Precision farming, altro che

Il racconto, tra l’ironico ed il preoccupato, del convegno “Viticoltura di precisione in Franciacorta”, dove il business viaggia in aereo.

Presentazione

Il convegno, organizzato dal Consorzio Franciacorta, si è tenuto al teatro comunale di Erbusco (BS), il 22 luglio 2002. Sono intervenuti: Leonardo Lamberti, sindaco di Erbusco, Viviana Beccalossi, vice presidente e assessore all’Agricoltura della regione Lombardia, Giampaolo Mantelli, assessore all’Agricoltura della provincia di Brescia, e poi, in rappresentanza del Consorzio per la tutela del Franciacorta, Pierangelo Plebani, direttore, Claudio Faccoli, presidente e Fausto Campostrini, responsabile dell’ufficio tecnico.

Il convegno è stato dedicato alla presentazione di un progetto denominato di precision farming, cioè agricoltura di precisione. Si tratta, come fa notare Claudio Faccoli, del primo esempio di utilizzo di un progetto simile su scala consortile in Italia; un sistema che invece – dice Pierangelo Plebani – è già largamente utilizzato all’estero (specie del continente americano), e per svariati tipi di coltura.
Si tratta dell’impiego di tecniche di telerilevamento sui vigneti, realizzate per via aerea. Tramite un piccolo aereo sul quale sono stati montati dei sensori multispettrali si realizza un’analisi del vigneto dell’intera superficie vitata della Franciacorta. Quest’analisi consiste nel rilevamento di tre tipologie di dati: direttamente, del vigore vegetativo delle piante (suddividendo la stima delle rese/ha in tre fasce: bassa, fino a 80 qt; media, fino a 100; alta, fino a 120, limite massimo, con gli esuberi, concesso dal disciplinare) e, indirettamente, del grado zuccherino (in gradi brix) delle uve e del grado di acidità totale delle stesse. Quest’operazione avviene due volte l’anno: una prima all’incirca al momento dell’invaiatura, nel mese di luglio; una seconda poco prima della presunta maturazione delle uve, nel mese di agosto.
Il telerilevamento viene però indispensabilmente associato a dei rilevamenti analitici a terra, effettuati su alcune vigne posizionate in alcuni punti dei vigneti ritenuti strategici o significativi. Dal connubio di questi due tipi di dati sono elaborate matematicamente delle curve di maturazione, che – a detta del Consorzio – hanno due scopi: nel caso della prima rilevazione (in luglio), permettere una valutazione dell’andamento quantitativo e fitosanitario delle piante, e dunque eventualmente intervenire; nella seconda rilevazione (in agosto) principalmente stimare con precisione la data di maturazione delle uve, e dunque programmare la vendemmia in modo ottimo.
Questi dati e queste valutazioni creano – facendo riferimento ai ceppi su cui si è stabilito di fare un rilevamento a terra (di tipo tradizionale) – “aree omogenee” anche interne al vigneto, con una risoluzione di 3 metri x 3. Ne scaturiscono mappe in diverse tonalità cromatiche (5 o 6) dei vigneti franciacortini per ognuno dei tre criteri sopra citati. Queste sono diffuse via Internet tre o quattro giorni dopo il rilevamento dei dati stessi, e sono accessibili alle aziende che fanno parte del Consorzio. Il Consorzio stesso si propone, per il momento, di leggere ed interpretare queste mappe per le aziende, ma auspica anche che esse stesse si rendano capaci, nel torno di qualche anno, di svolgere quest’operazione autonomamente.
Il progetto ha sin qui avuto un costo di 250mila euro, 150mila dei quali finanziati dalla Regione, 50mila dalla Provincia, 50mila dal Consorzio stesso. Il Consorzio, tuttavia, conta di poter ridurre ed ammortare questi costi su un periodo medio-lungo, perché – come dice Campostrini – il progetto si propone di andare a costituire una sorta di banca dati destinata ad incrementare la conoscenza del territorio e dei vigneti da parte dei produttori stessi. La previsione, in virtù di questo fatto, è quella di ridurre progressivamente ma drasticamente il numero di rilevamenti a terra sui ceppi – da alcune decine ad anche solo due rilevamenti per vigneto -, che costituirebbero la parte più onerosa del sistema. Il fine ultimo di queste tecniche sarebbe di “costituire, se applicate integralmente, un vero e proprio sistema di organizzazione e gestione delle pratiche agronomiche”, come dice il Consorzio.
Il progetto è già stato parzialmente attuato, in forma sperimentale, nell’estate del 2001, ed è attualmente realizzato da un’équipe per la vendemmia 2002. Esso si vuole “pilota” per altre realtà vitivinicole italiane; proprio con questo fine il Consorzio opera in collaborazione con la facoltà di Agraria delle università di Milano e Piacenza.

 

Considerazioni

Le prime impressioni – ma forse anche quelle più durature – che questo convegno mi hanno comunicato sono state, in ordine di importanza: a) la natura fortemente imprenditoriale del progetto (oltre che della presentazione dello stesso); b) il suo taglio “politicizzato”, in tutti i sensi, nei rapporti stretti e apparentemente amichevoli con le istituzioni, e nella rappresentanza della “società civile” franciacortina – che pare collimare, o quasi, con la comunità imprenditoriale.
In effetti, stretto un po’ il discorso al suo succo con Fausto Campostrini, il progetto sembra rivelarsi finalizzato ad uno scopo commerciale. Che vantaggi dà questo sistema rispetto a quelli tradizionali?, gli ho chiesto. La precisione e la rapidità. Ma forse anche il risparmio di mezzi, energie e costi, dato che qualche trasvolata sopra la Franciacorta sembra poter essere più economica rispetto ad una rigorosa, manuale e “rustica” spedizione di uomini e mezzi sul territorio.
Una seconda cosa che fa un po’ pensare è che questi rilevamenti siano effettuati in soli due momenti dell’anno, ed il primo a soli 30 giorni prima del presunto inizio della vendemmia, “per poter intervenire”. Non sarebbe forse più auspicabile – mi chiedo – che, al di là dei fattori contingenti, come gli andamenti climatici o sanitari, s’investisse per “intervenire” 12 mesi l’anno sul proprio vigneto, magari iniziando – anno dopo anno – dall’inverno un’opera di “prevenzione” per avere una vigna di “sana e robusta costituzione”? Il modello di riferimento pare voler essere la moderna, tecnologica, (ma forse anche un po’ “asettica”?) vitivinicoltura nordamericana (come non pensare al tecnicamente irreprensibile Opus One?).
Certamente questo progetto si vuole influente anche per quanto riguarda la produzione quantitativa del Franciacorta (il Docg è, dichiaratamente, il principale interessato dalla questione). “Lo scopo è quello di coniugare il più possibile qualità e quantità, come è sempre stato del Franciacorta – dice Campostrini -. Non credo che un buon vino si ottenga per forza con rese di 50 quintali”. Tutti d’accordo, credo; ma la Franciacorta non è infinita, e benché negli ultimi tre anni si siano acquisiti circa 200 ettari di nuovi diritti da altre denominazioni – puntualmente già reimpiantati nella Docg – la crescita commerciale sembra poter essere costante (anche se non va trascurato, credo, un “curioso” e forse indicativo decremento delle vendite nel 2000 e 2001). “Le prospettive di crescita – mi dice Campostrini – per i prossimi tre anni sono buone, probabilmente migliori di quanto si sia registrato nell’ultimo triennio. Ho dei dati confortanti, che però voglio rendere noti solo a fine anno”.
Questo modo di leggere questo convegno – cioè in prospettiva “imprenditoriale” -, mi pare possa essere confortato anche dall’analisi dei dati di crescita quantitativa dell’area che mi sono procurato. La Doc contava ad esempio 31,99 ettari iscritti nel 1967; 103,04 nel 1971; 387,45 nel 1984; 713,12 nel 1992, fino all’esplosione del dopo 1995, con la Docg: 925,86 nel 1995; 1.409 nel 2000 (questi ultimi dati riferiti fra l’altro alle sole vigne destinate a Docg e TdF bianco). Di pari passo la produzione di vino denunciato: 1.035 hl nel 1967; 25.282 nel 1987; 58.744 nel 1999; (2000 e 2001 in flessione). E parallelamente sembra che corrano anche le vendite: con la Docg gli incrementi sono stati ingentissimi: da 5.067.628 bottiglie nel 1995 a 7.610.379 bottiglie nel 2000, con un incremento del 50,1 per cento! (Il Franciacorta, che rappresenta comunque nel 2000 il 49,9 per cento delle vendite, sembra peraltro meno favorito da questa crescita, che in questi cinque anni è invece del 67,8 per cento per il TdF rosso e del 68,6 per cento per il TdF bianco).
Insomma, la Franciacorta (ed il Franciacorta) assomiglia agli occhi di un osservatore ad una specie di miniera d’oro, sulla quale la spigliata imprenditoria bresciana sembra non voler perdere l’occasione di cimentarsi. Che la flessione della domanda – non dell’espansione produttiva! – degli ultimi due anni possa aver agito come un pungolo verso il Consorzio e gli interessi che questo rappresenta per dar vita a nuove iniziative, come quella di questo progetto di precision farming, che puntino: a) a ottimizzare le rese, e dunque anche gli investimenti; b) a dare maggior visibilità alla Franciacorta? Non lo so; però la questione me la pongo.
Un altro punto. Il Consorzio dichiara di voler “valorizzare il binomio TERRITORIO-PRODOTTO”, con questo progetto. Ma, nella mia ignoranza, sinceramente mi lascia un po’ pensoso veder svilupparsi una prospettiva come questa, di dichiarata volontà di automatizzazione di alcune operazioni, che mi pare piuttosto oggettivamente allontani l’uomo dalla vigna. Una vigna, peraltro, ancora mediamente molto giovane, se è vero – come mi dice Campostrini – che negli ultimi 15 anni il 70 per cento circa dei vigneti qui è stato rinnovato, e che non sarebbero più di un 20 per cento le vigne che superano i 20 o 30 anni di vita. Quindi una vigna ancora tutta da conoscere bene, da parte dei produttori – tra parentesi: erano 11 le aziende iscritte all’albo nel ’67 (con 6 denunce presentate); 129 nell’ancor vicino 1990, con 112 denunce; sono 371 nel 2000, con 265 denunce -; produttori dunque per così dire in buona parte “novelli”, almeno nel loro rapporto di conoscenza con questa terra.
E’ senza dubbio un’impressione epiteliale, ma questa situazione non mi convince fino in fondo.
Senza contare che, più che di un connubio territorio-prodotto, nel caso del Franciacorta mi sembra che si tratti di un binomio denominazione-prodotto, cioè nome della regione e nome del vino a designare un tipo preciso di prodotto: quel binomio che di questo spumante è stato la fortuna. Da questo punto di vista la mia sensazione rudimentale è che la territorialità non sia la cifra distintiva prevalente in un Franciacorta, quanto piuttosto lo sia una scelta di freschezza, di fragranza, di facilità di beva come vera scelta d’identità.

 

Appendice

Non so cosa possa valere, ma mi piace l’idea di allegare a questo scritto anche una brevissima impressione organolettica che ho avuto dei cinque vini che ho avuto modo di assaggiare ieri (ho cercato bottiglie che non conoscevo). Ho assaggiato: il Brut Ferghettina, il Brut 1ère Cuvée Monte Rossa, l’Extra Dry Cuvette 1995 Villa, il Brut il Mosnel, il Gran Cuvée Brut Rosé 1998 Bellavista.
Hanno suscitato il mio interesse il Mosnel, per una certa mineralità, ma che mi è parsa dato di originalità per un Franciacorta base; il Bellavista, in bocca, per l’eleganza, la persistenza, e una piccola “carnosità” molto piacevole.