26 Ott Porthos ha raccontato… “I vini bianchi della Valle d’Aosta, oltre la viticoltura eroica”
La serata di degustazione dedicata ai vini bianchi della Valle d’Aosta si è svolta il 10 ottobre presso la sede di Porthos ed è stata organizzata e raccontata da Matteo Gallello, realizzata in collaborazione con Pomarius, Gabriele Bonci e La Tradizione, grazie all’aiuto di Miriana Baraboglia e Claudio Caputo, condotta da Andrea Petrini con il supporto di Sandro Sangiorgi.
Petite Arvine Vigne Rovettazz 2013 Grosejean (Quart)
Fine, misurato nel corpo, pone l’acidità in primo piano e non teme che diventi la sensazione guida; finale pulito e gratificante.
Fine, misurato nel corpo, pone l’acidità in primo piano e non teme che diventi la sensazione guida; finale pulito e gratificante.
Petite Arvine 2013 Elio Ottin (Frazione Porossant Neyves – Aosta)
Netta la nota verde tiolica – ricorda il sauvignon anche quando il sauvignon non c’è – poi al naso non c’è molto altro; in bocca, a differenza del precedente, teme l’acidità e la attenua con una morbidezza non bene integrata.
Petite Arvine 2013 Chateau Feuillet (Saint Pierre)
Non si discosta molto dal precedente, vista la struttura avvolgente e quasi amabile del sapore; il naso ha richiami salmastri piuttosto originali.
Non si discosta molto dal precedente, vista la struttura avvolgente e quasi amabile del sapore; il naso ha richiami salmastri piuttosto originali.
Petite Arvine 2013 Les Cretes (Aymavilles)
Si presenta più chiuso al naso, indizio di una certa ambizione gustativa, confermata da uno sviluppo composito e disteso; unico neo l’esito prevedibile delle sensazioni finali.
Si presenta più chiuso al naso, indizio di una certa ambizione gustativa, confermata da uno sviluppo composito e disteso; unico neo l’esito prevedibile delle sensazioni finali.
Chardonnay 2013 Les Cretes (Aymavilles)
L’interpretazione del vino bianco più famoso al mondo ne difende la freschezza e la rafforza sottolineando l’origine montana; meno ruffiano del previsto, non rinuncia a un’ampiezza di valore.
L’interpretazione del vino bianco più famoso al mondo ne difende la freschezza e la rafforza sottolineando l’origine montana; meno ruffiano del previsto, non rinuncia a un’ampiezza di valore.
Pinot Gris Le Plantse 2013 Didier Gerbelle (Aymavilles)
Si presenta con un colore appena ramato, il naso è segnato dal rovere in maniera quasi insopportabile, eppure alla distanza il vino prende a respirare e guadagna credibilità; nella bocca è eclatante la forza che riesce a riversare, inevitabile che il legno colpisca lo sviluppo tattile del liquido, tuttavia la qualità delle sensazioni finali è intatta e rimanda alle versioni secche d’Alsazia.
Si presenta con un colore appena ramato, il naso è segnato dal rovere in maniera quasi insopportabile, eppure alla distanza il vino prende a respirare e guadagna credibilità; nella bocca è eclatante la forza che riesce a riversare, inevitabile che il legno colpisca lo sviluppo tattile del liquido, tuttavia la qualità delle sensazioni finali è intatta e rimanda alle versioni secche d’Alsazia.
Blanc de Morgex et de La Salle 2013 Ermes Pavese (Morgex)
La vera sorpresa della degustazione si presenta con un colore fortunatamente non così brillante, come da molte parti è richiesto a questo bianco sovente platinato e inconsistente; il profumo è diritto e non si nutre dell’aiuto della solforosa, ma contiene una fertile dialettica con l’aria; in bocca è asciutto, dotato di una mineralità vivida e di un finale luminoso.
La vera sorpresa della degustazione si presenta con un colore fortunatamente non così brillante, come da molte parti è richiesto a questo bianco sovente platinato e inconsistente; il profumo è diritto e non si nutre dell’aiuto della solforosa, ma contiene una fertile dialettica con l’aria; in bocca è asciutto, dotato di una mineralità vivida e di un finale luminoso.
Blanc de Morgex et de La Salle 2013 Piero Brunet (Morgex)
Più articolato e strutturato del precedente ne subisce la spontaneità, quindi ci mette un po’ a far capire che anche lui ha molto da dire, sfruttando sia il coté minerale sia la vena fervida dell’alcol; a dirigere tutto è l’acidità che ritorna succosa nell’epilogo del sapore.
Più articolato e strutturato del precedente ne subisce la spontaneità, quindi ci mette un po’ a far capire che anche lui ha molto da dire, sfruttando sia il coté minerale sia la vena fervida dell’alcol; a dirigere tutto è l’acidità che ritorna succosa nell’epilogo del sapore.