Nevrotici o intolleranti?

Mentre lavoravamo all’articolo che troverete su Porthos 35, dal titolo “Il secondo cervello. Storia di un’eclissi”, ci ha fatto riflettere la vicenda che ha visto protagonista Casey Stoner, il pilota di MotoGP che gareggia in sella alla Ducati.

Nel 2009, a campionato in corso, il giovane australiano decide di prendersi un periodo di pausa e si ritira. Stress, pressione psicologica, addirittura esaurimento: sono molte le ipotesi che i cronisti del settore formulano per cercare di capire cosa possa essere successo a un brillante talento, campione del mondo nel 2007. Dopo circa due mesi di stop, Stoner rientra e vince subito due gare. Qual era il vero motivo che aveva causato il suo ritiro? Perché, dopo una serie di prove opache, le inquadrature televisive mostravano sempre un ragazzo stanchissimo, pallido e senza forze? “Sono stato da un sacco di medici, ma nessuno aveva una risposta sicura. Così, tutti hanno cominciato a fare delle illazioni, a pensare a un problema mentale, a una debolezza psicologica, ma io sapevo che non era quello il problema. Ero teso, addirittura potevo rappresentare un pericolo per gli altri e ho deciso di prendermi una pausa. In Australia, sono stato da sei o sette medici, ma solo uno, alla fine, ha diagnosticato la mia intolleranza al lattosio: era quello il mio tallone d’Achille” (da http://www.moto.it).

Essere considerati dei nevrotici, è semplice: basta non avere evidenti lesioni che possano indurre un medico a diagnosticare qualcosa di certo.
I pazienti che si presentano ai medici con problemi senza soluzione sono percepiti come una minaccia e spesso sono dimessi come affetti da squilibrio mentale”. Questa lapidaria affermazione di Michael D. Gershon, citata nel corsivo che apre l’articolo in questione, può sintetizzare bene quello che probabilmente è successo a Casey Stoner. Nel suo caso la vicenda può apparire ancor più paradossale, se consideriamo che certamente avrà avuto a disposizione uno staff di medici selezionati e integralmente dedicati al suo caso. Due mesi di tempo e “un sacco di medici” consultati prima di vedersi prescrivere il banale e per nulla invasivo H2 Breath Test, cioè il test di intolleranza al lattosio, può lasciare perplessi e, perché no, anche dubbiosi circa i reali motivi di malessere del giovane campione australiano. Ma per chi si è trovato nella stessa situazione, vi assicuriamo, che due mesi per diagnosticare un’intolleranza alimentare, attraverso la consultazione di più medici, è un lasso di tempo ampiamente auspicabile.

La reazione tipica della maggior parte di noi quando si parla di intolleranze alimentari è quasi sempre sospettosa: chi ingerisce delle pastiglie bianche contenenti l’enzima mancante, la lattasi, è spesso considerato un paranoico ansioso che fatica a digerire qualsiasi cosa gli passi davanti. La medicina non aiuta a fare chiarezza e approfondire il tema delle intolleranze alimentari significa incunearsi in un caos farcito di innumerevoli teorie, ognuna delle quali ha quasi sempre qualcosa di interessante al suo interno, anche se non completamente accettato dalla comunità scientifica. La confusione, quindi, regna.

Mentre cercavamo un punto di ancoraggio all’interno di una materia tanto magmatica e sfuggente come questa, ci siamo resi conto che sarebbe stato fondamentale partire dalle basi, cioè dall’intestino, andando oltre le veline quotidiane che riempiono lo spazio “salute” o quello “alimentazione sana e naturale”. Ci siamo così imbattuti in un breve testo dal titolo: La Saggezza del Secondo Cervello di Francesco Bottaccioli e Antonia Carosella (2007, Edizioni Tecniche Nuove). Il libro, partendo dal voluminoso studio dell’americano Michael D. Gershon, evidenzia come nel nostro intestino esista un sistema nervoso simile a quello che alberga nella nostra testa. Prende decisioni in simbiosi con il primo, altre volte esegue i suoi ordini così come ha anche la libertà di essere autonomo. “Anzi”, affermano i due studiosi italiani: “stando all’anatomia, le connessioni che dal cervello enterico (cioè dell’intestino ndr.) vanno a quello centrale sono più numerose di quelle che fanno il viaggio inverso. Questo vuol dire che disordini intestinali posso produrre i loro effetti sul cervello centrale”.
Gli studi di Gershon, raccontati dallo stesso autore, vengono pubblicati nel 1998 e tradotti in Italia da Utet nel 2006, con il titolo, per l’appunto, de Il Secondo Cervello.
Dalla lettura emerge un racconto affascinante, così come lo sono tutte le storie di uomini che combattono contro lo status quo. Il percorso che il neurologo americano conduce durante più di trent’anni di studio, mette in luce, ancora una volta, il faticoso e certamente non lineare cammino che qualsiasi disciplina scientifica compie alla ricerca di un’evidenza che a volte è molto più vicina di quello che sembra. Lotte tra teorie rivali, tentativi di screditare l’avversario attraverso l’arma della dialettica e non quella delle prove scientifiche, contraddistinguono una materia che sembra esterna a noi, ma che in realtà ci appartiene molto più quanto possiamo immaginare.
Tutti noi veniamo a contatto con il mondo esterno, anche e soprattutto attraverso quello che ingeriamo. Diciamo, almeno tre volte al giorno. Ovviamente questo non sfugge a Gershon che afferma: “Le patologie gastrointestinali stanno aumentando. Non tutta questa nuova massa di patologie, ovviamente, è dovuta alle tossinfezioni alimentari; tuttavia, le nostre variazioni dietetiche, le nuove fonti e chi manipola i nostri alimenti hanno contribuito alla diffusione di queste malattie”.
L’autore non si occupa in modo dettagliato del rapporto cibo-intestino e quindi di quello cibo-secondo cervello, anche se più volte, ovviamente, ne parla. Emerge, d’altro canto, come una delle tante direzioni di approfondimento future possa risiedere anche in questo ambito. È un contesto decisivo, specie per chi porta avanti con forza, da tempo, concetti come quelli di “naturale” o “digeribile”. Anche in riferimento al vino. È un ambito di indagine tanto necessario e fecondo quanto, al tempo stesso, complesso e non privo di rischi, generalizzazioni nonché banalizzazioni.

L’articolo completo lo trovate su Porthos 35.