Un treno mondiale

Nessuno è perfetto, neppure Trenitalia. Ecco i fatti.
Il direttore mi convoca nella Città Eterna per chiudere Porthos 25. Con la previdente lungimiranza che contraddistingue il mio cartesianesimo, prenoto il treno con largo anticipo per godere di tariffe ridotte. Qualche giorno dopo, il direttore mi scrive comunicandomi le nuove date di consegna, posticipate di una settimana. I grandi classici non si tradiscono. Durante le mie peregrinazioni, cambio la prenotazione a Torino Porta Nuova, sborsando il relativo sovrapprezzo. Andata: giovedì 6 luglio alle 15.00, con arrivo alle 19.30; ritorno domenica 9 luglio alle 17.30, con arrivo alle 22.00. Sfortuna vuole che Francia e Italia conquistino la finale di coppa del mondo di calcio. Non è mai successo prima; chissà se e quando succederà di nuovo. Io, che considero il calcio uno sport minore, non posso esimermi dal riconoscere la natura supersportiva dell’’evento. E’ quasi uno scontro di civiltà, quanto meno per me, italo-francese. Oltretutto, comunque vada, sarà l’’addio all’attività di Zinedine Zidane. Come potrei perdere la partita? Come perdere l’’occasione di farmi bersagliare da una gragnuola di insulti antinapoleonici, o di irridere sornionamente la patria per cui non ho nostalgia?

Un breve conciliabolo con il direttore –– che è sensibile alle lacerazioni personali – dirime la questione: partirò per essere a Milano in tempo. M’’inoltro nel sito internet di Trenitalia, moderatamente fiducioso di poter cambiare la mia prenotazione. Il treno delle 15.30 mi consentirebbe di arrivare in Centrale un’’ora prima della partita. Ma non ci sono posti disponibili. Quello delle 15.05 impiega venti minuti in più, arriva quasi in contemporanea e c’’è posto. Lo dico con baldanza al direttore, il quale mi fa notare che la finale inizierà un’’ora prima di tutte le altre partite, cioè alle 20.00. Devo quindi cambiare di nuovo prenotazione. Già escluso il 14.30, tento con il 13.30: ripeto la procedura, disponibilità insufficiente. Allora proviamo il 12.30, che m’’imporrebbe di sacrificare un paio d’’ore di correzione bozze. Per un evento di tal portata si può. Sono fortunato: sul 12.30 c’’è posto.Alle 10.45 di domenica esco dalla redazione per la stazione di Trastevere. Prenderò il treno per Termini, donde parte il mio 12.30. L’8 (inteso come tram) arriva puntuale, buon segno. Arrivo a Trastevere in anticipo, ho tempo per una fetta di crostata alla nutella e un succo d’’arancia al bar, entrambi ingiudicabili. Il regionale da Pisa [sic] viaggia con dieci minuti di ritardo; poco male, ho un ampio margine per la coincidenza. Infatti, arrivo a Termini mezz’’ora prima della partenza. Salgo sul treno, cerco il mio posto, mi accomodo.A un certo punto mi cade l’’occhio sull’’orologio del mio dirimpettaio: 12.45. Strano. Guardo il mio e, in effetti, il suo orologio è avanti. Ma di soli dieci minuti: il treno è già in ritardo. Poco dopo, il capotreno annuncia che l’’eurostar partirà con venti minuti di ritardo a causa di un guasto al locomotore; i passeggeri diretti a Firenze e Bologna possono utilizzare –– ma forse sarebbe meglio dire stiparsi –– l’’eurostar per Venezia, in partenza dal binario 5 alle 12.55. Brutto segno. Per i milanesi non ci sono indicazioni. Qualcuno inizia a spazientirsi. Un americano salito a bordo con tanto di trolley e sombrero acquistato a Porta Portese inizia a imprecare: there’s no fucking way… and no fucking room, and what the fuck we’re going to do and what’s this fucking man saying… Per un attimo la mia tormentata dicotomia trans-cisalpina si ricuce in un rigurgito europeista. Cinque minuti dopo, l’’altoparlante bercia che i passeggeri diretti a Milano –– cioè noi –– possono utilizzare –– cioè stiparsi –– l’’intercity in partenza dal binario 9, arrivo previsto a Milano alle 19.30. Il treno su cui siamo subirà un ulteriore imprecisato ritardo. Panico nel vagone. Qualcuno farnetica che con i responsabili non si può discutere, bisogna solo picchiarli, qualcun altro è al cellulare con la mamma: no, non arriverà mai in tempo per la partita; altri ancora imprecano e basta, la comitiva di transessuali due file più in là riprende i bagagli e ruzzola dal treno, molti minacciano di assalire l’’eurostar delle 13.30, costi quel che costi, anche se dovessero fare il viaggio in piedi… S’’instaura una inedita solidarietà: non solo tra viaggiatori traditi da un servizio scadente, ma tra “italiani all’’estero in Italia”, accomunati dall’’angoscia di mancare l’inno di Mameli… Si è fatta l’’una passata e ancora non si sa se questo treno partirà. Quasi simultaneamente, tutti decidono di prendere armi e bagagli e di scendere, verso la speranza del 13.30 che è ormai prossimo alla partenza. Scovato in un anfratto della carrozza 3, il capotreno è preso d’’assalto e attacca per difendersi: «Non fatemi domande perché cercherò di rispondere prima che le facciate». Classe o solo mestiere? «Non ho il potere di decidere la sorte di questo treno. Stanno ancora cercando di ripararlo, ma non so dirvi se o quando partirà. Ci sono tre possibilità: o riparte questo; o metteranno a disposizione un nuovo materiale [tradotto, treno]; o prendete l’’eurostar delle 13.30. Il problema è che arriva da Napoli, è in ritardo di un quarto d’’ora ed è abbastanza pieno. Comunque, tra cinque minuti mi chiamano e vi saprò dire». La folla è incandescente, specialmente le signore, che non lesinano i ma che cazzo, i ci avete rotto e poco manca che si mangino vivo il capotreno.Arriva la tanto attesa telefonata che annuncia un nuovo materiale rotabile al binario 6. Ci va di lusso: è un treno alta velocità nuovo fiammante. A me va due volte di lusso perché è dotato di prese di corrente, potrò lavorare per tutta la durata del viaggio. Tra mugugni, patemi, bestemmie e qualche sana risata, i superstiti del 12.30 prendono posto sul nuovo rotabile. Uno di loro bofonchia tra sé e sé: «Ecco perché io amo la macchina, ecco perché io amo la macchina»! Nella ressa, anche una distinta signora di mezza età con una coccarda tricolore appuntata sul bavero del tailleur. Follia collettiva. D’’altronde non ho mai visto così tante bandiere bianco rosso e verde come negli ultimi giorni. Neanche ci fossimo liberati nuovamente dal nazifascismo. L’’ennesima famiglia di statunitensi in Europa mi chiede: «Scussa, stessi posto di other train?». – «I suppose». Di fronte a me ritrovo lo stesso passeggero diretto a Milano e intorno si ricompone la popolazione del vagone precedente. Una ragazza decreta: «Finché non parte, però, non voglio dire più niente, non siamo sicuri». – «Eh no –– obietto io –– non siamo sicuri quando parte, ma quando arriva!». Le acque si calmano, sembra tutto pronto, sono le 13.45, manca solo una persona. Dall’’altoparlante della stazione Termini una voce implora: «Il capotreno dell’’eurostar 4328 in cabina! Il capotreno dell’’eurostar 4328 in cabina!». Lo avranno preso in ostaggio.