Il contrappeso del Gambero

Il peso del Gambero ha divertito qualcuno di gusto, ha scandalizzato qualche porthosiano convinto, ha fatto scomodare il libero arbitrio ad altri e ha suggerito al dott. Bonilli di farne oggetto di una nota del suo famoso blog che, ad oggi, rimane curiosamente priva di commenti.

Il direttore del Gambero tratta la questione con pungente ironia. Fa riferimento a Pitigrilli e l’’associazione con il romanzo Cocaina la trovo illuminante. Coglie così profondamente il senso del mio pezzo tanto da suggerirmi la chiave per meglio spiegare le ragioni del mio stupore.

Approfitto quindi di tanto acume e scelgo di utilizzare un breve brano, tratto proprio da quest’’opera, che può chiarire il perché mi sia avventurato nell’“’ardito” paragone pubblicità-cocaina. Eccolo:

L’’uomo avaro fino alla pazzia, la donna avida di gioielli fino al delirio, non idolatrano i loro tesori come il cocainomane la sua polvere. Per lui quella sostanza bianca, scintillante, amarognola è qualcosa di sacro: la chiama con i nomi più cari, più teneri, più dolci; le parla come si parla a un’’amante che riconquistammo quando credevamo d’’averla irreparabilmente perduta: la scatoletta della droga è sacra come una reliquia, ed egli la ritiene degna d’’un ostensorio, di un altare, di un piccolo tempio. Se la pone sul tavolino e la guarda, la chiama, l’’accarezza, vi posa sopra la guancia, se la preme sulla gola, sul cuore.
(Pitigrilli, Cocaina, 1921).