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L’’uso di valutare i vini attraverso l’’assegnazione di punteggi non appartiene alle linee guida di Porthos.
Basta leggere poche pagine della rivista e si capisce subito che un numero, pur affiancato da note esplicative, non riflette il nostro modo di affrontare un vino e la sua complessità.
Lo stesso dicasi per quei succedanei dei punteggi numerici, siano essi grappoli, bicchieri o sorrisetti, utilizzati da illustri guide di settore: carini, decorativi, per qualcuno forse anche utili ed efficaci, ma non ci appartengono.
Proprio per questo un gentile abbonato ci ha segnalato un articolo apparso sul New York Times On The Web, che potete leggere qui.
L’’articolo sottolinea, fra l’altro, la forte relazione economica che lega vino e punteggi, un fenomeno ampiamente risaputo, ma che stupisce vedere trattato da un autorevole giornale statunitense.
Il nostro affezionato lettore arrivava a chiedersi se questo articolo indicasse una svolta, un cambiamento di rotta: se il NYT scrive in questi termini, può essere che gli americani mettano in discussione Robert Parker e i suoi metodi.
Temiamo che non sia così.
In primis perché, fra i tanti modi per esprimere una valutazione, la scala numerica ha il vantaggio di una riconoscibilità ampia: un consumatore, cinese, italiano o russo che sia, intuisce facilmente il significato dei 99/100 che un valutatore assegna ad un certo vino.
In secundis, sono troppi i soggetti a cui questo stato di cose fa comodo, perché avvenga un cambiamento significativo, verso un approccio più rispettoso del vino e dell’intelligenza del consumatore. Dimenticavo: perché non dare un punteggio anche alle aziende vitivinicole? Si potrebbero includere nei parametri di valutazione argomenti come il rispetto dell’’ambiente, dei diritti dei lavoratori, delle tradizioni, della correttezza commerciale e produttiva. Ne riparleremo, l’’avventura continua.