Wine Research Team – I vini senza solfiti e non solo

Comunicare, comunicazione,
parole che se frugo nei miei ricordi
di scuola non appaiono. Parole
inventate più tardi,
quando venne a mancare anche il sospetto
dell’oggetto in questione.

Eugenio Montale

Di seguito la trascrizione della registrazione della “tavola rotonda”, durata quaranta minuti, svoltasi il 16 maggio 2013 presso L’Hotel Rome Cavalieri. Rendiamo disponibile il testo senza sostanziali correzioni di forma. Non era prevista la possibilità di intervento da parte del pubblico, non erano contemplate domande, non c’era cartella stampa o materiale di approfondimento tecnico, solo il dépliant dei tappi dell’azienda Amorim.


Franco Maria Ricci

Benvenuti a un incontro molto importante dove il team di Riccardo Cotarella vi racconterà alcune cose. Questo è il mio saluto di padrone di una casa dove si studia e si fa cultura del vino. Noi ascoltiamo il vino, lo raccontiamo, non lo produciamo ma siamo il tramite tra produttore e il consumatore. Siamo gli arbitri. Sentiamo la qualità, ne siamo affamati, possiamo esserlo di qualsiasi altro settore e siamo nella più grande casa che sia mai stata realizzata in questo Paese. Qui si studia il vino. Volevo sottolinearlo per dirvi la ragione per la quale abbiamo ospitato questo grande evento. Otto anni di ricerche non sono pochi, otto anni di sensibilizzazione su una cosa importante per il nostro Paese, otto anni che oggi aspettano un nostro parere. Siamo qui a sentire se questo tempo ha portato un profitto. Noi scriviamo dalla mattina alla sera il nostro pensiero, da critici dobbiamo farlo. Da insegnanti scriviamo di vino, lo raccontiamo nelle aule di questa casa e facciamo 130 mila presenze e la gente è affamata di sapere la qualità e se noi dovessimo raccontare la qualità questa sera, avremmo fatto un grandissimo scoop e saremmo felici di avere ospitato questo evento. Siamo gioiosi, allegri e, se questo avviene, abbiamo fatto bingo. Quindi ringraziamo Riccardo Cotarella, iniziamo a genufletterci davanti al re… non so, che facciamo? Comunque il presidente degli enologi italiani oggi festeggerebbe una cosa importante. Se non altro perché lo comunichiamo, perché glielo diciamo, lo abbracciamo e abbracciamo tutti voi che avete dato questa possibilità a noi critici e degustatori attenti, popolo del vino affamato di questa bellissima notizia che, forse, ci darete. Forse ci darete.
Bene, detto questo vi saluto. Questo dev’essere il motivo di stare qua, in una casa che fa esclusivamente comunicazione di qualità. Spero che da domani noi comunicheremo una grande qualità, molto diversa, ma una grande qualità ed è il mio augurio di cuore perché questo Paese ha bisogno di queste comunicazioni.

Daniela Scrobogna
Intervengo solo per presentare il team, non ho nessuna veste ufficiale. Volevo precisare che da più di un mese raccomando a tutti gli allievi di tutti i corsi di non perdere questa occasione, di non mancare assolutamente perché per noi poveri degustatori e appassionati potrebbe essere davvero una svolta epocale e ce lo auguriamo, come diceva Franco. Ma non solo per il fatto che ci sia o meno la solforosa, che sicuramente ha un ruolo importantissimo come fatto in sé, ma per tutta la ricerca che c’è stata a monte, per il concetto della ricerca spasmodica della qualità. A volte quando parliamo di qualità durante i corsi, attraverso i vari media, dalle guide alle riviste, questa diventa un po’ nebulosa, sembra qualcosa di astratto, è difficile percepirla. Invece qui stiamo cercando qualcosa e credo che stasera assisteremo alla spiegazione di un concetto che va ben oltre alla nebulosità. Dopo otto anni di ricerche saranno illustrati i primi risultati della ricerca basata sull’applicazione di un protocollo innovativo, perché al di là di tante ciance, poi parliamo di cose concrete! Un protocollo innovativo che non prevede, tra le altre cose, l’aggiunta di anidride solforosa che segue un processo scientifico, eh?, attraverso il quale si sono individuate tutte quelle procedure da attuare in vigna e in cantina per ottenere una migliore qualità del vino rispetto a quello convenzionale. Può sembrare tutto molto difficile da comprendere ma vuol dire che c’è un protocollo che stabilisce un iter da seguire e che può essere da viatico per molti altri. Chiaramente tutto questo non termina qui con la tavola rotonda ma chiaramente il grande invito è quello di proseguire nella sala Michelangelo, dall’altra parte del corridoio dell’Hilton, per verificare tutto quello che il nostro team ci racconterà.
Chi abbiamo qui con noi? Il dottor Riccardo Cotarella che non ha bisogno di presentazioni, coordinatore del progetto, enologo di chiara fama nonché grande amico di tutti noi che gravitiamo in questo ambiente. Il professor Fabio Mencarelli, Scienze dell’alimentazione, il professor Riccardo Valentini, climatologo – tutti dell’Università della Tuscia di Viterbo – e il dottor Cesare Catelli, biologo. Lascio la parola, con un caldo saluto, a Riccardo Cotarella.

Riccardo Cotarella
Mi ritenevo avvezzo a queste presentazioni e invece l’evento di oggi è una cosa particolare perché presentiamo qualcosa che ci sorprende giorno dopo giorno, non soltanto per i risultati ottenuti ma anche per ciò che prevediamo questo processo possa portare nel nostro settore. Volevo specificare innanzitutto che è un processo scien-ti-fi-co. Non ha nulla a che vedere con il vino prodotto come faceva il babbo, il nonno, il bisnonno. Partiamo dal concetto, come enologi, che si può seguire un processo che trasforma una materia solida, come un grappolo, in un liquido che entra in una bottiglia solo se si conosce – non se si stravolge – ciò che succede all’interno, come per il corpo umano: è deleterio pensare di intervenirci senza conoscerlo, come avveniva una volta. Ti fa male un dito? Ti taglio un braccio. All’inizio della mia carriera, a Orvieto come in tutta Italia, c’erano rivenditori di prodotti enologici che facevano soldi a palate: “Dotto’ – che magari aveva la terza elementare – ‘sto vino cambia colore, che devo fare?”. Gli facevano mettere questo, ma anche questo, e quest’altro. “A dotto’, ma sapete che non cambia più colore?”. E ci credo, ma ti cambia la vita. Non c’era la conoscenza di che cosa fosse il vino.
Voglio sottolineare, non come presidente ma come enologo e ricercatore, che l’enologo è colui che segue il processo di trasformazione e non è chiamato solo a seguirlo bene ma anche a presentarlo bene. Spesso vengono chiamati a presentare i vini persone, con tutto rispetto, che hanno fatto magari il medico nella vita e parlano di come si fa o come non si fa il vino, cosa si mette, cosa non si mette. Cose obbrobriose.
La figura dell’enologo è questa: seguire il vino dalla vigna alla bottiglia, andare in giro per il mondo a presentarlo, a spiegare com’è fatto, dov’è fatto, chi è la famiglia, quel che succede. E vi posso garantire sulla mia pelle che quando all’estero è l’enologo, se insieme al proprietario ancora meglio – ma innanzitutto l’enologo – a presentare il progetto, l’interesse è totale da parte di chi veramente conosce il vino, salvo coloro che vogliono scimmiottarlo. Lasciatemi salutare quindi tutti i colleghi in sala. A tutti i miei colleghi un augurio che tramite la nostra passione, la nostra esperienza, la nostra volontà di migliorarci, possiamo apportare benefici al vino, alle aziende che lo producono, che poi va anche a vantaggio nostro, e a tutto il comparto che rappresenta il miglior elemento con il PIL più alto in Italia. E quando sappiamo che il vino porta più valore aggiunto nella bilancia tra dare e avere, tutto l’agroalimentare è positivo. Ma il vino è quello più positivo, a differenza del PIL generale che langue e piange.
Detto questo, perché è nato questo progetto? Per la volontà di migliorarci, di ricercare. Le ricerche portano anche a errori, a volte notevoli, perché non si conosce ma per conoscere a volte bisogna errare, per sapere fino a dove ci si può spingere. Intanto questo progetto nasce dalla nostra amatissima Università della Tuscia con la collaborazione di amici come Cesare Catelli. Per fare questa ricerca l’enologo era importante ma non sufficiente perché, per quanto appassionato, non può sapere tutto di tutto nei particolari di ogni fenomeno e di ogni elemento che interviene nel vino. Allora abbiamo chiamato uno dei climatologi più esperti – a prescindere dal fatto che ora la politica ce l’ha rubato e faremo sì che non venga eletto così ritorna a tempo pieno presso di noi – Riccardo Valentini, ci dirà lui l’importanza del clima che su questo processo è fondamentale. Se il clima non rientra in certi parametri, questo processo non si può fare. Non è un processo per tutte le stagioni, come non lo è per tutti i vini e non lo è per tutti i territori. Esige oggi degli elementi fissi particolari, diversamente non si può applicare. Qualche sprovveduto –  a volte sarebbe bene nominarli, se non altro per qualifica – dice: il vino è chimica. Non c’è bestialità più grossa. O non conosce il significato della chimica o non conosce il significato del vino. Il vino è biologia, perché la vita che c’è all’interno del vino non c’è in nessun altro elemento. Milioni, miliardi di esseri viventi che lavorano, mangiano, muoiono, si riproducono e che condizionano tutto il risultato finale. La parte biologica è quella essenziale. Per questo abbiamo chiamato un grande esperto e amico, il dottor Cesare Catelli, che ha seguito tutta la parte biologica, la parte più difficile perché gestire la chimica che è sorella della matematica – 2+2 fa sempre 4 e acido+base dà un sale, sempre – è complicato. Gestire milioni di elementi vivi è come gestire tutti noi qui, e nel vino sono ben più di noi: chi la vuole calda, chi la vuole fredda, chi la vuole bianca… Alla fine tutti insieme arriviamo a un risultato finale. Se ognuno va a destra e l’altro a sinistra, alla fine la molla si strappa. Ecco, l’intervento del biologo è stato quello di cercare di dare a questo processo unità d’intenti da parte di tutto ciò che vive nel vino. Importante poi è stato anche l’aspetto alimentare, ma non a livello di calorie, se fa ingrassare o dimagrire, si sa che il vino se bevuto in una certa quantità apporta una certa quantità di calorie “sane”. L’aspetto della scienza dell’alimentazione da parte del professor Mencarelli è stato assolutamente importante e indispensabile. Poi ci siamo detti, alla fine se c’è un elemento nella confezione finale che va a influenzare notevolmente il risultato finale – perché il vetro è un materiale inerte e non cede nulla salvo un effetto indiretto per quanto riguarda le radiazioni solari – è il tappo, ciò che divide l’interno dall’esterno. Quando questo filtro funziona male, rischia, specialmente in assenza di solforosa, di compromettere tutto il processo. Allora abbiamo scomodato quanto di meglio poteva darci, una delle aziende più importanti, la ditta Amorin, non tanto per quantità e qualità ma per la ricerca che fa e ha creato un tappo proprio per noi in una confezione che è più per gioielli che per tappi ma l’importante è che ce lo faccia pagare come un tappo normale, poi se ce lo dai in un sacchetto dorato, va bene. Un tappo eccezionale a vederlo, poi ci spiegherà com’è stato fatto. Quindi abbiamo cercato in tutto e per tutto di proteggere questa nostra creature perché potesse esprimere qualcosa di positivo. Esprime più, per noi – buono o non buono, questo poi ognuno giudica come gli pare – degli altri vini convenzionali, la caratteristica del frutto. Una croccantezza olfattiva e gustativa che ci riporta immediatamente al clima. In più il processo garantisce, per i vini particolarmente tannici – vedi il Sagrantino – non dico una morbidezza, perché parlare di un Sagrantino morbido è come parlare di un leone che fa la pecora, però un’accessibilità sicuramente molto più agevolata rispetto a un Sagrantino tradizionale. Non vi sto ad annoiare sul processo, altrimenti perderemo troppo tempo. Adesso vorrei coinvolgere tutti i colleghi di questo eccezionale percorso che ci sta entusiasmando, cominciando da Riccardo Valentini, se può spiegare l’influenza e l’importanza del clima in questo percorso.

Riccardo Valentini – climatologo
Un ringraziamento particolare lo devo a Riccardo Cotarella perché ci siamo incontrati in questo percorso a Pantelleria e poi dirò due parole su quest’isola dove il rapporto tra clima-uomo-pianta è particolarmente intenso e si esprime anche intensamente nei vini. Il fatto di aver incontrato Riccardo su un tema importante, credo sia fondamentale. Fare buon vino significa partire anche da una buona vigna, da un sistema colturale sano, un sistema che permette di arrivare al prodotto lungo tutta la filiera di produzione. Quindi il lavoro di enologo non si ferma alla bottiglia, al processo ma va oltre e ripercorre indietro, in senso sia di processo ma anche di storia e di cultura della coltivazione del vino. Quando si parla di PIL che oggi è alto, il comparto vitivinicolo, che è importante, bisogna dare atto che c’è questa lunga storia del saper fare vino in Italia e che noi, in qualche modo, vogliamo ripercorrere lungo un processo scientifico, cercando di capire la natura.
Il vino è un organismo biologico. Va compreso, capito e la nostra produzione deve utilizzare queste informazioni per produrre buon vino.
Il problema climatico – mi occupo di clima, di rapporto clima-piante, sono materie che insegno all’università, continuo a fare ricerca – è molto importante. Il fattore agricoltura, in generale, è quello più vulnerabile. Tra i settori economici è quello più naturale, tra virgolette, è quello che subisce, perché non ha capacità di reazione, in senso artificiale, al problema del clima, dei suoi estremi, delle stagioni. A differenza del settore industriale quel che succede fuori dalla fabbrica non cambia, mentre il prodotto agronomico, in questo caso il vino, è influenzato tantissimo. Negli ultimi anni abbiamo visto cambiare profondamente il clima col quale operiamo, e indubbiamente abbiamo registrato negli ultimi venti anni soprattutto una serie di fenomeni climatici complicati, che hanno riguardato estati più lunghe e un allungamento della stagione vegetativa, anche nell’ordine di decine di giorni. Abbiamo avuto temperature più elevate, picchi di temperatura che hanno interessato anche le fasi notturne e stati siccitosi, quindi un problema di bisogno idrico che spesso è stato soppiantato attraverso irrigazioni di soccorso. Questo è un quadro con il quale dobbiamo confrontarci. Ecco perché nasce questa sfida. Non soltanto l’aspetto produttivo è importante ma anche l’aspetto di qualità legato alla sanità delle uve. Quindi è fondamentale, per essere in grado di far fronte a questi eccessi, la scelta delle esposizioni magari più ventilate, dove possibile.

Riccardo Cotarella
Parliamo sempre del nostro progetto, no? Quindi caratteristiche ottimali di un clima, di un habitat per questo progetto…

Riccardo Valentini – climatologo
Stiamo affrontando questo tema anche attraverso sistemi di precision farm… andare a livello di singola vite. Mi ricordo l’isola di Pantelleria, i produttori, gli interventi di potatura fatti anche in base all’esposizione, a come le viti sono disposte, ai sistemi di muretti e terrazzamenti, al percorso delle correnti d’aria che seguono dei pattern, traiettorie costanti nel tempo e quindi l’agricoltore sa dove deve intervenire prima, magari rispetto alle stesse potature. C’è una rivoluzione nel modo di affrontare le cose che passa attraverso questa agricoltura di precisione, per esempio con tecnologie di monitoraggio degli apparati radicali delle vigne attraverso il georadar o del trasporto della linfa. Tutte queste informazioni sono essenziali per una catena di lavorazione che poi porta a un prodotto di qualità.

Riccardo Cotarella
Possiamo concludere il tuo intervento dicendo che questo progetto esige uve non sane ma sanissime perché basta una minima percentuale di uva affetta da muffa, oidio, peronospora per compromettere il tutto. Quindi è un progetto per un 90 – 80% in vigna, che riguarda la qualità dell’uva e quindi clima secco, esposizione al sole giusta, senza esagerare ma ci vuole, produzione contenuta, maggiore esposizione e giacitura dei terreni, sono queste le parti fondamentali di questo progetto. Dicevamo la parte biologica del vino, ma quando parlo del biologico, non faccio riferimento al sistema cosiddetto biologico. Io parlo della vita all’interno dell’uva e del vino, un concetto molto diverso. Quali sono stati, mi rivolgo a Fabio Mencarelli, i problemi che abbiamo trovato in questo processo e senza scendere nella parte minuta, i processi che ci hanno condotto a seguire in modo positivo tutto il fenomeno dell’attività microbiologica all’interno dei mosti e dei vini ottenuti da queste uve.

Fabio Mencarelli – tecnico dell’alimentazione
La risposta a Riccardo è la stessa che posso dare a voi riguardo a questo progetto, che, come ha detto Riccardo, sarebbe riduttivo parlare di vini senza solfiti aggiunti; in realtà questi vini hanno una notevole particolarità. Il termine croccantezza di solito lo utilizzo per i biscotti e il pane, è la prima volta che lo sento dire… Effettivamente questo fruttato nei vini ha una logica biologica. I trattamenti che vengono fatti, di cui si discuterà dopo, permettono all’uva di sviluppare determinate caratteristiche, non solo nella frazione fenolica ma anche dei composti volatili, quelli che caratterizzano aromaticamente questi vini. Niente è lasciato al caso, tutti i trattamenti che vengono fatti mirano anche a cercare, per ogni azienda, una selezione della flora microbica che sta sull’acino, cercando di lasciare quella flora, che ovviamente sia positiva per lo sviluppo della fermentazione e della vinificazione successiva. Per cui il contributo che noi diamo, come università, in questo progetto continuo è lo studio dei componenti nutrizionali, chiamiamoli nutrizionali, nella maturazione e in questa selezione dei lieviti che provengono da questo processo di vinificazione.

Riccardo Cotarella
In certi momenti ci ritenevamo dei naufraghi su una barca senza motore. Durante questo percorso c’erano delle sorprese, parliamo sempre di esseri viventi come noi. Qualche mattina ci alziamo bene, altre mattine arrabbiati. Quando siamo arrabbiati magari qualcuno ci calma, a loro invece non è facile dire state calmi perché sono superattivi. In questi momenti di difficoltà abbiamo trovato in Cesare Catelli, la persona che ci ha tirato fuori dai guai, lui ci mette la pezza. Oppure se si rompeva qualcosa, lui la aggiustava, tant’è vero che si è guadagnato il soprannome di Archimede perché ci risolveva tutto anche con una semplicità disarmante e ci ha permesso di andare avanti. Cesare è biologo e oltre che da questo punto di vista ci ha seguiti proprio dal punto di vista operativo. Che abbiamo fatto?

Cesare Catelli – biologo
Una cosa molto interessante e anche molto complicata da spiegare nel dettaglio. Quel che è stato detto è fondamentale: gran parte del lavoro di produzione di un vino avviene in vigna, quindi la selezione delle uve, la vigna stessa. Ma una volta che l’uva arriva in cantina, si devono affrontare ulteriori problemi, in particolare in caso di un progetto innovativo come questo, in cui si vuole togliere il paracadute dell’enologo, la solforosa. Le funzioni di questo elemento sono sia antimicrobiche che antiossidanti e bisogna stare attenti a tutti i particolari.
La cosa fondamentale è la sanificazione in tutti i passaggi della produzione, poi del vino stesso. Nella raccolta delle uve il primo passaggio è: come ottenere una fermentazione nella maniera più naturale per dare la possibilità ai lieviti indigeni di fare pienamente il loro lavoro ed estrarre al meglio poi quel che è il contenuto nell’uva che deve trasformarsi in qualità nel vino. Questo è stato ottenuto grazie alla collaborazione con microbiologi, con un team che ha lavorato su diversi aspetti. Sì, sono l’Archimede perché mi occupavo di passaggi pratici e non essendo enologo, avevo la visione del processo in modo diverso, un po’ più diretto. Un aspetto fondamentale è alla ricezione delle uve, che comunque vengono tutte raccolte in maniera manuale, c’è già una selezione manuale da parte dell’operatore. Quando arrivano in cantina dobbiamo sottoporle a un trattamento di controllo dei microrganismi presenti sull’uva stessa. Com’è possibile farlo? Con un’attenzione particolare agli ambienti dove andiamo a disporre l’uva per sottoporla a questo trattamento, che poi sono trattamenti che si basano su principi naturali, nel senso che l’alternanza delle temperature nell’uva gioca un ruolo fondamentale, sia per il controllo della flora batterica, sia per l’espressione a livello metabolico delle catene di sintesi di polifenoli e antociani, che sono tutti quegli elementi che vogliamo ritrovare nel vino a livello di profumi, gusto e descrizione del frutto stesso di ogni varietà. Aspetto fondamentale: le uve raggiungono la cantina, devono essere comunque, tra virgolette, stabilizzate per poter dare la possibilità ai lieviti di andare in fermentazione senza avere batteri antagonisti che possano dare fastidio. Successivamente si analizzano tutti gli aspetti in vinificazione, per poter mantenere l’ambiente più pulito possibile. Completa il progetto un risparmio di volumi d’acqua che vengono utilizzati oggigiorno per i risciacqui. Forse non tutti sanno che per produrre un litro di vino, si utilizzano dai 4 ai 5 litri d’acqua in cantina, un numero spaventoso per cantine di grosse dimensioni. Quindi il progetto ha riguardato anche l’affinamento di tutte le tecniche di sanitizzazione all’interno della cantina, perché poi essendo un vino senza solfiti più sensibile ed esposto a contaminazioni, per portare – ripeto – nel percorso che va dall’uva al prodotto finale col massimo controllo. Questo prevede tutta una serie di protocolli rigorosi. Alla fine, quel che si ottiene, è probabilmente la migliore espressione di quel che è stato fatto in vigna. Dobbiamo essere in grado di trasferire in bottiglia quello che l’uva può dare a livello naturale, a livello di composti e aromi. La solforosa in parte potrebbe dare un effetto coprente rispetto a certi aromi e sensazioni nel vino ma dall’altra parte non possiamo negare che senza un controllo rigoroso dei parametri in cantina, alla fine otterremmo aceto perché quello è il destino finale di una massa.

Riccardo Cotarella
Se ti sentono i naturalisti ti denunciano (ridono).

Cesare Catelli
Alla fine è la verità.

Riccardo Cotarella
Eh sì, e non c’è storia su questa verità. Grazie al nostro Archimede. Tenete presente che oggi assaggerete dei vini che da domani, spente le luci, ritorneranno dove sono e usciranno tra 4-5 anni, dipende dalle denominazioni. Ci sembrava assurdo parlare di questo progetto senza far toccare con mano il risultato, anche se i vini sono in evoluzione. Quel che sentirete nella degustazione non è assolutamente il risultato finale. Io sono dell’idea che i vini sono come i bambini: non ho visto mai un bambino nato brutto diventare un bell’uomo, e così sono i vini. Si possono rovinare se uno interviene male ma l’enologo non può trasformare un vino nato con difetti in un grande vino… Questo è importante perché oggi assaggeremo vini che sono tutti in evoluzione. Quando leggerete sull’etichetta Brunello di Montalcino 2012 non pensate a uno scherzo, è vino atto a produrre Brunello della vendemmia 2012 e adesso come non mai esprimono la forza del frutto. Quel che più ci impressiona e ci ha impressionato, è il ricordo della sensazione dell’uva e l’eleganza che riescono ad esprimere anche da giovani. Passiamo alla chiusura: per i bianchi abbiamo deciso di ricorrere al tappo Stelvin, perché è come fare una discesa su un pendio inverso, devi andare giù con le cime ma in pendenza negativa. Diciamo che sono i vini che più ci hanno dato molta soddisfazione ma non volevamo rischiare con un tappo di sughero perché, per quanto eccezionali, c’è sempre uno scambio osmotico con l’esterno, potevano causare problemi. Faremo delle sperimentazioni, però per stare tranquilli quest’anno abbiamo tappato le bottiglie con tappi a vite. Sui rossi invece no, perché dobbiamo garantire questo scambio osmotico. Non volevamo andare su tappi normali e ci siamo rivolti al leader della produzione e della lavorazione del sughero non soltanto nell’enologia ma in tutti i settori, un ditta che fa della ricerca una ragione di vita. Abbiamo trovato una disponibilità totale dall’Amorim e adesso ci parlerà l’amministratore delegato Carlos Santos. Da dove vengono, perché ha scelto questi tappi? Anche se noi, in modo presuntuoso, potremmo pensare come mai ha scelto questo tappo per noi e perché hai deciso di darci l’esclusiva?

Carlos Santos – amministratore delegato dell’azienda Amorim
Siamo un gruppo portoghese. Ci siamo uniti a questo progetto con la volontà di dare un contributo importante. Ho sentito parlare di massima esaltazione della natura, il sughero è la massima esaltazione di quella che è la chiusura, il connubio perfetto tra uomo, natura e vino. Abbiamo voluto dare e inaugurare per questo progetto una nuova linea, “Excellence” e abbiamo voluto chiamarla così perché qui si parla dell’eccellenza dell’enologia italiana. Un’eccellenza che mira a unire tutte le caratteristiche importanti del sughero di cui Riccardo ha parlato, dello scambio osmotico tra esterno e interno, di quanto un sughero contribuisce a far evolvere in modo importante un vino nel tempo. Abbiamo voluto aggiungere un’altra garanzia che passa per l’analisi individuale di ogni pezzo. Questo è il primo progetto sviluppato dal nostro gruppo a livello mondiale che analizza ciascun pezzo che va su ognuna delle bottiglie del Wine Reaserch Team. Tutti i tappi di queste bottiglie sono analizzati singolarmente. Questo per introdurre un progetto molto ambizioso che stiamo sviluppando con una spin off dell’Università di Cambridge e che porterà all’analisi individuale di tutto il sughero naturale che è un pezzo di natura quindi può essere affetto da alterazioni. Noi vogliamo proprio escludere la possibilità che una bottiglia – anche se è una possibilità remota oggi – possa sapere di tappo. Possiamo garantire al 100% che tutte le bottiglie del Wine Research Team non avranno questo difetto.

Riccardo Cotarella
Possiamo parlare del 99%? Perché per noi enologi il tappo è una bella scusa… Se ci dici 100% ci fai perdere l’unica ancora di salvataggio. A parte gli scherzi, sono tappi bellissimi, mi viene voglia di mangiarli, sembrano biscotti. Il sistema di chiusura per questi vini è fondamentale. Ti ringraziamo perché ce li presenti a tue spese in una confezione bellissima. E se l’abito fa il monaco…

Daniela Scrobogna
Volevo dire una cosa: quando andremo a degustare sarà possibile vedere un marchio che voi avete creato, è una barca a vela e nella retroetichetta e c’è una frase… Se volevi spiegare qualcosa…

Riccardo Cotarella
Sì, è una vela. Abbiamo scelto questo simbolo con il nostro responsabile della comunicazione che fa etichette ma, guarda caso, è enologo. Anche in quel settore noi enologi sappiamo dire la nostra, sulla grafica. Siamo un team di ricercatori, di enologi, di produttori, di comunicatori. Cosa c’è di più significativo di un barca a vela che vince una gara perché c’è un team? Nella vela non c’è solo il timoniere. Anche in questo caso non c’è un timoniere, siamo un team di persone che hanno collaborato a questo progetto. Il simbolo verrà messo sull’etichetta di tutti i vini. Su questo progetto c’è il marchio del Wine Research Team e tutti i vini hanno la stessa bottiglia e la stessa capsula in modo tale che si possa riconoscere da lontano che questo vino viene dal lavoro di un team. Soltanto un’ultima cosa: non per piaggeria, perché arrivato a 65 anni non c’è più bisogno di fare carriera, non necessitiamo di inchini più di tanto.
Oggi abbiamo l‘opportunità di sperimentare, di fare, sbagliare, provare, di entusiasmarci, spesso e volentieri sulla pelle dei produttori, lo dico in senso affettivo. Se i produttori non ci dessero questa disponibilità noi saremmo in laboratorio con le nostre provette senza ottenere risultati. Queste 25 aziende che presenteranno i vini, fanno parte del progetto che il mio gruppo segue e che abbiamo selezionato per attrezzature, vigneti. Fanno un po’ da pionieri ma l’anno prossimo non possiamo, né per aziende italiane né estere, bloccare la volontà di fare questo percorso a chi ha i mezzi per farlo. Quindi rivolgo il ringraziamento a tutti i produttori che quest’anno abbiamo massacrato, con tutte queste prove, le temperature… raccogli di notte, raccogli di giorno. Le uve devono essere raccolte di notte, ci siamo dimenticati, non è una novità dire che, per evitare gli sbalzi di temperatura, abbiamo raccolto di notte quando la temperatura è più fredda. Però dico sempre, noi enologi facciamo questo perché ci riuscite a pagare. Dal momento in cui non ci pagate, abbandoniamo e farete dei vini cosiddetti naturali, purtroppo per voi.

Daniela Scrobogna
Andando di là e degustando non sarà possibile per tutti vedere le retroetichette, perciò volevo dirvi cosa riporta. C’è questa frase: “La vite e il vino accompagnano l’uomo nel suo cammino di civiltà. La passione e la ricerca scientifica contribuiscono a superare limiti a volte impensabili”. E stasera noi assistiamo al superamento, forse, di questo limite.

Come forse avrete notato, è stato difficile cogliere il senso tecnico dell’iniziativa, visto che, a parte qualche accenno, i relatori sono rimasti sul vago. Così ho sperato che fossero i vini a farmi capire meglio. Ne ho sentiti tre di tre delle ventisei aziende che aderiscono a questo progetto. Per quanto attento, non ricordo, dopo appena una settimana, niente di sistematico ma solo, al momento, la voglia di non ritornarci su. Sono rimaste una freddezza e un’impassibilità lontane da ciò che un vino dovrebbe offrire. Inutile scrivere «molto legno, densità, linearità, sensazione tannica estranea al contesto, sproporzione tra volume e ampiezza», anche perché si tratta di prodotti della vendemmia 2012 destinati a uscire dalle cantine tra non meno di quattro anni. Non nego l’utilità di degustare vini in formazione, ma ammetto anche la mia incapacità di poter intuire qualcosa di buono, qualora ci fosse.

Comunicare, comunicazione,
parole che se frugo nei miei ricordi
di scuola non appaiono. Parole
inventate più tardi,
quando venne a mancare anche il sospetto
dell’oggetto in questione.

Eugenio Montale