Le conseguenze del Nebbiolo (in overdose) o (in anteprima)

Espresso 907, posto 111. Stazione di Alessandria. Immagino il capotreno con un Borsalino in testa. È quasi mezzanotte. Solo, nel mio scompartimento, non riesco a prendere sonno nonostante la stanchezza accumulata in cinque giorni serrati di assaggi e un su e giù per le Langhe a ritmi inconsueti, almeno per me.

Che il Nebbiolo abbia anche effetti rivitalizzanti e sovreccitanti? Se ci ripenso, posso ancora sentire i tannini dei Serralunga, assaggiati stamattina, danzare sulle gengive. Tiro fuori appunti, elenchi e quaderni. Occupo tutti i sedili, accendo la luce e provo a riavvolgere il nastro dei ricordi, a riannodare il filo delle semplici impressioni a caldo.

Nebbiolo Prima, ossia degustazione in anteprima delle nuove annate dei vini di Roero, ma soprattutto di Barolo e Barbaresco, non due tipi qualsiasi. Un quadro complesso, eterogeneo in cui gli stili produttivi si intrecciano e si sovrappongono alle caratteristiche dei vari terroir, dei cru, anzi no, Menzioni Geografiche Aggiuntive, il tutto declinato dall’andamento meteo dell’annata.

Le variabili sono tante, forse troppe. Faccio un rapido conto: oltre 350 vini degustati in cinque mattinate, dà la media di un vino ogni tre minuti. Con tutta la buona volontà, credo che capire, decifrare e valutare in pochi minuti, sul tavolo bianco di degustazione, quello che è successo nel corso di alcune stagioni, tre o quattro anni addietro, mi sembra un’operazione che rasenta l’azzardo. Però indicazioni interessanti sì, quelle non mancano.

Innanzitutto, prima che una degustazione, Nebbiolo Prima è una spettacolare operazione di marketing che non ha eguali nell’Italia del vino. Se ci mettiamo pure la novità dello scenografico volo in elicottero sui vigneti di Barolo e Barbaresco, forse nemmeno in Europa. Le aziende partecipanti rappresentano all’incirca più del 50% delle bottiglie prodotte. Non è poco. Oltre ad alcuni produttori che prolungano i tempi di maturazione dei propri vini e per scelta non inviano campioni di botte, mancavano nomi illustri della produzione langarola. Si dice che gli assenti hanno sempre torto e alla luce di queste considerazioni forse ne hanno ancora di più. Anche loro, di fatto, traggono indubbio beneficio, almeno indirettamente, dal grande giro di giornalisti e operatori che invadono le Langhe per una settimana. La loro assenza è legittima ma appare stonata. Comunque è andata molto bene. L’organizzazione delle degustazioni, il servizio puntuale dei sommelier, gli eventi, il ricco programma di visite in cantina, tutto sembra aver funzionato. Non è scontato che ciò accada. Quelli di Albeisa (gli organizzatori) e di Artevino (il braccio operativo) hanno fatto un ottimo lavoro, non c’è che dire.

Stazione di Tortona, è terra di Timorasso, non divaghiamo. Ho degustato, comunque alla cieca, all’Ampelion, la cosiddetta Cittadella del vino di Alba, sede, tra le altre cose, del Corso di laurea in Viticoltura ed Enologia dell’Università di Torino, in compagnia di buyers e operatori provenienti da ogni angolo del globo. È stato molto istruttivo confrontarsi quotidianamente con molti di loro, un’esperienza nell’esperienza. Capire come gli altri guardano al Barolo, constatare che una parte di mondo si aspetta un’idea di Barolo diversa dalla tua, finisce per dare un senso a quei Nebbioli rotondi, levigati, più concentrati che ancora si producono.

Stazione di Voghera, chissà se la famosa casalinga esiste davvero… È un treno di altri tempi, dove puoi ancora aprire i finestrini e affacciarti a salutare gli amici. La stazione è deserta, getto uno sguardo fuori, prendo una boccata d’aria e mi tuffo nuovamente nella giungla dei vini, sorvolando sul Roero per il quale ho elementi troppo scarsi per una valutazione. Il Barbaresco ha presentato i vini della vendemmia 2009 (e le Riserve 2007) un’annata che nel complesso si può definire calda, caratterizzata da una raccolta mediamente anticipata con molti zuccheri e acidità non elevate. Un tecnico esperto di Barbaresco come Giancarlo Montaldo ha definito l’annata “grandiosa” (valutazione provvisoria). Di sicuro alla fine avrà ragione lui, ma alla luce degli assaggi il primo aggettivo che mi viene in mente è “contraddittoria”, poi magari anche misteriosa. Molti vini buoni ed equilibrati si contrappongono a un schiera di vini problematici o con elementi di surmaturazione come a indicare un’evoluzione troppo avanzata. Un’annata ancora difficile da decifrare e nella quale, più che in altre, la differenza la farà la mano, la sensibilità e il talento del produttore.
Ci sono comunque dei vini che mi sarei portato a casa.

Barbaresco
Cà du Rabajà (Alutto Lorenzo), Rabajà – uno stile deciso, austero, una stoffa serrata e tesa con i tannini graffianti. Buono e sulla stessa lunghezza d’onda anche il “base” di questo giovane ex conferitore della Cantina Produttori.
Cortese Giuseppe, Rabajà – freschezza e muscoli agili sono il marchio di fabbrica di questa piccola azienda tradizionale; ha un attacco energico, poi si distende senza cedimenti con una trama tannica affilata.
Tenute Cisa Asinari, Martinenga – colore vacillante, profilo fresco, floreale, elegante e potente. Con lo schiocco, come lo voleva Monelli.
Olek Bondonio, Roncagliette (un cru poco conosciuto che comunque ha al suo interno il Sorì Tildin di Gaja) – freschezza floreale e speziata che si sposa molto bene con una materia soda e sostanziosa.
Cà Romè, Sorì Rio Sordo – sentori marini che si uniscono a profumi di fragola in una quadro elegante e raffinato; in bocca mantiene lunghezza e unità olfattiva senza strafare.
La Cà Nova, Montestefano – Palesa qualche problema olfattivo poi si apre su toni di sottobosco e spezie; in bocca ha tensione e tannini fitti. Ha personalità e sembra crescere nel bicchiere.
Cantina del Pino – il frutto e la freschezza sono in primo piano; in bocca fa della continuità e tensione tannica le sue doti migliori.
Produttori del Barbaresco – anche se il naso sembra cedere su toni più maturi, la bocca è tesa e convincente. Un classico che raramente tradisce. È piaciuto molto anche il Pora 2007, l’unica Riserva presentata dalla cantina (di fatto l’unica ancora disponibile in questa annata). Un vino brillante, con un profilo giocato tra agrumi e erbe aromatiche e tannini risoluti e puliti.

Neive
Fontanabianca, Bordini – frutto rosso intenso al centro del profilo olfattivo, molto serrato, in bocca ha tannini gagliardi e un finale teso un po’ amarognolo.
Castello di Neive, “Santo Stefano” Albesani – quadro olfattivo aperto e complesso di frutta, fiori e agrumi che si ripropone puntuale nel fresco sviluppo gustativo. Di buono spessore anche la Riserva 2007 dello stesso cru.

Stazione di Piacenza, quasi non me ne accorgo. Siamo arrivati al Barolo, annata 2008, millesimo che portava con sé aspettative incoraggianti e molti crediti. I buoni livelli dell’acidità e del pH lasciati in dote dalla stagione mediamente fresca, certo lontani dalla grande 1996 (forse quelli dobbiamo dimenticarli per sempre) ma comunque di tutto rispetto con i tempi che corrono, lasciano presagire eleganza e un invecchiamento promettente. Un’annata che si ama definire classica. Complessivamente le tornate di assaggio dei quasi duecento Barolo 2008 hanno confermato le attese: rari i vini ingombranti, certo ce ne sono ancora diversi in cui la presenza dolce del legno è apparsa sopra le righe, ma numerosi quelli seri e rigorosi che lasciano intravedere lampi e numeri degni di un Barolo, meritevoli di essere attesi. Ce ne sono alcuni che hanno lasciato un segno già da subito e che hanno meritato un riassaggio a fine degustazione. Una gimkana tra inossidabili e rassicuranti conferme, alcune sorprese e altre secche smentite di certezze precostituite.

Novello
Elvio Cogno, Ravera – trasparente nel colore, reticente al naso, sentori appena accennati di agrumi; poi in bocca è avvolgente, incisivo e molto lungo.

Grinzane Cavour
Bruna Grimaldi, Camilla – il Barolo meno importante di questa piccola azienda; bel colore trasparente, sentori di radice di liquirizia e una bocca tattile e vibrante.

Verduno
Castello di Verduno, Massara – frutto scuro bene in evidenza, mostra eleganza, complessità e sapore definito. Convince anche se sembra cedere un po’ nel finale

Barolo
Giuseppe Rinaldi, Connubi San Lorenzo – Ravera e Brunate – Le Coste. Due conferme stupende, vini che non hanno paura dell’acidità. Il primo più pronto, nervoso, quasi elettrico, un profilo ferroso con una nota gentile di rosa; il secondo come sempre più arcigno, lascia trapelare note salmastre, è serrato nella trama e affilato nei tannini finali.
Brezza, Sarmassa – dimostra la sua tensione già al naso, dinamico e sottile sulle note di spezie e melograno, poi è unito, continuo e convincente in bocca.

Castiglione Falletto
Brovia, Rocche – naso fresco con richiami marini e di erbe aromatiche; poca carne ma tanta fibra, vibrante e profondo. Di razza.
Giacomo Fenocchio, Villero – un naso che evoca calore e la dolcezza della prugna; ha un corpo suadente ma ha un’acidità continua che sostiene e rilancia la tensione gustativa.

La Morra
Mauro Molino, Vigna Conca – un profilo olfattivo scuro e tenebroso, una bocca vibrante e fresca con note finali di liquirizia.
Mario Marengo, Brunate – introverso al naso ma deciso e elegante in bocca con una grana tannica fine e un prezioso finale di erbe aromatiche.
Marcarini, La Serra – ancora non dichiarato dal punto di vista olfattivo ma i tannini serrati e incisivi e l’energia che sprigiona promettono molto bene.
Bosco Agostino, La Serra – classico nei suoi profumi floreali, dimostra un’apprezzabile distensione e un’articolazione tannica precisa.
Monforte d’Alba
Manzone Giovanni, Gramolere – naso di frutti rossi, molto fresco e dinamico; snello, deciso lo sviluppo, molto pulito il finale di bocca.
Fratelli Alessandria, Gramolere – fruttato, solare e disponibile, un vino dall’aspetto tenero che però dimostra vigore in bocca.
Silvano Bolmida, Bussia – erbe essiccate, toni balsamici, potente e succoso; ha un bel carattere e mi ispira nonostante qualche incertezza olfattiva.
Serralunga d’Alba
Palladino, Parafada – erbe balsamiche, tabacco, molto lungo e complesso con l’energia e i tannini giusti. Buono anche il Serralunga “base”, verace e mordente.
Brovia, “Cà Mia”, Brea – maturo nei sentori floreali e fruttati, ha eleganza, sapidità e tannini molto fini. Fa di fragilità virtù.
Ascheri, Sorano e Sorano Coste&Bricco – Due vini dallo stesso cru per questa storica cantina di Bra; toni balsamici per il primo, freschezza floreale per il secondo, in comune sobrietà, buona sapidità e i tannini di Serralunga.

Bologna Centrale, sosta prolungata. Non guardo nemmeno fuori. Stanotte mi ricorda solo una triste mattina di agosto di tanti anni fa e dei versi corrosivi di Zanzotto: E il nome di Maria Fresu / continua a scoppiare / all’ora dei pranzi / in ogni casseruola / in ogni pentola / in ogni boccone / in ogni / rutto – scoppiato e disseminato – / in milioni di / dimenticanze, di comi, bburp.
Per fortuna il treno affonda rapido nel buio della pianura Padana e stramazzo dal sonno. Mi sveglio in compagnia di uno sconosciuto che dorme beatamente. L’Adriatico è proprio lì, sotto il finestrino appena rischiarato. Se mi riaddormento potrei arrivare fino a Bari e la memoria mi consegna un’ultima immagine. Mi rivedo salire la bella scalinata verso l’Ampelion attraverso i filari a giropoggio accuratamente diserbati della gloriosa Regia Scuola Enologica di Alba. Un sorriso accennato e un saluto complice con gli operai della minisquadra impegnati nella potatura verde. Mi fermo un attimo. È proprio ingenuo pensare che dovrebbero essere gli studenti a fare questi lavori, ragazzi che fra qualche anno dovranno recitare il mantra che il vino si fa in vigna. Almeno sapere di che si sta parlando. Chissà se ai tempi di Domizio Cavazza funzionava pure così. Ma di questo sarebbe il caso di riparlarne.

San Benedetto del Tronto, alba chiara sul mare in bonazza. Pure stavolta è andata, ai cinque giorni di Langa ho rubato anche una notte.
È proprio come dice Leo Ferré: «La felicità è una rapina permanente».