaglia che vale la pena di essere combattuta? O rischia di essere solo demagogica e provinciale? Me lo chiedo perché i segnali in proposito non sono molto incoraggianti.
Faccio parte del Newsgroup it.hobby.vino, il gruppo di discussione via internet in lingua italiana sull’argomento vino. Ci troviamo fra appassionati per alcuni raduni l’anno, durante i quali si visitano zone enologiche e cantine, con degustazioni alla cieca. A maggio ci troviamo in Toscana e, alla presenza di una trentina di persone dalle Venezie alla Provenza, dall’Alto Adige alla Maremma, stappiamo una batteria di bianchi di varia provenienza. Porto quello che reputo (non solo io) uno dei migliori Tocai dell’annata 1999, un vino quasi estremo nelle sue caratteristiche varietali. Orbene, in una valutazione prettamente edonistica, di piacevolezza, si piazza fra gli ultimi. Ne chiedo spiegazione: “È troppo amarognolo” (eh, beh, la mandorla
), “È troppo alcolico” (beh, 14.5° non sono più una rarità), “È troppo complesso” (e ci mancherebbe
), “Non siamo abituati a bere vini così personali” (peccato per te
). Eppure è un vino vero, senza compromessi, senza tentazioni sauvignoneggianti. È un Tocai e basta.
Approfittando di una manifestazione sui vini autoctoni friulani, cui ha partecipato anche Porthos con uno stand, organizzo un altro raduno del Newsgroup. Si ritrovano appassionati da diverse regioni, chi enotecaro, chi sommelier, chi produttore o amico di produttori. Assaggiamo una ventina di bianchi e diamo su ciascuno il nostro personale giudizio. Alla fine ci confrontiamo: in media, i Tocai (anche 3-bicchierati) piacciono meno di altre varietà. In particolare, il vero vino bianco friulano che appassiona un po’ tutti è la Malvasia, che sia in legno o in acciaio, del Carso o del Collio, fresca o d’annata. Viene da chiedersi cosa si potrebbe raggiungere se su tale vitigno investissero e si mettessero in gioco anche altri qualificati produttori, che magari al momento la propongono solo in un uvaggio
L’Osservatorio del Salone del Vino ha compiuto un’indagine, riportata dalla stampa (ad es. su “L’Avvenire” del 4/11/01, pag.13) sui vini più venduti e bevuti nelle enoteche e wine-bar italiani. Fra i primi 25 non c’è nessun vino friulano, tantomeno il Tocai, malgrado nel 2000 il consumo di vini bianchi sia cresciuto del 38%. Eppure il Friuli-Venezia Giulia risulta una delle regioni più premiate dalle varie guide. Dove sta l’inghippo? Per la cronaca, il bianco che riscuote il maggior gradimento è il Greco di Tufo, con il 6.5% delle preferenze.
Vado a trovare un amico produttore di Cormòns. Assaggiando i suoi vini entriamo in discorso sul Tocai. Mi dice che ne ha spiantato metà per sostituirlo con Ribolla. Gliene chiedo il motivo. E già si infervora. Innanzitutto è un vino che non gli piace, se non per accompagnare una fetta di prosciutto crudo. E poi, lui vende molto nei Paesi di lingua tedesca e questi gli chiedono Pinot Grigio; Pinot Grigio; Pinot Grigio; Sauvignon, Sauvignon, Sauvignon e, solo se avanza un poco di spazio, 6 bottiglie di Tocai. E le vendite in Italia non seguono un trend molto diverso. “E il vino si fa anche per venderlo
”.
È un parere condiviso da molti altri produttori, che il mondo lo girano per ritagliarsi un piccolo spazio in mezzo alla concorrenza di francesi, australiani, cileni e quant’altri. Essi sanno che il nome Tocai, all’estero, non è spendibile, non è conosciuto, non è rappresentativo. Come spiegare poi al cliente medio di un ristorante straniero che il vino che legge sulla carta non è dolce? Spesso neanche il sommelier può farci molto: il cliente, infatti, non gli chiede nemmeno un parere, l’ha già saltato e, magari, gli ha ordinato un rassicurante Chardonnay o un Pinot Grigio, che molti considerano un vino autoctono friulano
.
Al punto che il più grande Tocai Friulano degli ultimi 20 anni (cfr. Porthos n.7) si chiama “Ronco della Chiesa” e non Tocai, ossia si è scelta la strada del Cru anche come veicolo commerciale e di riconoscibilità.
Si sono persi anni per dare veramente al Tocai un nome che identificasse il territorio, un vino che in Italia e all’estero significasse Friuli. Quindi, che senso ha smuovere ora il Governo, che forse ha altre cose più importanti cui occuparsi? Che senso ha aprire un contenzioso con l’Ungheria?
Anzi, c’è da scommettere che la Francia, dopo che i produttori alsaziani hanno già adempiuto alla direttiva che prescriveva il cambiamento del nome, avrebbe qualcosa da ridire se noi volessimo fare i furbi
Solo per non mettere in crisi coloro che entrano in un’osteria friulana e chiedendo un bianco si vedrebbero servire lo stesso vino che hanno sempre bevuto ma con un nome differente? Solo per compiacere a qualcuno che fa del nome del Tocai una bandiera politica? Non sarebbe, invece, più strategico investire in una promozione seria della viticoltura friulana, che vada oltre la questione del nome del Tocai?