Miniature di Agosto 2005

Stiamo prendendo le misure con i tempi che ci imporrà la nuova gestione del sito di Porthos. Non è facile, lo abbiamo scritto e detto in mille modi, abbiamo una lentezza che ci impedisce di stare dietro a tutto, ma lo facciamo volentieri se qualche collega ci aiuta.
E’ il caso di Franco Ziliani, al quale non è andata giù la trattazione di Michel Bettane sul Barolo, leggete l’editoriale del cacciatore bergamasco su www.lavinium.com, per comprendere quanto l’arroganza sia merce diffusa nel giornalismo francese. Non ci sentiamo di aggiungere nulla all’articolo di Franco, il suo stile debordante fa di tutto e di più; segnaliamo solo che qualche anno fa su Porthos avevamo sottolineato la congenita difficoltà di confrontarsi con l’esterno degli esperti francesi di vino, in particolare quando è necessario comprendere la territorialità dell’Italia e della Spagna; per fare presto Bettane e soci usano da sempre il parametro parkeriano: colore denso e cupo, naso concentrato e legnoso, gusto voluminoso e rotondo. Siamo senz’altro più provinciali ma almeno questo ci obbliga a imparare, e bene, prima di parlare e di scrivere.

Qualche volta invece è la memoria a fare brutti scherzi. E’ il caso del libro di Carlo Petrini dedicato alla nascita e alla crescita del movimento Arcigola-Slow Food. Il presidente non rammenta, fa finta di dimenticare, e comunque omette l’importanza del programma didattico dell’associazione, diretto dal 1988 al 2000 dal curatore di Porthos. I corsi di degustazione hanno allevato molti degli attuali collaboratori delle varie guide, anche se di questi attualmente sono meno orgoglioso visti i risultati delle recenti edizioni; forse non ho avuto abbastanza tempo per farli crescere; oppure sarà colpa dei curatori che non rappresentano esempi positivi? O sarà l’insopprimibile desiderio di uscire dall’anonimato che convince ad accettare parametri non condivisi pur di esserci a tutti i costi, pur di avere il proprio nome tra i collaboratori?

Ad ogni modo, i corsi di Sangiorgi/Arcigola-Slow Food, immaginati e realizzati con Egidio Fedele Dell’Oste, hanno stimolato la creazione dei “laboratori del gusto”, hanno portato non meno di 8000 soci all’associazione, hanno permesso di diffondere le nostre pubblicazioni, hanno portato centinaia di partecipanti a eventi quali “Milano Golosa”, le diverse Convention, Excellentia, le prime, bellissime, edizioni del Salone del gusto di Torino, e tutta l’attività in occasione dei Vinitaly. Insomma, non saremo più amici, e questo succede, ma ricordarsi della verità non costa molto, anche in considerazione di ciò che Slow Food rappresenta rispetto alla piccolezza di Porthos e del sottoscritto. Una svista del genere non appartiene a Petrini, almeno per come lo ricordo; è più facile che sangiorgi sia sfuggito alla nutrita redazione che lo ha aiutato a scrivere il libro. A quest’ultimo dedicheremo invece una recensione più completa e meno personale, che avrete la possibilità di leggere in una delle prossime newsletter.

Una riflessione sull’ultimo rapporto dell’Associazione Albergatori che lamenta la scarsa affezione dei turisti italiani per le strutture alberghiere nazionali. «E’ stato un anno terribile – dicono – abbiamo perso più del 6% e non ci consola aver recuperato il 2,4% di stranieri rispetto al 2004, che era stato uno dei punti più bassi della nostra storia. Gli italiani vanno all’estero perché si lamentano dei prezzi troppo alti degli hotel di casa nostra». Forse questa perentoria esternazione non basta a spiegare cosa accade, è meglio leggere il resoconto del rapporto ed emerge almeno un elemento in più: è la qualità degli alberghi italiani a non essere soddisfacente rispetto al prezzo richiesto. Le strutture del Bel Paese sono tra le più belle, ma non sempre la conservazione è all’altezza: esiste infatti una fascia di alberghi, che hanno ambizioni maggiori di semplici pensioni e non arrivano a quelle dei super stellati, a cui molti di noi si rivolgerebbero volentieri se notassero un maggiore impegno verso il cliente. Invece accanto alla cattiva gestione della struttura – di solito si curano le hall e gli ambienti di ricevimento e ci si ferma lì – si trova un servizio scadente che riflette la mediocre scuola alberghiera nazionale. Per cui esiste una frattura tra ciò che si paga troppo poco per poter pretendere, vedi B&B e pensioni, e ciò che costa così tanto che «… ci mancherebbe pure!». A quella che dovrebbe essere la fascia medio-alta di qualità non è sfuggito il cambio alla pari lira-euro, in compenso il servizio si è infarcito di menefreghismo e improvvisazione, contribuendo al declino dell’immagine e della sostanza. Si spende in marketing e pubblicità, pochissimo in formazione e gestione delle strutture. A fare un movimento di qualità non bastano le ottime intenzioni, seguite da equivalenti azioni, di pochi volenterosi professionisti; gli albergatori italiani si sentono soffocati dalle tassazioni locale e nazionale; si lamentano del governo che dovrebbe fare scelte di lungo respiro e invece si accontenta di rassicurare con i sondaggi; si sentono martiri di un lavoro che non li soddisfa più, tutto questo il cliente attento lo avverte fino in fondo.

Inevitabile dunque che gli italiani si rivolgano dove si è abituati a conquistare il patrimonio cliente non badando solo alle bellezze da cui si è circondati.