L’’intervista all’’avvocato Gianluca Fera, legale di Porthos e di Sandro Sangiorgi

– Dev’essere un risultato soddisfacente…
– Molto soddisfacente.

– Per quale motivo?
– Ho a cuore la vicenda, la causa, la storia, la finalità e l’attività di Porthos e poi la situazione processuale non era così facile da districare. Invece la risposta data dalla Corte di Appello è stata positiva, più matura e approfondita rispetto al giudizio di primo grado. Il giudice della Corte di Appello non si è limitato alle rappresentazioni delle parti ma ha analizzato i fatti e ne ha fornito una propria ricostruzione, legittimando così i motivi per i quali ha ritenuto di respingere l’appello proposto dal Gambero Rosso.

– Si potrebbe definire una sentenza non in punta di penna?
– Direi di no. Anzi, come ho detto, la Corte di Appello è entrata nei nodi della questione portata alla sua attenzione e l’ha risolta in ogni punto dando una propria, plausibile interpretazione, conforme anche a quella da noi proposta. Il nostro ragionamento è stato quello di ricondurre le affermazioni rese nel corso della puntata di Report andata in onda il 24 settembre 2004 e montate dal giornalista in maniera tale da sembrare offensive e pregiudizievoli dell’immagine del Gambero Rosso a ciò che effettivamente erano: il racconto di un singolo fatto realmente accaduto, secondo il quale, malgrado il giudizio su un vino ritenuto non sufficiente da Sangiorgi e dalla sua commissione di valutazione per entrare a far parte della Guida, era stato incluso nella Guida a sua insaputa. Ciò è stato avvertito da Sangiorgi come una circostanza tale da determinare l’interruzione del rapporto con Gambero Rosso–Slowfood e comunque l’impossibilità di proseguire la collaborazione alla Guida che durava da anni. Questo racconto è stato considerato dal Gambero Rosso un’ingiuria, una diffamazione tale da ingenerare nel pubblico l’idea che lo stesso, abitualmente, operasse in maniera non trasparente.
Di certo il montaggio del giornalista aveva cercato di enfatizzare questo racconto, tanto è vero che durante il giudizio di primo grado si era convenuta anche la RAI al fine di tenere indenne Sangiorgi e Porthos in caso di condanna perché quel racconto era stato tagliato e montato in maniera tale da fornire al pubblico una rappresentazione delle espressioni di Sangiorgi non conformi a quanto realmente dallo stesso riferito. Il giudice del primo grado ha rigettato la domanda di manlera perché ha ricondotto nell’ambito del diritto di critica, legittimo, l’operato che la RAI, attraverso il proprio giornalista, aveva voluto condurre nella trasmissione che si è occupata del mondo del vino e della comunicazione enoica. Nel giudizio di appello abbiamo scelto di non coltivare la domanda di garanzia che avevamo visto rigettata nel primo grado e questo ha avuto una serie di effetti positivi sul risultato finale.

– Il fatto di non aver coltivato la domanda di garanzia?
– Sì, tecnicamente c’è un passaggio in cui la sentenza fa riferimento a un’eccezione sollevata dal Gambero Rosso secondo cui le testimonianze assunte nel primo grado non erano in alcun modo utilizzabili perché testimonianze de relato, ovvero di soggetti che riferivano circostanze apprese dal racconto della parte interessata. Questo tipo di testimonianze non sarebbero utilizzabili, non avrebbero valenza provatoria in giudizio. In realtà il giudice ha detto che siccome non c’erano domande rivolte da Sangiorgi al Gambero Rosso e ad altre parti, tali testimonianze non potevano essere considerate de relato ma era possibile, per il giudice, utilizzarle liberamente nella determinazione del proprio convincimento, tanto che ha ritenuto attendibile il racconto di Sangiorgi, che faceva riferimento soltanto al motivo per il quale era andato via. C’erano peraltro prove documentali che quel vino scartato da Sangiorgi era stato inserito nella Guida e che quella Casa vinicola era inserzionista pubblicitaria sulla rivista del Gambero Rosso. Dunque questi fatti non potevano essere contestati. Piuttosto, era messo in discussione il criterio operativo del Gambero Rosso nel momento in cui si attuava il collegamento tra la scheda nella Guida e la pubblicità sulla rivista. Questo fatto è stato ritenuto dalla Corte di Appello, così come avevamo cercato di rappresentare, certamente lecito e di nessuna rilevanza tanto meno penale ma discutibile da un punto di vista deontologico. Proprio questo argomento era l’oggetto delle esternazioni di Sangiorgi che sono state riconosciute in entrambi i gradi di giudizio quale esercizio del proprio libero diritto di critica, come tale non sanzionabile e non costituente diffamazione. Perché questo non potesse succedere dovevano essere osservate alcune condizioni: la verità del fatto, l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto e la continenza delle espressioni utilizzate. La verità del fatto è stata accertata dal giudice sulla base delle testimonianze e dei documenti. La continenza è evidente, tanto più che il linguaggio era dimesso e il tono era sereno. L’interesse pubblico, altro punto fondamentale che mi ha sorpreso e dato molta soddisfazione, è riscontrabile dal fatto che il giudice ha valutato la meritevolezza di quell’intervista o comunque del programma giornalistico, affermando che è interesse dell’opinione pubblica essere messa nella condizione di valutare l’affidabilità delle riviste enogastronomiche a tutela dei consumatori, alle quali questi ultimi fanno affidamento nella scelta dei prodotti e dei servizi da scegliere.

– Può spiegare un po’ meglio la questione della continenza. Cosa significa precisamente?
– Le modalità espressive con le quali viene reso un racconto devono essere conformi al messaggio che si vuole veicolare e quindi non devono essere usati toni di particolare durezza, crudezza, violenza o offensività. Nel caso specifico è evidente che si era trattato del racconto di un episodio. C’era un’espressione all’inizio dell’intervista, così com’era stata tagliata dal giornalista, nel quale Sangiorgi diceva: «Non era la prima volta». Questo non era la prima volta è stata la fessura attraverso cui Gambero Rosso ha costruito l’idea della diffamazione, ritenendo che ciò alludesse a un costume del Gambero Rosso. In realtà come si è cercato di rappresentare, e questa interpretazione è stata accolta dalla Corte di Appello, l’espressione faceva riferimento piuttosto al senso di difficoltà provato da Sangiorgi in quel momento in un mondo dove interessi economici e tutela dei consumatori, quindi rispetto, adesione all’idea originaria di fedeltà, alla verità del prodotto, dei fatti, della comunicazione enogastronomica, vengono a collidere. Dunque questo tipo di intromissioni erano sentite da Sangiorgi come una pressione, e nella propria esperienza personale non era la prima volta che questo accadeva. Ovviamente la sentenza non fa e né Sangiorgi voleva fare riferimento a un’attività in alcun modo illecita svolta dal Gambero Rosso.

– Ci sono delle probabilità che possano ricorrere in Cassazione?
– Senz’altro, ne hanno diritto ma ritengo che gli spazi siano piuttosto ristretti.

Quanti giorni ha a disposizione la controparte per proporla?                                                – Questo dipende dal fatto che la sentenza sia notificata alla parte oppure no. Nel caso in cui non venga notificata, devono trascorrere sei mesi dal deposito della stessa. Dovesse essere notificata, il ricorso per la Cassazione può proporsi entro sessanta giorni dalla notifica.

– È stata notificata?
– Al momento no. E credo che non ne abbiano intenzione, in considerazione del fatto che sono soccombenti. Ha interesse a notificarla chi ha vinto la causa, per cristallizzare quella decisione o anche solo per eseguirla.

– Lei l’ha notificata?
– Non ancora.

– E c’è un motivo particolare?
– No, sono in attesa di valutare le considerazioni che la controparte vorrà fare circa l’esito del giudizio.

– Torniamo alla sentenza e al modo di operare del giudice: ha la libertà di documentarsi al di là di quel che ha a disposizione?
– Il giudice deve decidere iuxta alligata et probata partium. È espressione del cosiddetto principio dispositivo che regola il nostro processo civile. Quindi, al giudice è impedito fondare la propria decisione su fatti o su mezzi di prova diversi da quelli dedotti e indicati dalle parti. Allo stesso tempo però il giudice è un uomo, ha anche una storia personale, magari fatta di passioni o competenze particolari, si interessa alle questioni che gli vengono sottoposte e quindi può documentarsi, leggere, approfondire. Io non so se in questo caso l’abbia fatto ma dalla sentenza traspare una rilevante competenza nell’affrontare gli argomenti.

– Cos’è successo di eccezionale da portare un processo di appello a compiersi in soli tre anni?
– Effettivamente i tempi della Corte di Appello di Roma sono un po’ più lunghi. È stata una combinazione di fattori, non c’è stato alcun motivo particolare. Semplicemente all’udienza della precisazione delle conclusioni, il giudice relatore assegnato a questa causa aveva già trattenuto in decisione un numero di sentenze tale da non permettergli di prenderne altre e il Presidente del Collegio ha deciso spontaneamente di assumerla personalmente. In questo modo è stata risparmiato l’ulteriore rinvio che ci avrebbe portato alla sentenza non prima del 2013.

– Torniamo alla sentenza di primo grado. C’è da sottolineare la qualità del lavoro svolto nel primo grado dall’avvocato Gallo. Però, forse, qualcosa è cambiato. Lei in qualche modo ha modificato l’approccio nella difesa?

– Questo è fisiologico. Il giudizio di primo grado era volto, intanto, a provare dei fatti e quindi è stato svolto un lavoro di analisi nella costruzione dell’impianto probatorio che potesse attestare la veridicità dei fatti raccontati da Sangiorgi. Il giudizio di appello ha ad oggetto principalmente una sentenza ma è pur sempre un giudizio cosiddetto “devolutivo” e l’intera vicenda può essere rivalutata dalla Corte di Appello. Quindi non si tratta solo di stimare se il giudice di primo grado abbia commesso un errore di motivazione o nell’applicazione della legge perché l’intera vicenda può essere rivisitata e rivalutata dal giudice di secondo grado. Però è evidente che il giudizio di secondo grado ha delle preclusioni che lo rendono molto più snello. È molto più difficile fare attività istruttoria nel grado di appello, ragion per cui anche la difesa è stata calibrata semplicemente sulla valutazione, sulla ratifica dell’operato del giudice di primo grado e sulla correttezza delle valutazioni espresse anche in termini di esame delle risultanze istruttorie. È anche vero che la controparte ha rimesso in discussione tutto, dicendo che le prove assunte dal primo grado fossero inattendibili o inutilizzabili. Certo, la Corte di Appello avrebbe potuto ritenere che effettivamente il giudice di primo grado avesse sbagliato a valutare le risultanze istruttorie. Noi però abbiamo scelto di assumere una linea più leggera non seguendo l’appellante nella contestazione di ogni sua singola affermazione volta a smontare la sentenza di primo grado, ma dando una rappresentazione più generale della vicenda, così come ha poi fatto anche la Corte di Appello: quanto riferito da Sangiorgi riguardava la mera narrazione di un fatto storico realmente accaduto e proprio questo fatto era stato utilizzato dal giornalista di Report nella rappresentazione di una determinata dinamica all’interno dell’informazione enogastronomica. La linea è stata premiata e il merito va alla Corte di Appello che effettivamente ha dato una risposta molto soddisfacente.

– Ha temuto che qualcosa potesse andare storto?
– Certo, come si teme sempre quando si è sub iudice. Non sono parte della causa, però questa vicenda era stata caricata di una serie di pressioni non indifferenti, anche dall’esterno, perché c’era molta attesa e, dall’esito della sentenza, ne andava della vita stessa della società. Quindi ho sentito la pressione però questo fa parte del mio lavoro.

– Questo è interessante perché non è stato solo Sangiorgi a essere coinvolto ma anche la Porthos Edizioni.
– Questo secondo me è stato un equivoco indotto da Report. Nelle didascalie della trasmissione si fa riferimento a Sangiorgi come direttore di Porthos e quindi in qualche modo è potuto sembrare che in quell’intervista Sangiorgi abbia agito quale rappresentante della casa editrice. In realtà già dal primo grado la collega Gallo aveva tenuto a precisare che Porthos Edizioni non c’entrava nulla e che Sangiorgi parlava a titolo personale per un periodo in cui Porthos Edizioni ancora non esisteva, e quindi è evidente che non poteva parlarne in quella veste.

– E Porthos ha rischiato di essere costretta a pagare 1 milione di euro?

– In caso di condanna, il giudice avrebbe dovuto affrontare anche la questione relativa alla legittimazione passiva, cioè chi avrebbe dovuto risarcire il danno lamentato. Tale circostanza non è stata affrontata poiché la domanda di Gambero Rosso è stata rigettata in entrambi i gradi del giudizio.

– Quindi è rimasto solo Sangiorgi?

– No. La questione non è stata affrontata né dal giudice di primo grado né dal giudice di secondo grado perché era inutile affrontare la questione della legittimazione, in considerazione del fatto che sia nel primo che nel secondo grado Sangiorgi ha vinto. Sarebbe stato un problema nel caso di soccombenza perché si sarebbe dovuto stabilire chi avrebbe dovuto pagare, se Sangiorgi, se Sangiorgi e Porthos in solido, se solo Porthos. Ripeto, già nel primo grado era chiaro il fatto che Porthos non c’entrasse nulla perché i fatti a cui si riferisce la trasmissione sono del luglio 1999, quindi prima della nascita di Porthos e bisogna considerare che la trasmissione è del settembre 2004.