Rock Hudson e la degustazione geosensoriale

di Damiano Maurizio Raschellà

Genova, esterno notte, lungomare di Quinto. Un gruppo di amici, ai primi anni di università, lascia la consueta panineria e si attarda a chiacchierare sulle panchine. La brezza marina allevia la calura, gli argomenti sono tipici di quell’età, donne, politica, il futuro prossimo e quello remoto, nel crogiolo di una conversazione appassionata e sovente contrapposta. Finché il più giovane del gruppo, con fare teatrale, chiede attenzione e spara una notizia: “Ragazzi, ragazzi, è morto Rock Hudson!”

Segue qualche attimo di silenzio, che tradisce un certo imbarazzo di noialtri. Ai quali, della scomparsa di Rock Hudson, importava davvero poco. Inoltre, la notizia, in sé corretta, arrivava molto tempo dopo la morte dell’attore, avvenuta nel 1985, anno che i genovesi ricordano per una straordinaria nevicata. Passato lo stupore, un inferno di sfottò si abbatté sull’autore della rivelazione, in un crescendo di incontenibili sghignazzi. Da allora, per noi, la morte di Roy Harold Fitzgerald, vero nome di Hudson, divenne sinonimo di notizia vecchia, superata.

E che succede l’altro ieri, mentre stavo lavorando sulle pagine di un testo tradotto dal francese? Arriva una notizia sensazionale, una vera rivoluzione, ovviamente copernicana, ché Danton e Robespierre non bastano. A me invece bastano due righe dopo il titolo per ricordare la rivelazione, tardiva, della morte di Rock Hudson, quella sera a Quinto. Non ci sono più gli amici di un tempo, le nostre strade si sono separate, eppure sono certo che, se sapessi tradurre loro la valenza di questa rivoluzione, ci concederemmo più di una risata.

L’alternativa, in casi del genere, è prenderla male, scagliarsi contro i confezionatori della notizia e, per estensione, contro chi, con sequenze cialtrone di copia-incolla, regala un’aura di verità e di credibilità ad accadimenti così poco rilevanti. La notizia in questione, tanto per dire, è che ONAV, nell’attuale fase di risveglio degli eventi, organizza un corso di degustazione geosensoriale. Nulla di strano, la missione di ONAV è anche questa, concorrere alla crescita delle persone del vino, ampliandone gli orizzonti di cultura. E se l’arricchimento passa attraverso argomenti poco convenzionali nel dibattito generale, tanto meglio. La sensazione, tuttavia, è che, nella povertà di contenuti che attanaglia la comunicazione del vino, si possa saltare su un tema apparentemente laterale, sviluppato da altri in tempi ormai lontani, spacciando il tutto come una rivoluzione epocale e fidando nel rimbalzo mediatico assicurato da diffusori superficiali e frettolosi.

Il testo su cui sto lavorando, per la cronaca, è un approfondimento di temi che affrontammo nel 2017, quando pubblicammo “Il vino capovolto”. Sulla copertina, di un vistoso color arancione, sotto il nome di Jacky Rigaux, si legge chiaramente “degustazione geosensoriale”, e non vi dico quante volte il concetto ricorra nel volume di prossima uscita. Ma credetemi, la ridda di comunicati stampa e articoli che annuncia il rivoluzionario corso ONAV, ha risvegliato in me il ricordo di quelle risate notturne e giovanili, quando anche una notizia attempata e polverosa sapeva regalarci una ventata di scintillante allegria, con buona e sempiterna pace del compianto Rock Hudson.

 

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Rock Hudson

 

Immagine in evidenza dalla copertina della nuova edizione de “Il vino capovolto”, disegno di Rafael Pareja e cura della grafica di Emanuele Ragnisco.