Un treno traggedia

Felpa smanicata rossa e gialla, visiera parasole e capello ossigenato lui; abbronzatura dorata e berretto da baseball nero con bordure rosa e logo di superman lei. Suppergiù, sessant’anni in due. Ed è tragedia. Anzi, come dice lei: «Traggedia. Questa è una traggedia, è gravissimo e irreparabile. Mio Dio, perché? Perché mi hai fatto fare una cosa così? Era scontato, era proprio scontato… non lo so perché, non lo so come ho fatto a non pensarci…». Neanche il sospetto di una sincera contrizione, neppure l’ombra di una lacrima, ma da almeno mezz’ora, lei e lui, Amo e Amo, non fanno altro che pensare – a voce alta, anzi altissima – a un’ipotetica, improbabile soluzione. «Ma ormai – dice lui – il danno è fatto. Qualsiasi cosa facciamo, sarà riparare. E quindi sarà ancora peggio». Poi sprofonda in un lungo, imperturbabile silenzio accusatorio. E lei non sa più con che cosa o con chi prendersela. «Non so che fare. Vorrei sprofondare nella merda per quello che ho fatto». Allora, come estrema e disperata risorsa, si attaccano al cellulare e iniziano a tempestare di domande e di consigli tutte le persone che vogliono loro bene. Un po’ per sfogarsi – tentando di purificare la coscienza in un lavacro di dixan –, un po’ per sentirsi dire che non è grave, un po’ per cercare un rimedio, una riparazione. Prima lui chiama suo padre e gli passa lei: «Papà, qui abbiamo un problema grave e la ragazza sta soffrendo moltissimo…» e lei: «Non lo so come cazzo ho fatto per non pensarci, giuro, sono mortificata! Abbiamo comprato trenta regali e neanche un fiore per lei…! E’ una traggedia». Impossibile sapere che cosa il suocero pensi o dica dall’altra parte della linea, ma si intuisce che non la discolpa neanche un po’, anzi. «Cazzo, tuo padre dice che si è notato tantissimo». Allo stesso modo, non la discolpa affatto lui, ma rincara la dose… «Qualunque cosa fai, ormai il danno è fatto». Poi cerca di prendere in mano la situazione e dice al papà: «Non è che puoi andare dal fiorista, prendere un mazzo e lasciarlo in negozio? Poi dici alla mamma che li abbiamo lasciati noi, così se passava li trovava…». Ma, a quanto pare, a nessuno dei tre sembra una soluzione credibile.
Lei tenta con l’amica del cuore. «Elvi’, ho fatto una cazzata. Non abbiamo portato neanche un fiore a sua mamma. Quella mi ha ospitato, mi ha fatto da mangiare, tutto… e io neanche un fiore! – Cazzo, Amo, certo che neanche tu non mi aiuti neanche un po’ eh! Niente! Zero! – Elvi’, che devo fa’? è gravissimo, lo so, è gravissimo non averci neanche pensato. Però è pure colpa sua, suo figlio che mi ha messo fretta e non mi voleva neppure far fare colazione, io stavo morendo dalla fame, stamattina, e invece lui “Dài che andiamo! dài che dobbiamo andare!”, mi voleva far svenire lì. Adesso Quella sarà avvelenata, penserà che è stato per cattiveria. Ma non è stata cattiveria, non c’ho pensato, non lo so come ho fatto a non pensarci. Cazzo però, Elvi’, almeno tu, aiutami almeno tu!». Niente da fare, neppure la prode Elvi’ trova una soluzione per Amo. Anzi, conferma che quanto accaduto con Quella è gravissimo.
L’ultimo, disperato tentativo non può che essere la mamma: «Mammi’, ho fatto una cazzata! Devi aiutarmi tu, ti prego!». E le racconta della suocera e dello sgarbo imperdonabile. «Mammi’, Quella mi ha ospitato e io… Come? chiamarla subito? E che le dico, “Come va”? Io e te lo sappiamo che non è stata cattiveria, ma è una cosa troppo difficile da capire… come posso fare? Quella si è messa a piangere, un po’ perché suo figlio doveva andare via, ma era chiaro che era anche per quello e noi non l’abbiamo capito. Come ho fatto?! Quella se lo segnerà a vita!». Non sembra giungere una speranza di perdono né un suggerimento utile neppure da Mammi’. E allora è proprio finita. Amo e Amo si dànno per vinti e sprofondano in un sonno salvifico. Fino all’arrivo della controllora. Dopo aver fatto vedere i biglietti, tirano fuori i panini col cotto – probabilmente prepararti da Quella – e li addentano. Poi è il turno del computer portatile e per affogare i loro dispiaceri si mettono a guardare “2 fast, 2 furious”. «Non ci sono parole per una cosa così», decreta lei in un rigurgito di rimorso.

In treno – che resta di gran lunga il più umano dei mezzi di trasporto – succede anche questo. Per fortuna che sul sedile accanto ci sono la sosia invecchiata di Maria Latella, che si fa la manicure, e una checca di attore teatrale che sbraita al cellulare e all’amica grassona tutti gli eventi della sua settimana.