Quando si dice la combinazione

E’ appena finito Cheese, innaffiato dalla pioggia e, ovviamente, dal buon vino, almeno si spera.
Nulla di strano, quindi, se la stampa, specializzata o no, riporta tracce di contaminazione da formaggio, anche le più imprevedibili. Che il binomio cacio e vino sia formidabile lo sanno in tanti, ma forse non tutti sanno che può diventare una nuova forma di business, proprio nuova. Ci si aspetterebbe di trovare informazioni come queste nelle sezioni “”Le Aziende informano”” o giù di lì di certi periodici, ma per chi non ha tempo di spulciare, arriva un bel lancio ANSA, che illustra magnificamente la faccenda.

Stiamo parlando dei cheese-bar, che, diciamolo subito, “sono trendy e fanno tendenza”. Non ci vuole la zingara per capire che si tratta di pubblici esercizi dove si mesce vino e si mangia, pardon, si degusta formaggio, ma ci vuole un’attenta lettura dell’’articolo per comprendere a fondo. Tanto per cominciare, dal matrimonio fra vino e formaggio “è nato un vero e proprio business a tutto vantaggio dei buongustai”. E noi che pensavamo che a guadagnare fosse sempre l’’oste.
Dove sono i cheese-bar? Perlopiù nel Centro-nord, li riconoscete dal numero di coperti (fino a 40 circa) e dalla venerazione del formaggio, che si può “consumare in piedi o seduti”. Non ci si sdraia, insomma, neanche dal ridere. Eppure qualche motivo ci sarebbe, perché, udite udite, nei cheese-bar il “filo conduttore” è niente meno che “la massima estensione sensoriale, indispensabile per degustare sia un buon bicchiere di vino che un tomo d’alpeggio”. Proprio così, nei cheese-bar si degustano i tomi, ma d’’alpeggio. Se un frettoloso lettore può pensare ad un refuso, quello più attento scopre che si fa sul serio, perché nei cheese-bar “I formaggi più richiesti oggi sono caprini e tomi d’alpeggio, morbidi e cremosi”.
Questo forse spiega perché i topi non frequentino più le biblioteche e affollino i cheese-bar, ma non finisce qui, perché l’’articolo parla anche di soldi. Infatti, emerge che ” l’offerta è per tutte le tasche: dipende dalla selezione dei formaggi e naturalmente della bottiglia”. Sauternes e Roquefort o caciotta e bonarda, dipende dal vostro portafogli e dai “‘maitre di formaggi’, che suggeriscono abbinamenti e sapori diversi a seconda delle stagioni e quindi delle temperature”.
Insomma, un articolo davvero istruttivo, che prospetta persino l’’opportunità di diventare imprenditori. Chi volesse intraprendere la strada del franchising (sorpresa, vero?) scopre che con 140.000 €e un locale di circa 100 mq si può cominciare. Manca solo il numero di telefono, peccato.
Infine, una spruzzata di sociale, affidata alle preoccupate parole di un esponente della Coldiretti. Stabilito che l’iniziativa sarà comunque un successo, il nostro si dice preoccupato per la “tendenza sempre più diffusa di inseguire politiche aziendali di nicchia, spesso fragili e temporanee, che rischiano di far perdere di vista quelle più rilevanti dinamiche sociali e collettive entro cui si è sviluppato negli ultimi anni il settore dei consumi fuori casa, apportando valore vero al consumatore e distribuendo ricchezza sul territorio’.
Adelante, cheese, ma con giudizio.