MiWine, hands in the hair

Ci sono due buone notizie. La prima è che “MiWine, 1a Esposizione professionale del vino e dei distillati” in programma alla Fiera di Milano dal 14 al 16 giugno prossimi non sarà un piccolo Vinitaly. Lo hanno annunciato con puntiglio gli organizzatori. La seconda è che la torta di pastafrolla con le pere e la nutella preparata dal servizio ristorazione della Fiera è strepitosa. Iniziamo da quest’ultima.

Ai buffet si mangia in piedi e di fretta. Passi per la fretta: vivere accanto a Sangiorgi ti insegna a degustare trangugiando, una nuova frontiera del giornalista enogastronomico. Ho imparato a tenere in una mano il piatto, sotto al quale ìndice e medio fermano la forchetta nei momenti di inutilizzo, assieme al calice afferrato per la bianca. Così l’altra mano rimane libera per i saluti; anche questo me lo ha insegnato il direttore. Mi occorre invece ancora un po’ di pratica per tagliare la carne senza appoggio, ma la cotoletta impanata di oggi era mirabile, sorprendentemente digeribile, come il resto del pranzo. Non si può non elevare un encomio.

L’altra buona notizia è che la prima edizione di MiWine non vorrà scimmiottare un Vinitaly che da qualche tempo si reputa in flessione. “MiWine –spiega Piergiacomo Ferrari, amministratore delegato di Fieramilano,– intende essere una manifestazione fieristica altamente professionale, tant’è che sarà infrasettimanale, e riservata agli operatori del settore. Quindi un evento di qualità ma non di grandi dimensioni, e con una vocazione internazionale”. Anche grazie a un biglietto d’ingresso che gli organizzatori assicurano sarà ancor più oneroso di quello di Vinitaly, si farà una selezione a monte e si eviterà la calca, le file interminabili, le raccapriccianti scene di ebbrezza. Se non che una sezione fisicamente distaccata di MiWine, chiamata MiWine Emotions, prevede la presenza di tutte le maggiori testate del settore, di laboratori del gusto, degustazioni guidate, seminari di analisi sensoriale, conferenze-tasting… Da Luca Maroni a Daniele Cernilli, da Civiltà del Bere a Vinum, da Angelo Gaja a Marco Sabellico all’Onav a Enotime, a Bibenda, Vinarius, Euposia… nessuno potrà mancare. Poi gli eventi collaterali: aste di solidarietà per San Patrignano, l’Oscar del vino presentato da Franco Ricci e da Antonella Clerici, il premio Vinarius dell’associazione di 104 enoteche italiane, il premio Douja d’Or 2004, la serata di gala Charity Primum Familiae Vini con Antinori, Mouton Rothschild, Robert Mondavi… Il bicarbonato è di rigore. Alle Emotions l’organizzazione prevede solo 150 degustazioni con 140 sommeliers Ais, 9mila partecipanti, 2.684 [ sic ] bicchieri in tavola contemporaneamente per una singola degustazione, 28mila bottiglie stappate, 24mila bicchieri utilizzati in tutto.

Ma MiWine, ci ricordano, vuole essere innanzi tutto business. L’obiettivo è rilanciare il Made in Italy (non dimentichiamo che il vino è entrato di diritto a far parte del settore) in un momento in cui l’economia non tira e c’è “un po’ di preoccupazione per le esportazioni, ma non più di tanto, dato che la Francia è andata ben più indietro di noi”, come precisa Ezio Rivella, presidente dell’Unione Italiana Vini. Quindi gli ospiti troveranno un efficiente servizio Hospitality Meeting Milano attivo tutti i giorni dalle 7.00 alle 23.00, un Welcome Desk, gli sconti Alitalia, e tutte le comodità e le premure del caso. E poi gli Enotour, per portare “i Top Buyer sulle strade del vino italiane”. Nulla è lasciato al caso. D’altra parte ci si aspetta la visita di 25mila operatori nel corso della tre giorni.

 

A questo punto una domanda mi frulla per la testa: che cosa c’entra il vino con tutto questo? E’ di nuovo Rivella a dirimere i miei dubbi: “Il nostro problema è nel sistema: quello europeo è un po’ presuntuoso, perché continua a fare vino come se stesse al centro del mondo. Invece i nuovi mercati sono più professionali: investono in marketing, dimostrano umiltà, puntano su un giusto rapporto qualità prezzo, dialogano con il mercato con rapidità. In Australia si fanno programmazioni sulla base dei prossimi 25 anni, ma si risponde anche alle esigenze del mercato nel torno di tre/quattro anni, il tempo per le vigne di entrare in produzione. Ci sono poche regole e pochi cavilli, un’ottima organizzazione, investimenti sul mercato con strutture stabili. Occorre seguire di più il mercato, invece di aspettarsi che il mercato impari a bere il vino così com’è perché da sempre noi lo facciamo così”.

Mi sento sollevato: pensavo che stessimo parlando della stessa cosa. Sarebbe velleitario, e di cattivo gusto, obiettare checchessia.