Per Gianni Rebora

Era il mio primo anno d’’università, una ragazza conosciuta al corso di storia dell’’Africa mi chiese di accompagnarla a lezione dal prof. Rebora. Io ero più interessato alle tette che a storia economica, così, mio malgrado, andai con lei. Da una nuvola di fumo, simile alla nebbia della Val Padana, spuntò un omone con grandi baffi e sigaro acceso che, appena seduto alla cattedra, guardò gli studenti con fastidio e iniziò a spiegare. Nei primi dieci minuti non ero molto attento, preferivo osservare le grazie della mia deliziosa amica. Pian piano però iniziai ad ascoltare la lezione, distogliendo lo sguardo dalle tette della vicina. Il Professore raccontava di come il cristianesimo soppiantò il paganesimo nell’Europa alto-medioevale. Per rendere meglio l’’idea, Rebora interpretò il papa che al telefono, e in lingua genovese, dava istruzioni ad un abate: “mia, ti levi a stattua de Minerva e ti ghe metti quella da Madonna, tanto sti chi sun di scemmi e nun se n’accorzan”(1) Era la prima volta che capivo quello che diceva un professore universitario. Finita la lezione andai subito in segreteria a cambiare il piano di studio, inserendo un esame che non avrei mai pensato di sostenere: Storia economica. Il giorno del primo esame con il professore, ero con mio fratello Gianni e mia cognata Cristina, fummo gli ultimi tre ad essere interrogati. Parlammo di tutto tranne della materia che avevamo studiato. Per rendere salve le apparenze mi chiese dimme un po’ cose ti veu”(2) ma alla terza parola cambiò discorso. Finimmo “l’’esame” intorno alle 20.30, scarabocchiò trenta e lode sui tre libretti e ci salutò dicendoci di andarlo a trovare quando avevamo tempo, abitudine che ho mantenuto per circa 20 anni. Anche da laureato ho continuato ad incontrarlo, il pomeriggio uscito dal lavoro andavo su in dipartimento a fare due chiacchiere, che immancabilmente sfociavano in uno dei suoi due argomenti preferiti: cibo o vino. Argomenti in cui era ferratissimo, aveva una cultura enciclopedica e non solo per aver letto o visto ma soprattutto per aver provato in prima persona, un vero scienziato! Rebora aveva però due nemici personali: la patata quarantina e lo sciacchetrà. Quando parlava di questo tubero, tipico dell’Appennino ligure e piemontese, s’incazzava: “pensa un po’ che de(3) i nesci hanno fatto persino un presidio per la salvaguardia di quella patata di merda, vestiti i panni di economista, continuava a spiegare, “se i contadini hanno soppiantato quel tipo di tubero per un altro ci sarà stata ben una ragione logica”, la quarantina è poco produttiva e poi “una patata è sempre una patata e non foie gras”. Per quanto riguarda il tipico vino delle Cinque Terre, rimpiangeva che la filossera non avesse fatto piazza pulita dei vitigni della zona. Sosteneva, infatti, che è impossibile fare un vino buono partendo da un vitigno come il Bosco“ e poi con quello che se lo fanno pagare preferisco bere Sauterne”. Inguaribile romantico, alla fiera del bue grasso di Carrù guardava i manzi come si guarda un’’opera d’’arte “pensa che bollito, che carne cruda e con il collo…agnolotti”. Da Sampierdarenese del Canto(4) Rebora amava il mare e la pesca. Un suo amico, Riccardi, mi raccontò che un giorno lo portò a pescare in mare, ma a causa delle onde lunghe il prof. iniziò a vomitare e da lì Riccardi coniò le immortali parole: Ü Rebua? cumme pescou ou nu l’è gheui bun ma cumme cacciou…”.(5) Il mio debito di riconoscenza nei confronti del professore è grande, buona parte delle cose che so le devo a lui, mi mancherà parecchio, mi mancheranno i suoi insegnamenti, i consigli e le birrette bevute in Via Balbi nel pomeriggio.

(1) Ascolta, togli la statua di Minerva e ci metti quella della Madonna, tanto quelli sono scemi e non se ne accorgono.
(2) Dimmi quello che vuoi.
(3) Stupidi.
(4) Quartiere di Sampierdarena un tempo abitato prevalentemente da pescatori e lavoratori del mare.
(5) Rebora, come pescatore non è un granché ma come cacciatore…. Gioco di parole tra “cacciare” (in genovese “vomitare”) e cacciatore.