14 Giu Nebbiolo Prima e dopo
Barbaresco all’imbrunire è una fabbrica di silenzio. Lungo via Torino l’unica presenza viva è quella della pioggia, sottile e leggera come le foglie d’autunno nelle fotografie di Giulio Morra appese lungo il corso. Potrebbero lasciarle lì in maniera permanente, sarebbero sempre attuali. Si ha l’idea che a Barbaresco l’autunno sia la stagione di base e durante il resto dell’anno le altre stagioni siano solo variazioni sul tema. Forse è per questo che la amo. Malinconica e taciturna come la sua gloriosa torre, ancora in restauro.
Ma il luogo più fascinoso di Barbaresco per me è la vecchia stazione. Giù in fondo alla vecchia via Rabajà, tra le ultime propaggini dell’anfiteatro scenografico delle vigne della Martinenga e i primi filari dei Rio Sordo, protetta da ortiche e avvolta dal profumo intenso delle acacie inzuppate dall’acqua.
È chiusa da trenta anni. La prima volta in un luogo è come con una persona, cogli le cose più vere dai primi sguardi. La vecchia stazione ti attrae e ti respinge, ha un aspetto decadente e misterioso che incute un iniziale timore, ma poi ti rassicura con un sorriso indifeso. L’intonaco rosso mattone sbiadito, le piante rampicanti che ostruiscono l’ingresso principale, la scritta BARBARESCO quasi completamente scrostata che ormai la si intuisce soltanto. Sul lato del binario tre ingressi con relative scritte: al centro Capostazione, a destra Sala di Attesa, a sinistra Deposito Bagagli. Addirittura. Era senza dubbio una stazione seria, chissà quante storie conserva al suo interno, avvolta in un silenzio arcaico e complice. Non entro, preferisco immaginarla con la cabina della biglietteria in legno lucido e delle massicce panche di quercia. Un luogo dalla bellezza ormai selvaggia, intimamente lontano anni luce, e tuttavia idealmente collegato, al nitore artico delle sale del Palazzo Mostre e Congressi di Alba, dove si stavano svolgendo le degustazioni di Nebbiolo Prima. Un ambiente così bianco e asettico che più di una volta ho immaginato i solerti e simpatici sommelier come infermieri in divisa verdina di un’esclusiva clinica privata a somministrare in dosi massicce Barbaresco 2010 (più Riserva 2008) e Barolo 2009 (più Riserva 2007).
La 2010 per il Barbaresco sembra avere tutto per diventare un’annata da ricordare: l’acidità feconda e i muscoli ricchi di fibra, l’equilibrio interiore per crescere e grazia sin da oggi. Inoltre è circondata da una bene augurante aura di scetticismo che può essere il giusto preludio a un’annata sorprendente, visto che da parte del Consorzio, tra le ultime dieci vendemmie, per motivi opposti, solo le famigerate 2002 e 2003 hanno avuto un rating più basso; visto pure che la Cantina Produttori in questa annata non produrrà le Riserve e che addirittura qualche produttore forse non la metterà in bottiglia. Si vedrà… Intanto l’assaggio in anteprima degli ottanta campioni da circa sessanta produttori ha rivelato un gran numero di vini di stoffa elegante.