L’olio extravergine di oliva tra sofisticazione e qualità. Intervista a Leonardo Seghetti

La Commissione Europea ha pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 27 gennaio 2011 il Regolamento 61/2011 “relativo alle caratteristiche degli oli d’oliva e degli oli di sansa d’oliva nonché ai metodi di analisi ad essi attinenti”. La norma introduce la valutazione di un parametro chimico analitico che consente di valutare, seppur con alcuni limiti, la qualità e la genuinità dell’olio di oliva extravergine. Come spesso accade quando si discute delle norme in materia di prodotti alimentari, la confusione sotto il cielo è grande. E’, infatti, già fiorita una piccola letteratura interpretativa che ne ha travisato il contenuto originario e, anziché informare i consumatori ignari, ha innescato inutili allarmismi. 

Abbiamo provato a gettare una luce “deodorata” sui contenuti del regolamento in particolare e sulla questione delle sofisticazioni degli extravergini in generale attraverso un’intervista a Leonardo Seghetti, docente presso l’Istituto Tecnico Agrario di Ascoli Piceno.

– Iniziamo col chiarire quello che dice il testo del Regolamento e col presentare gli alchil esteri.
In estrema sintesi il Regolamento introduce e regola il contenuto di alchil esteri come parametro di valutazione qualitativo degli oli di oliva extra vergini, perché sono importanti molecole marcatori degli oli deodorati e di cattiva qualità. Negli ultimi due anni si è fatto un gran parlare sull’individuazione di questa nuova classe di composti, sia nella frazione metil che etil esteri degli acidi grassi. I metil esteri (MEAG) si originano quando le olive sono raccolte in uno stadio avanzato di maturazione: le pectine si idrolizzano, liberando alcol metilico che si esterifica con gli acidi grassi liberi staccatisi dai trigliceridi per azione dell’enzima lipasi. Gli etil esteri (EEAG) invece si formano nella fase di conservazione: quando le olive sono ammassate da più giorni si verifica la rottura cellulare con fuoriuscita di acqua di vegetazione che, contenendo zuccheri, fermenta, con produzione di alcol etilico. In questo caso l’alcol si esterifica con gli acidi grassi formando il composto in questione, identificabile, attraverso l’analisi sensoriale, come difetto organolettico di avvinato.

– Che c’entra la deodorazione con tutto questo?
Con le tecniche più avanzate della deodorazione a pressione modificata si riesce a correggere gli oli con tali difetti organolettici, senza però eliminare gli etil esteri, per poi aggiungerli ad olio d’oliva extravergine o porli direttamente in commercio.

– Quali sono i limiti di alchil esteri e come si è arrivati a stabilirli?
Alcuni ricercatori sia spagnoli (Arturo Cert dell’Instituto de la Grasa di Siviglia), che italiani (Giovanni Lercker dell’Università di Bologna, Ernesto Corradetti dell’ARPAM di Ascoli Piceno) hanno studiato il problema e hanno rilevato la presenza degli alchil esteri negli oli commerciali. Ciò ha portato la Commissione di Chimica Analitica degli Oli e Grassi della UE a mettere a punto una metodica riproducibile in tutti gli stati membri. Con la suddetta è stato fissato il limite legale per gli alchil esteri totali a massimo 75 mg/kg, limite che viene innalzato a 150 mg/kg nel caso in cui il rapporto tra gli etil esteri e metil esteri (EEAG/MEAG) sia inferiore a 1,5. Il problema è sorto quando, in sede di traduzione, è stato erroneamente invertito il rapporto tra gli esteri, ovvero MEAG/EEAG; tale rapporto cambiava completamente il significato della norma emanata, perché in questo modo il 30% di oli che avevano dei problemi sarebbero rimasti in commercio, tanto che subito si è proceduto alla correzione. Comunque, in base alle indagini condotte, gli oli extra vergini italiani hanno in media una quantità di alchil esteri totali tra 30 e 40 mg/kg, mentre quelli spagnoli risultano avere valori molto più elevati.

– Le critiche e le polemiche che ne sono seguite erano quindi un po’ frettolose?
Le critiche, addirittura una richiesta parlamentare di modificazione della legge europea, sono arrivate soprattutto da chi “non conosce” la questione. Con molta semplicità si è trascurato tutto il lavoro fatto, ma soprattutto si è dimenticato che in Europa ci si deve confrontare con diversi Stati, ognuno dei quali cerca di salvaguardare le proprie produzioni, per arrivare a una mediazione e stabilire i limiti legali proposti. Ancor più grave è stato lo sbandierare ai quattro venti che l’Unione Europea avesse “autorizzato” la frode. È esattamente il contrario. Innanzi tutto è importante che la norma sia entrata in vigore per limitare l’aggiunta di oli classificati come di oliva extravergine che contengono tali componenti. Sicuramente in un prossimo futuro, una volta standardizzato il metodo analitico in tutti gli Stati membri, i limiti potranno essere ulteriormente abbassati. In secondo luogo, resta comunque il fatto che lo stare entro un certo limite non uniforma il prodotto dal punto di vista qualitativo. Ad esempio, si può certamente constatare una differenza tra gli oli di oliva extravergine con acidità di 0,10% rispetto a quelli vicini allo 0,8%, oppure tra oli con perossidi di 3 meq/Kg rispetto a quelli con perossidi di 15 meq/Kg; eppure entrambi i valori sono considerati di qualità perché sotto la soglia legale.

– La produzione di olio d’oliva costituisce terreno molto fertile per tutte le attività di sofisticazione e di frode. In quale percorso storico normativo si inserisce questo nuovo Regolamento?
A memoria personale, il 2010 ha rappresentato il cinquantesimo anno della prima legislazione italiana sull’olio di oliva vergine (L. 1407/1960) che proponeva pochi parametri per la classificazione merceologica dell’olio di oliva vergine; in particolare venivano indicati l’acidità libera ed il numero dei perossidi. Per quanto riguardava le caratteristiche organolettiche il testo di legge parlava di “gusto irreprensibile” ovvero tutto e niente, mentre per la valutazione delle frodi si rimandava a degli indici di natura chimico-fisica abbastanza approssimativi. Grazie alla lungimiranza di tanti ricercatori (amo ricordare coloro che non sono più tra noi, come Angelo Cucurachi e Mario Solinas dell’Istituto Sperimentale per la Elaiotecnica di Pescara), dopo molti anni di lavoro serio e appassionato si è giunti alla nuova legge sull’olio di oliva: il Regolamento CEE 2568 del 1991, che per la prima volta ha introdotto nella classificazione degli oli di oliva vergini il panel test per la valutazione dei caratteri organolettici, oltre a una ventina di parametri chimico-analitici per valutarne la qualità e genuinità. In questo lasso di tempo, ma ancor prima e ancora oggi, l’olio di oliva è stato oggetto di numerose sofisticazioni, come l’aggiunta di oli di semi o di olio di sansa, rivelabili grazie alla gas-cromatografia dall’inizio degli anni sessanta. Qualche anno dopo, grazie al lavoro di Antonio Montefredine e Luciano Laporta del Laboratorio di Igiene e Profilassi della Provincia di Pescara, fu introdotta la spettrofotometria nell’UV per valutare sia lo stato di ossidazione degli oli di oliva vergini sia l’aggiunta di olio di oliva rettificato, frode assai frequente in quel periodo storico. Una delle sofisticazioni più frequenti negli anni ’70 e ’80 era l’aggiunta di miscele di oli di semi con composizione acidica vicina a quella degli oli di oliva vergine, scoperti solo con la determinazione qualitativa della componente sterolica per via gas-cromatografica. Nonostante queste applicazioni analitiche, le frodi continuano ancora con l’affinamento di alcune tecnologie di estrazione, rettificazione e desterolizzazione degli oli. Per la garanzia dei consumatori, ignari di tutto ciò, il mondo della ricerca, con il lavoro oscuro di tanti studiosi e con pochi mezzi economici, continua il suo percorso verso una più approfondita conoscenza dell’olio di oliva extravergine e delle sue sofisticazioni. Recentemente sono stati introdotti nuovi metodi analitici per scoprire le frodi, come ad esempio la determinazione degli stigmastadieni, derivati dalla modificazione degli steroli e quindi presenti solo negli oli raffinati e/o desterolizzati, o la determinazione degli isomeri trans che si formano nella raffinazione degli oli, oppure la determinazione dell’ECN 42 che consente l’individuazione di miscele di oli di semi a composizione acidica diversa, anche ad alto contenuto di acido oleico.

– Qual è la differenza tra rettificazione e raffinazione?
È molto semplice. La rettificazione è un processo chimico fisico (deodorazione, deacidificazione, demucillacinazione, dewintirezzazione) che subisce un olio che presenta problemi (ad esempio un olio lampante). Alla conclusione di questo processo l’olio si definisce raffinato.

– Quali altri provvedimenti normativi sarebbero urgenti per migliorare la qualità degli oli extra vergini in commercio?
La strada è ancora lunga, ma l’intervento che pare più urgente sarebbe l’introduzione di una norma che preveda un metodo analitico per la misurazione delle sostanze fenoliche, composti bioattivi di alto valore salutistico, ormai da decenni studio di autorevoli ricercatori (Montedoro e Servili dell’Università di Perugia tra gli altri). Basti pensare che nei disciplinari di alcuni oli DOP sono riportati i limiti minimi di sostanze fenoliche, ma solo in pochi è riportato il metodo analitico per la loro determinazione. Sarebbe ora di uniformare tali metodi e aggiungere parametri che consentano un ulteriore miglioramento qualitativo degli oli di oliva extravergini in commercio. È altresì evidente la scarsa e spesso non corretta informazione nei confronti del consumatore sulle caratteristiche organolettiche degli oli di oliva extravergini. Ad esempio, in pochi sanno che le qualità organolettiche caratterizzanti un buon olio sono il fruttato, nelle sue varie nuance, l’amaro e il piccante: tali sensazioni assolvono sia al piacere edonistico che nutrizionale salutistico. In particolare le sensazioni di amaro e piccante sono direttamente legate alla presenza delle sostanze fenoliche, le quali diventano importanti per gli aspetti salutistici solo quando il loro contenuto è superiore a una certa soglia. Il consumatore medio è sempre più sensibile nei confronti di queste tematiche e se fosse informato adeguatamente sono sicuro che compierebbe delle scelte differenti, ovvero più orientate verso la qualità.