iubi collage

Miniature di fine 2020


Se per il tuo occhio ironico io intravedevo la speranza


era per nascere ironica che fui fra le prime a immaginarti vivo.
Amelia Rosselli
Tratta da Le Poesie, Garzanti Editore, 1997, Milano.
A cura di Emmanuela Tandiello, prefazione di Giovanni Giudici.

Cosa sognano gli animali
Cosa sogna Iubi mentre distesa qui vicino fa micro scatti ed emette suoni che sembrano richiami amorosi?
Scrivo qualche riflessione sul mio e nostro 2020 e una certezza c’è, i sogni della cagnolina che da due anni vive con me.
Eppure le sue orecchie sono così vigili e, pur assorbita dai sogni, forse sente il rumore dei miei pensieri; allora, alza la testa e guarda verso di me, sospesa, in attesa di un segnale.
Mi piacerebbe perdere conoscenza mentre scrivo, come lei quando sogna. Avere la mente abbastanza vigile da registrare cosa accade e da potersi attivare al primo segnale, ma restare comunque assorto dal piacere dell’immaginazione. In una condizione senza tempo.

iubi collage

 
Non vedo l’ora di non andare via
Tempo è una parola così bella, per il suono e l’eleganza dell’unione tra consonanti e vocali, per come fluisce. Più di altre volte sento che rappresenta bene l’anno che sta per finire. Provo a orientarmi, amo le date, il prima e il dopo di un certo giorno, di una particolare settimana, ma non riesco… Gennaio e febbraio 2020 sono stati due mesi così intensi, e vari, e sorprendenti, che sembrano appartenere a un altro secolo, se li confronto con i successivi. Non voglio fare una cronaca, visto che tutte le persone più o meno l’hanno vissuta così, solo provare a ribaltare la concezione diffusa del tempo che passa come irreversibile a favore di una percezione unitaria. I giorni già trascorsi sono ancora qui con me, tutti quelli che riesco a ricordare, e anche gli altri, mi accompagnano in quello che faccio senza mai allontanarsi e passare. Per questo non credo all’invecchiamento, mentre concepisco la trasformazione dei nostri talenti, a patto di volerci essere, a patto di non abbandonare più o meno consapevolmente.
Devo essere influenzato dalle Teorie del tutto e dalla Sintropia, perché mi sembra che termini come “vecchio” e “giovane” abbiano solo un valore cronologico, numerico, siano quello che sono, una convenzione. Io invece mi sento in uno stato fluttuante, sono insieme “senza tempo” e “con tutto il tempo”. Non si tratta di una sensazione d’immortalità, anzi… mi verrebbe da dire che sono pronto. Non significa aver imparato a vivere tutte le volte il presente, essere diventato saggio; mi capita di fare dispendiose fughe in avanti e di avere nostalgie da perdente, però… è bellissimo, inebriante, poter contenere tutto me stesso, ora e sempre nello stesso momento.
Ecco, se devo pensare ai tanti doni che ho ricevuto nel 2020, quello che ho appena descritto è il più prezioso. Inestimabile nel senso vero del termine, non solo perché impossibile da stimare, ma anche per la natura dinamica e universale della condizione che mi regala. Nessuna retorica, né perché c’è sempre qualcuno che sta peggio, né perché come cazzo fai a non lagnarti visto quello che sta succedendo. Solo l’augurio più grande che mi sento di fare: non avere il tempo per lamentarsi.
La frase che ho usato per intitolare questa miniatura è di Gioele Dix e viene dallo spettacolo “Nascosto dove c’è più luce”, messo in scena nel 2011.

Agrumeto

Cosa berremo in futuro
Sento che ci siamo quasi.
Per me il vino buono può essere solo un vino naturale, l’ho già scritto e detto. Da circa tre anni assisto a un nuovo scenario della crisi del movimento dei produttori naturali, una congiuntura da noi documentata già alla fine dello scorso decennio. Dalle crisi possono nascere delle opportunità, lo diciamo, lo sentiamo ripetere e ne siamo sempre più persuasi. A un certo punto è stato chiaro che bisognasse incrementare la consapevolezza e la competenza delle tante aziende naturali che si erano appena affacciate sul mercato, ingeneroso il confronto con le poche ormai consolidate. È un processo non facile e non veloce, visto che è necessario tenere insieme l’agricoltura e la conoscenza delle trasformazioni alla base dell’enologia, per questo credo che incontreremo ancora liquidi poco fini, sbagliati e, talvolta, imbevibili. In questo stesso periodo diversi dei produttori più bravi hanno portato i prezzi delle loro bottiglie a cifre impraticabili per coloro che fanno Porthos e per una fetta consistente della comunità che ci frequenta. Noi rappresentiamo la classe media che, in un modo o nell’altro e anche per sue responsabilità, si è indebolita finanziariamente e culturalmente e ora è così vulnerabile. I prezzi di queste bottiglie, prodotte da uomini e donne che stimiamo, sono accessibili a chi ha un altro potere d’acquisto, persone più facilmente reperibili all’estero. La mia riflessione, però, non è diretta alla politica dei prezzi alti, che merita un confronto articolato e approfondito che di certo faremo, consideratela una promessa. Io voglio proprio invitare le persone come me a pensare: e ora cosa compriamo? Molte delle aziende naturali sorte in questo arco di tempo hanno un’onestà e un’energia invidiabili, le proprietà si danno da fare per recuperare ciò che non hanno potuto imparare e conoscere prima di scoprire l’amore per l’agricoltura e la produzione del vino. Ciononostante, la sensazione è che molte di queste si affidino a luoghi dalla vocazione incerta se non mediocre, questo ci dicono le degustazioni che stiamo conducendo. Impeccabili premesse aziendali e familiari, tanto lavoro, vini generosi, schietti, di rado interessanti. Nell’editoriale di Porthos 37 ho scritto che la naturalità è spietata, tira fuori quello che c’è, quindi anche la mediocrità dei luoghi. 
In giro per l’Italia, nelle zone di maggiore pregio e celebrità, i vigneti migliori sono spesso in mano ad aziende convenzionali, per nulla interessate a coltivare con un approccio bio; te ne accorgi dai loro vini, ma anche solo guardando le vigne, posizioni fantastiche dove non circola nulla, giardini di morte. 
In questo periodo di forte incertezza su cosa bere, amo assaggiare dei vini in trasformazione, fare dei test considerando variabili come la Luna, i contenitori, le modalità di coltivazione e potatura delle piante, le date d’imbottigliamento, i tappi, per penetrare le differenze e, perduto nella miriade di segnali diversi, riconnettermi all’amore per il liquido e per la sua essenza primigenia.
Allora mi accorgo che dedicarmi a un tipo di vino, magari proprio la bottiglia di “quel” produttore, per afferrarne tutto il comprensibile, mi aiuta ad avvicinarmi a tutti i vini. E quando mi capita di aprirmi a un confronto tra prodotti diversi mi sento preparato, sensibile, pronto a cominciare una nuova ricerca.

vigneto neve
foto di gaia bindella

Porthos 37
Dal paragrafo “Debito di riconoscenza” dell’introduzione: «Al gruppo di lavoro, alle persone che con me hanno curato la realizzazione del numero e a coloro che vi hanno collaborato va la mia estrema gratitudine. I nomi sono sul colophon, i cuori nelle centosessantotto pagine. Ognuno come punctum barthesiano, mi suggerisce Matteo, nel senso di ciò che agisce sull’animo e sulla memoria». In una bozza avevo scritto «i cuori spiaccicati sulle…», poi sembrava troppo splatter e lo abbiamo tolto, ma nei fatti è stato così. 
In questo momento, su P 37 non mi sento di dire altro: già è tosto da leggere, cos’altro dovrei aggiungere? Ci sarà tempo di riparlarne, sempre se necessario, quando la distanza avrà portato equilibrio e anche noi potremo vivercelo con uno spirito critico, costruttivo, utile a una nuova pubblicazione.
Forse neanche noi, qui a Porthos, ci crediamo, di averlo finito… Anche i nostri sogni producono micro movimenti, restano i colori di Marcello, veri richiami amorosi.

Non puoi tacere di Milo De Angelis
Non puoi tacere

su questo monte

noi verremo arati

in pace e tra gli uccelli.
Il bianco vola via e quei denti

sanno, filo impugnato

dalle eternamente plurali

quando

ci deposero veri: non caddero,

nemmeno allora, trattennero

il sole nella seconda, nella terza gola.

Era questo l’inverno

gettato

con un giornale antico, fratello. Esso

nel cestino di luce

muore e sgorga

da lì, dalla pettinatura.

E io parlo della terra

a una candela;

di te e di noi, di noi soli, creati.
Tratta da Millimetri, prima edizione Einaudi nel 1983, poi ripubblicato da Il Saggiatore nel 2013 con la cura di Giuseppe Genna e Aldo Nove.