23 Nov L’implosione dell’avanguardia naturale
Pensateci: non si sa ancora bene come definire il “vino naturale”, ma possiamo già contare un’infinità di piccoli nuovi miti. Tutti impegnati a sottrarre, tutti più importanti dell’idea.
Se pensi che la vita sia un distributore automatico in cui inserisci la virtù e viene fuori la felicità, probabilmente resterai molto deluso.
Maggie Sibley (played by Tina Holmes) in SIX FEET UNDER (serie 5 puntata 4)
In realtà non si sta facendo nulla di particolarmente eccezionale, al massimo si potrebbe parlare di un’elementare azione di difesa. Eppure, come succede ogni qualvolta che si esagera, c’è sempre qualcuno che si ritrova a fare l’eroe semplicemente stando fermo o, al massimo, muovendo un passo indietro. Poi travolto da una responsabilità di rappresentanza che non avrebbe mai voluto avere, accade anche però che inizi a rimirare il proprio mito e rinunci di slancio all’idea. Comincia così una coltivazione diretta del proprio nuovo splendore finalizzata all’autoconservazione, che spesso è sostenuta da un’estenuante recitazione a braccio sul tema, per sempre…
L’idea soccombe sotto l’effimera luce del singolo.
Pensateci: non si sa ancora bene come definire il “vino naturale”, ma possiamo già contare un’infinità di piccoli nuovi miti. Tutti impegnati a sottrarre, tutti più importanti dell’idea. C’è il biologico generico, l’autoeletto naturale, il biodiverso, il biodinamico puro e quello di rimessa, quello vero, quello residuale, l’anfora solista o con orchestra, l’uomo semplice e il devoto, il primo e l’ultimo…
In molti, tra i produttori, hanno imparato a difendere il loro territorio, rivendicando, una parola sì e l’altra pure, l’individualismo come unico valore del loro essere alternativi, alternativi al sistema. Che si parli di produzione, di politica, di scienza o mercato non fa differenza: loro sono alternativi, sempre. L’autocompiacimento è mezzo e fine e l’idea, se vorrà, dovrà attecchire su questo terreno. E’ così che i loro confronti hanno iniziato a somigliare alle assemblee dei collettivi politici di fine anni settanta dove la paura dell’azione e/o del cambiamento riusciva a confezionare, con arte bisogna riconoscerlo, delle estenuanti flagellazioni verbali di massa e poco altro.
Il pubblico nostalgico di sinistra che, oramai per sopravvivere si attacca a tutto, con queste cose ci va a nozze. I “compagni” adorano i falsi movimenti: tutti barlumi di ipotetiche rivoluzioni, che portano con loro la rassicurante garanzia di non esplodere mai… una perfetta occasione per fare un po’ di sano esercizio di presenzialismo senza doversi scomodare a muovere nulla.
Una combinazione letale, il senso del dissenso smarrito, un circuito chiuso autoalimentato dove l’unione smette di fare la forza per limitarsi a svolgere un’azione di vicendevole consolazione: “Un altro mondo è possibile, basta che sia piccolo come me!”.