Il diario di Federica da Sonoma

Sesta puntata
Con l’espressione inglese “field blend” si indica un vigneto composto da diverse varietà. In California, prima del proibizionismo e subito dopo, questa forma di allevamento era pratica comune. Al momento della vendemmia, le uve di tutte le diverse varietà che componevano il vigneto venivano raccolte contemporaneamente, cofermentate per poi essere eventualmente imbottigliate con il nome di località europee in base al colore del vino ottenuto e alle cultivar utilizzate.
George Hussman, considerato uno dei padri della viticoltura e enologia americana, alla fine dell’Ottocento in Grape Culture and Wine Making in California concentrò le sue osservazioni sul blend direttamente nel vigneto, come base per ottenere vini di qualità. Il blend, che si creava principalmente nel vigneto, in zone a clima caldo come la California, doveva contare su varietà dalla diversa acidità, in quanto si credeva che così facendo si ottenesse una fermentazione migliore e di conseguenza un miglior vino.
Sembra che le varietà usate, e la loro percentuale in questa tipologia di vigneti, dipendesse in special modo della provenienza etnica del viticoltore. Carmine, vecchio e colto viticoltore della zona, racconta che, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, molti dei vecchi vigneti in quest’area fossero impostati da immigrati italiani secondo l’uso della zona del Chianti, cioè coltivando una minima quantità di viti a bacca bianca insieme alla predominante rossa. I vecchi vigneti in queste zone, però, portano nomi inglesi e tedeschi e vennero stabiliti prima dell’arrivo massiccio degli immigrati italiani alla fine dell’Ottocento. In un secondo momento nei terreni da loro acquisiti, gli italiani, selezionarono principalmente quattro varietà tra tutte quelle già esistenti nelle proprietà. Il vino, dispregiativamente chiamato “dago blend1”, era prodotto da immigrati italiani soprattutto con Zinfandel, Petite Shirah, Carignan e Alicante Bouchet; mentre pare che le varietà bianche fossero coltivate quasi esclusivamente da comunità tedesche.
Nei vigneti più antichi di Sonoma sono state individuate anche più di venti differenti varietà di uve nello stesso appezzamento. Carmine aggiunge che è difficile datare un vecchio vigneto, in quanto le viti che morivano venivano ripiantate nel corso del tempo, cosicché nello stesso coesistono piante di pochi anni e piante centenarie. Inoltre la connotazione del vigneto è data anche dai diversi passaggi di proprietà, poiché cambiando proprietario mutavano pure le cultivar di viti sostituite.
Sarei felice di conoscere quali e quante varietà compongano il mio vigneto. Ad esempio, quelle a bacca bianca sono molto diverse per età e per varietà, al contrario quelle rosse sembrano raggruppate in modo più omogeneo. Per quelle bianche, concentrate soprattutto in una parte dell’appezzamento, la fioritura è giunta disordinatamente: alcune hanno acini ben formati e altre fiori che devono ancora schiudersi. In alcune zone perimetrali del vigneto accanto alle viti selvatiche crescono viti innestate su piede americano, che a detta del proprietario dovrebbero essere di Zinfandel. La varietà principale, che suppongo sia il Carignan, cresce soprattutto sui declivi del vigneto. Come era usanza tra gli italiani immigrati, ci sono anche un paio di viti di uva da tavola di cui già dall’anno scorso ho potuto gustarne la dolcezza dei grappoli.

 

1 L’aggettivo “dago”, che si pronuncia “dego”,  viene dal nome proprio Diego ed era usato con accezione negativa quando ci si voleva riferire a immigrati italiani.