07 Dic Dialogo di un venditore di fumo e di un milanese
Alessandro Fanceschini, nella parte di “Il Milanese” e Maurizio Paolillo, nella parte di “O’ professore”, si confrontano sulla “Questione Irpinia”. La promozione del territorio, le anteprime, i produttori, la stampa, le difficoltà di essere al Sud…
(Libera parafrasi di: “Dialogo di un Venditore d’almanacchi e di un Passeggere”, G. Leopardi, Operette Morali)
con:
Alessandro Fanceschini, nella parte di “Il Milanese”
Maurizio Paolillo, nella parte di “O’ professore”
Il Milanese
In Irpinia, fino all’anno scorso, si tenevano due anteprime: Bianchirpinia, di cui, dopo alcune edizioni di buon successo, si sono perse le tracce e Anteprima Taurasi che ha esalato l’ultimo respiro lo scorso anno, quando, recuperata in extremis a marzo, non era più un’anteprima! Quest’anno spunta improvvisamente una manifestazione di nome Anteprima Irpinia che, date le premesse, è andata meno peggio di quanto si temesse, ma che comunque ha offerto uno squarcio parziale della realtà che avrebbe dovuto rappresentare.
A me, dall’esterno, sembra che ci sia qualcosa che freni la promozione di tutto il comprensorio. Tu dirai: che scoperta! Però l’impressione è che se altrove è solo una questione di incompetenza, provincialismo, persino pigrizia, a Taurasi e dintorni sia tutto scientificamente studiato.
O’ professore
Se lasci intendere una manovra politica, io non sono dello stesso parere. La Campania ha sempre avuto un padrone assoluto; l’ultimo, Bassolino, è stato appena defenestrato, ma la situazione non pare cambiata.
Il problema non è chi comanda, bensì l’approccio borbonico alla cosa pubblica.
Il Milanese
Interessante, ma fatico a capire. Si tratta di qualcosa che va oltre il semplice individualismo? Il non considerare la cosa pubblica come qualcosa di tutti? Penso che questo atteggiamento, di norma ascritto al solo Meridione, in realtà, sia tipico anche “giù al nord”.
O’ professore
La burocratizzazione è un male congenito dello “Stato borghese”, che il matrimonio perverso tra Borboni e Savoiardi ha reso un cancro ed i pesanti apparati dell’UE hanno ulteriormente aggravato.
Il Milanese
La questione comincia a diventare complessa.
O’ professore
È un problema di rapporto tra Stato e cittadino (maiuscola e minuscola non sono casuali). Lo Stato è un padrone bonario che ha a cuore la sorte grama dei suoi sudditi, elargisce con magnanimità le risorse che ritiene strettamente necessarie ad instaurare un rapporto di dipendenza col cittadino-suddito, il quale considererà i suoi rappresentanti come benefattori. Perciò più sono i beneficiati, più radicato sarà il potere sul territorio. Va da sé che, secondo questa logica, bisogna mantenere aperti quanti più rubinetti è possibile. Cosicché quello che, in partenza, è un fiume di danaro si divide in mille rivoli e, alla fine, sparti ricchezza e diventa povertà.
Il Milanese
Ripeto, questa mentalità è diffusa anche al nord, dove si ritiene esista maggiore spirito imprenditoriale. Ti chiedo: ha senso comunicare la complessità del territorio irpino così come è stato fatto quest’anno, piuttosto che negli anni scorsi? Cosa salviamo? Cosa buttiamo? Da cosa si dovrebbe ricominciare?
O’ professore
Non ha mai senso fare le cose male. Però poi si riapre la diatriba: meglio questo o meglio niente? Il panorama generale è sconfortante. In confronto, altri fanno anche peggio. Per noi che dovremmo raccontare le cose, il problema è: quale panorama, quale territorio viene fuori, anche facendo la tara di tutte le lacune organizzative?
Il Milanese
I primi a non crederci sembrano i produttori stessi, che spesso non presenziano neanche ai loro banchi di assaggio. Ma se un gruppo di giornalisti esperti del territorio (e non penso manchino) provasse in modo autonomo (da politici ed istituzioni) ad organizzare un evento di grandi dimensioni che valorizzi questa zona, avrebbe qualche chance? Il problema sarebbe solo di natura economica o subentrerebbero anche ostracismi locali?
O’ professore
Tornano i Borboni di Francischiello1. Il cittadino-suddito è stato allevato a ritenersi incapace di camminare da solo, senza che il Principe lo sorregga, gli indichi la via o gli dia la spinta.
Tutto ciò amplifica gli individualismi, l’atteggiamento finalizzato a salvare se stesso senza mai proporsi come membro di una collettività.
Da ultimo, chi è sempre stato abituato a chiedere cento per ottenere uno non potrà mai concepire la possibilità di mettere mano al portafoglio, dare il suo contributo per il bene della collettività.
Perciò, al di là delle apparenti similitudini, le differenze tra il nord, i vincitori, e il sud, gli sconfitti, è abissale.
Il Milanese
Possono esistere le eccezioni. Se l’Irpinia fosse organizzata in termini ricettivi (agriturismi, ristoranti, wine bar), il territorio potrebbe essere scoperto e vivisezionato turisticamente da stranieri e gente italica, magari con mountain bike o vespe a noleggio come ho visto, per esempio, in Langa.
Tutto ciò, che rappresenta un’indubbia occasione di sviluppo, potrebbe dare fastidio a qualcuno? Alla criminalità organizzata, ad esempio?
O’ professore
Il problema, che certamente esiste, va visto dalla prospettiva opposta: la criminalità ha interesse a mantenere isole felici dove ripulire il denaro sporco. In territori ad alta densità criminale, esistono spesso aree apparentemente tranquille, che sono le più fortemente controllate perché gli investimenti ivi realizzati non perdano valore. Questo accade anche in Irpinia ed è testimoniato dal sorgere continuo di nuove cantine con investimenti anche ingenti. La questione, però, non entra direttamente nel nostro discorso; la moderna criminalità organizzata opera in modo diverso da una volta, l’infiltrazione è pervasiva e interessa aree sempre più vaste del mondo economicamente avanzato, in Italia e all’estero. Pecunia non olet, spesso finanziamenti di dubbia provenienza agiscono sotto traccia e chi opera materialmente nel settore potrebbe esserne anche marginalmente coinvolto. È quel che accade, ad esempio, nel casertano, nel mondo della mozzarella di bufala, ma la questione meriterebbe un approfondimento a parte.
Il Milanese
Cosa intendi con: “i finanziamenti agiscono sotto traccia e chi opera materialmente nel settore potrebbe esserne anche marginalmente coinvolto”? Vuoi dire che chi opera spesso non sa?
O’ professore
Spesso si tratta di società, con sede magari a Napoli o a Roma, nelle quali alle spalle di qualcuno possono esserci capitali di dubbia provenienza, ma la cui gestione può essere affidata ad operatori assolutamente sani. Tra l’altro, negli anni d’oro, sono entrati nel mondo del vino i soggetti più improbabili, quello enologico è diventato un settore di pura speculazione finanziaria. C’era da guadagnare rendite e quindi sono stati attirati investimenti di capitali più o meno puliti.
Il Milanese
Vediamo se ho capito: spesso chi materialmente coltiva la vigna o lavora in cantina, non sa da dove vengono i soldi che gli sono arrivati ed ha imparato a non chiederselo. Il sistema prevederebbe, quindi, sempre una doppia lettura: chi trova un’occasione di lavoro è riconoscente a chi gliel’ha offerta, chi la offre controlla sempre il livello di consapevolezza esplicitata. Insomma, chi offre lavoro impone le sue regole d’ingaggio. Quindi tutti sanno come ci si deve comportare e quanto si è autorizzati a chiedere e capire.
O’ professore
Perfetto!
Il Milanese
Dalle tue parole emerge, però, un aspetto curioso. Nonostante chi ha grossi interessi da tutelare possa trovare vantaggio nel promuovere il territorio con l’organizzazione di eventi, fiere, associazioni, per riciclare denaro sporco, questo in Irpinia, non viene fatto. Ergo, si ritorna all’immobilismo ed individualismo di matrice borbonica, come reale causa di quello che sta succedendo?
O’ professore
Non è chiaro. La camorra non organizza eventi e non fa promozione. Ha interesse a mantenere pulito il suo giardino. Quindi niente faide, niente contrasti e spazi liberi dove agire. A Scampìa, il quartiere di Napoli flagellato dalla guerra tra faide, dove c’è più di un omicidio al giorno, i valori immobiliari o l’avviamento commerciale valgono zero.
Il Milanese
Però, se l’Irpinia divenisse un modello nella comunicazione di ciò che di bello e buono c’è sul territorio al di là di chi organizza eventi o fiere, non se ne avvantaggerebbero economicamente anche i portatori di grandi interessi?
O’ professore
Continui a non capire. La camorra se ne fotte della promozione turistica, ma se la cosa succede le va benissimo. Ci siamo già detti che spesso gli investimenti sono difficilmente riconducibili a certi ambienti, ma tutto ciò potrebbe addirittura contribuire a dare un’aura di rispettabilità a certi personaggi. Quindi ripulire il danaro e pure la faccia.
Il Milanese
Immaginiamo che io, nato a Taurasi, riesca a riunire in assemblea tutti i produttori e gli dica: «Facciamo un banco di assaggio, poi una degustazione cieca, poi un giro per i giornalisti e via discorrendo. Il finanziamento importante l’ho trovato io, attraverso, poniamo, riviste specializzate e distributori. Voi dovete mettere una piccola quota cadauno». Secondo te i produttori cosa mi risponderebbero?
O’ professore
Non se ne farebbe nulla.
Il Milanese
Perché hanno paura che l’esposizione mediatica, il fatto che ci sia tanta gente che gira e mette occhi dappertutto possa dar fastidio a qualcuno che preferirebbe restare nell’ombra, magari perché ha problemi di evasione fiscale o di abusi edilizi?
O’ professore
E’ già complicato che i produttori si mettano tutti seduti a discutere con calma di cosa sarebbe meglio fare per curare gli interessi generali e non i particolari. Se poi qualcuno deve pure tirare fuori 1 euro, allora…
Il Milanese
Provo a suggerire una chiave di lettura: Luciano Pignataro in una breve intervista apparsa su un numero di Porthos del 2006 dice che in Campania purtroppo “è più importante comandare che vendere”. Mi sembra uno spunto interessante.
O’ professore
I giochi di potere sono importanti e qui è determinante il ruolo, non chiarissimo ai miei occhi, che la famiglia Mastroberardino gioca sul territorio, in un modo piuttosto complesso.
Il Milanese
Spiegami…
O’ professore
Le due aziende riconducibili ai Mastroberardino sono le uniche grandi dell’area. Feudi San Gregorio mi sembra in perenne difficoltà finanziarie che la portano a dibattersi tra strategie aziendali poco comprensibili. A un certo punto i Mastroberardino, anche per colpa della scissione, hanno rischiato di perdere terreno, visibilità e quote di mercato. Per non perdere il controllo, hanno scelto di rilanciarsi puntando sul territorio, sulle denominazioni di origine e sulla promozione su ampia scala. Non va dimenticato che le denominazioni, in pratica, le hanno create loro. Però il ruolo è ambiguo: pur spingendo su questo tasto, sembra evitino di esporsi; ci sono, ma pare sempre un passo indietro. Il professor Piero Mastroberardino, ad esempio, non ha mai voluto essere presidente del consorzio, mentre è stato presidente di Federvini.
Tutto ciò sembra avere un’azione frenante sul movimento. Non dimenticare che esclusi loro, la quasi totalità degli altri o sono contadini o parvenu. Da un lato si sentono inferiori, da un altro temono che i benefici del loro agire siano goduti da altri (i soliti noti) e sono sempre diffidenti. Ne consegue un’azione frenante che sommata a un’indole per sua natura poco dinamica tende a bloccare i processi.
A ciò va aggiunta la nefasta presenza della “politica”.
Il Milanese
Quindi, Mastroberardino come freno?
O’ professore
Che ci sia un freno sul territorio mi pare assolutamente palese. Ma è più complesso. Non è un’azione disfattista. È piuttosto, come dicevi prima tu, un ruolo delle gerarchie che blocca i processi di crescita.
Il Milanese
Che quindi risulta essere funzionale agli interessi di pochi. Ma i produttori hanno capito che più che un prodotto devono vendere un territorio? La creazione dei Consorzi e di tutta la filiera dell’accoglienza potrebbe essere un volano fondamentale per perseguire questo obiettivo comune!
O’ professore
Certo, ma pensa che in un territorio che ha da sempre una straordinaria concentrazione di vini di grande qualità e prestigio, il Consorzio di Tutela ha solo 7 anni.
Il Milanese
Anche il Consorzio, allora, anziché funzionale allo sviluppo, è un freno alla promozione. Non che i consorzi in giro per l’Italia brillino per idee, però ci sono oramai molti casi virtuosi o che almeno non frenano; al massimo si accodano dopo.
O’ professore
Il Consorzio è ancora un esempio di struttura circolare, nel senso di circolo vizioso, di vortice che si avvita su stesso e trascina tutto in basso. Rappresenta in parte la causa, in parte il risultato di una serie di fattori che comunque producono la stasi, l’immobilismo. Se metti in fila gli eventi come successione di cause e effetti, trovi molto più facilmente dei colpevoli, ma spesso fai un pessimo servizio. Se guardi la successione delle cose come un anello di cui non conosci né principio né fine, comprendi meglio le cose.
Il Milanese
C’è qualcosa che non mi quadra. Chi prima vendeva uva, ed ora si è messo in proprio, il vino deve pur venderlo! O no? Altrimenti significa che hanno altre entrate. Per quanti il vino è un secondo, se non un terzo lavoro in Irpinia?
O’ professore
Per moltissimi. Per me la maggioranza.
Il Milanese
Anche questo è un freno?
O’ professore
Hai voglia! Proviamo a tratteggiare il panorama dei produttori irpini. Da una parte i grossi, i soliti nomi, molto pochi, 4 o 5. Dall’altra i piccoli o piccolissimi, ex coltivatori e conferitori: si tratta di aziende contadine che, non essendo autosufficienti, come troppo spesso accade, facevano agricoltura part-time. Adesso sono divenuti trasformatori, ma sempre part-time. Il terzo gruppo sta in mezzo: contadini a tempo pieno, molto bravi in vigna e in cantina, negati per la gestione, e comunque pochi.
Il Milanese
Di questi ultimi c’è qualcosa che mi lascia perplesso. Se io fossi fissato, che so, di collezionare francobolli e gli dedicassi tutto il tempo a mia disposizione, partecipando anche a manifestazioni dove incontrare altri maniaci come me e fare scambi, avrei molto più sano entusiasmo e voglia di confronto rispetto a questi che magari fanno l’elettricista e ci campano pure bene e poi hanno deciso di imbottigliare il proprio vino per “passione”. Dove è finita questa passione, lo slancio, il desiderio partecipativo. È ovvio che quando si parla di business si va più con i piedi di piombo. Ma se è quasi un hobby…?
O’ professore
La passione c’è. Il problema risiede anche nel fatto di essere spesso troppo piccoli. Classico problema delle economie di scala.
Il Milanese
L’anello debole tra queste tre categorie allora sono i contadini? Sembra un sistema feudale.
O’ professore
No. L’anello debole è la struttura, il tessuto delle imprese. Il sistema nasce come feudale (è tipico di tutta la Campania e credo di tutto il sud). Quando c’è l’affrancamento dal principe, i servi della gleba hanno difficoltà ad essere autosufficienti. E così nasce il problema dello stato borbonico. Ancora la circolarità.
Il Milanese
C’è una quantità tale di elementi negativi, molti dei quali li descrivi come incastonati nell’anima, con radici profonde e storiche, che anche solo la speranza che qualcosa possa cambiare sembra pura utopia.
O’ professore
Mo’ stai cominciando a capire! Sai, sono proprio queste contraddizioni che fanno sì che nascano i geni e i rivoluzionari e che poesia, musica, cinema napoletani siano unici. Per carità, c’è anche una manica di lestofanti, che troppo spesso occupano la scena!
Il Milanese
Se io fossi un produttore medio piccolo, che fa qualità e mi viene pure riconosciuta, scapperei. Nel senso che a questo punto veramente mi muoverei senza più vincoli cercando una promozione sganciata da tutto e tutti, comprese manifestazioni come Anteprima Irpinia o le altre del passato.
O’ professore
Un Contadino non può neanche concepire di allontanarsi dalla propria terra. Non devi mai perdere di vista un aspetto: i campani per fare le rivoluzioni hanno bisogno dei Capopopoli. E i Capopopoli spesso e volentieri finiscono per mangiare alla stessa tavola di chi inizialmente contestavano. La storia di Masaniello è emblematica.
Il Milanese
C’è una sorta di intellighenzia locale, tra gli stessi produttori magari, che voglia farsi carico di trascinare anche i contadini ad uscire ed emanciparsi rispetto a tutto ciò?
O’ professore
Vedi, i movimenti li fanno quelli che vengono da fuori. L’intellighenzia è fatta, per lo più, di parolai in carriera. O da persone che non hanno la pazienza di capire che si tratta di un lavoro di lenta costruzione. Chi c’è non vede e quando vede non ha pazienza per fare le cose come si deve.
Il vero problema, qui, è imprenditoriale e l’impresa è proprio il punto debole. Le storie non si costruiscono dall’oggi al domani.
Il Milanese
Allora vorrei capire perché è così difficile fare impresa. Perché in Irpinia, in Campania, è tutto più difficile?
O’ professore
Tutte le cose che ci siamo detti concorrono a disegnare il quadro, compresa l’indolenza, l’autocompiacimento, la presunta furbizia, un po’ magno-greci, un po’ levantini del partenopeo-campano.
Il Milanese
Ma nella Campania del vino, veri imprenditori, nell’accezione che ci siamo appena detti di “impresa”, ce ne sono?
O’ professore
Ripeto, la storia non s’inventa. Fino a 25 anni fa tutta l’industria enologica campana poggiava sulle spalle di 3 aziende: Casa D’Ambra a Ischia, Mustilli nel Sannio e il già citato Mastroberardino. In Irpinia esitevano solo altre due cantine: Struzziero a Venticano, presso Taurasi, e Di Marzo, a Tufo, entrambe con diffusione molto relativa. A tavola non c’era altro. Aprire un’enoteca dedicata ai vini del territorio sarebbe stato impensabile! Infatti, nel novero delle responsabilità per il mancato sviluppo del settore vanno comprese anche quelle delle enoteche. A Napoli, la maggior parte restano ancora vinai che vendevano solo sfuso e di recente hanno introdotto anche le bottiglie.
Per altro, sulla faccenda della promozione bisognerebbe aprire un altro capitolo. Ti do solo uno spunto: una cosa che qualcuno ripete fino allo sfinimento da anni: «il fiano non si dovrebbe bere prima di 3 anni» Secondo te c’entra o no in questo discorso?
Il Milanese
Certo. Pensa che i bianchi irpini, quanto meno “giù al nord”, godono di ottima fama: la triade Greco, Fiano e Falanghina è ovunque. Non si possono non avere in carta, anche se proponi polenta e osei. Però, la loro fama è di vinelli semplici semplici, dai quali non pretendere nulla più che un sorso di Campania pensando alle bellezze folcloristiche locali. Nonostante questa immagine la triade scorre a fiumi, anche se solo per alcuni produttori.
O’ professore
Commetti anche tu lo stesso errore. La triade non esiste. Fiano e Greco irpini sono una cosa, la Falanghina non è neanche parente di 4° grado.
Il Milanese
Io lo so, ma il 99% della gente no. E se ad un medio enotecario nordico che si fregia di avere una signora enoteca gli parli del Sannio o bleffa o trasecola.
O’ professore
Qui c’è tutta una circolarità da dipanare. Innanzitutto i produttori (e qui ritorna il problema del fare impresa) devono buttare fuori i bianchi appena possono per fare cassa. Il mercato storicamente più ricettivo è la costiera amalfitana-sorrentina, con la sua cucina pseudotipica di mare e quindi i vini devono essere lì già ad aprile/maggio. Nessuno ha il coraggio di tenere duro per collocare, non dico tanto, almeno una quota di prodotto l’anno dopo! Ma non basta. Ci sono i ristoratori. Negli anni ottanta hanno fatto un gran lavoro per far capire qualcosa alla gente che era ignorante del tutto (parliamo dell’epoca in cui, a tavola, ti chiedevano: «bianco o rosso?»). Oggi nessuno vuol spendere un attimo per spiegare che non per forza il bianco deve essere d’annata per essere buono. E qua segnaliamo l’ennesimo circolo vizioso: sulla piazza operano tante sanguisughe, che devono spennare il turista-pollo appena lo beccano, perciò (giustamente) il cliente tende a essere sospettoso del bianco invecchiato, alias residuo di magazzino da sbolognare allo sprovveduto.
Il Milanese
Quindi, alla fine sembra proprio che se si deve trovare un colpevole, non può essere altro che la circolarità dei fatti.
O’ professore
E se proprio dobbiamo trovare un rimedio, non può essercene che uno solo, la soluzione finale: IL VESUVIO.
1. Francischiello – Nomignolo con cui è noto Francesco II di Borbone, ultimo re di Napoli e delle Due Sicilie Il soprannome gli fu attribuito dispregiativamente dai cronisti dell’epoca per ridicolizzare la figura di un sovrano che aveva perso il proprio Regno (“la storia è scritta sempre dai vincitori”).
“Esercito di Francischiello” è un modo di dire tuttora usato per indicare un gruppo disorganizzato formato di incapaci e indisciplinati, derivandolo dalla presunta inettitudine dei soldati e dei comandanti dell’esercito borbonico all’epoca della “Spedizione dei Mille” di Garibaldi.