montecarotto

Il Grande Verdicchio, lo stato delle cose


Perché non ha importanza come tu appari, 

ma / quello che hai visto e mostri. Merita
di essere conosciuto / quello che sai.
Bertold Brecht

citazione tratta da: Rocco Ronchi, Il canone minore – Verso una filosofia della natura, 2017, Feltrinelli, Milano


di matteo gallello 
a cura di sandro sangiorgi
Un aspetto meraviglioso della vitivinicoltura è il legame esclusivo tra luogo e vitigno, uno scambio che prevede interazioni, durata, conoscenza, fraintendimenti. Il Verdicchio ha stabilito e vivificato in modo particolare questo senso di vicinanza, tanto che, da sempre, si parla e si scrive del decadimento del suo potenziale organolettico lontano dalle Marche. Inoltre la completezza, la versatilità (dallo Spumante al Passito… ma poi fino a che punto è cosa buona?) sono state caratteristiche premonitrici della sua celebrazione, in particolare tra gli anni novanta e i primi del nuovo secolo, quando un (sano) abbassamento della resa per pianta, fermentazioni e maturazioni nelle botti ne hanno elevato complessità, aura, premi e prezzi.

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Il Verdicchio, in questi ultimi anni, continua a essere Grande, per molti il migliore vitigno/vino bianco d’Italia – insieme al Fiano irpino con il quale condivide la medesima considerazione. Ciononostante, pur stimandone il potenziale, per me resta molto sulla carta, nelle intenzioni.
Mica il Verdicchio è stato sempre Grande! direbbe un tagliente Lucio Canestrari.
Accade spesso che i fatti siano regolati attraverso azioni e reazioni: mi riferisco a un recente passato, tra gli anni sessanta e settanta del Novecento, quando il Verdicchio era il vino della pizzeria e del pesce (benissimo, per carità), sebbene parte della sua antica radicalità terragna fosse più incline al maialino arrosto e al coniglio in porchetta. A questo si aggiunge l’inequivocabile fattore positivo di non essersi dovuto confrontare con un passato di fasti e ingombri celebrativi. È vero che Soldati, con le sue “mezze parole”, reputava il Verdicchio, fino al Secondo Dopoguerra «forse il più delizioso dei vini bianchi di tutta Italia», ma anche «il primo a crollare» dagli anni cinquanta in poi.
La sua riscoperta è sfociata nella più alta ambizione: dall’anemia dell’anforetta con la pergamena siamo passati alla matura e universale autorevolezza del primo Gaiospino e alla surmaturazione del Balciana, passando per la zonazione del San Michele di Vallerosa Bonci. Ricordo poi il serissimo Villa Bucci Riserva 1995 (surmaturazione e singoli cru non lo riguardano) assaggiato nel 2013: Grande Vino, certamente. Tuttavia oggi non ho questo gran desiderio di riberlo, forse è colpa del mito (enologico): astrazione, una bellissima, passeggera, finzione. 
In tre anni di collaborazione con la Sagra dell’Uva di Cupramontana abbiamo esplorato le doti del vitigno/vino anche attraverso confronti con vini stranieri. Inoltre, qualche mese fa, l’organizzazione del Pesaro Wine Festival, Gianluca Galeazzi e Luca Iorio, ci ha invitato a scegliere otto Verdicchio in abbinamento al menu pensato da Massimo Biagiali del Ristorante “Il Giardino” di San Lorenzo in Campo, in occasione del Prefestival di venerdì 6 aprile. Tutte queste varie e preziose opportunità mi hanno permesso di riflettere sullo “stato delle cose”. Inoltre, il lascito dell’ultima esperienza, coltivato il giorno seguente nella sospensione procurata dal viaggio in treno, ha rivelato, salvo che in pochi casi, il modesto coinvolgimento emotivo dei campioni degustati. Eppure lo scrupolo nella loro scelta è stato elevato.

fattoria san lorenzo

Chissà a cosa dobbiamo questa sensazione… forse il canone del Verdicchio si rifà a un modello che imprigiona la statura del vitigno in un protocollo di produzione.
A me non interessa il trittico struttura – densità – frutto (al quale corrisponde ancora il 90% dei vini prodotti), ma la triade spontaneità – complessità – benessere. È palese che perseguire il modello qualitativo entra in contrasto con la disinvoltura del vino. La completezza enologica e l’esclusività con la quale il Verdicchio esplora e  seleziona ogni terroir, due aspetti a ragione considerati i primi passi per entrare nel Circuito del Talento, restano impigliati in una ragnatela prestazionale il cui primo risultato è una sterile longevità che, alla luce di questi ultimi anni, nasce soprattutto da una (s)mania di controllo. Ad ogni modo, il livello emotivo degli esemplari più indisciplinati è certamente alto, paragonabile ad alcuni dei migliori Chenin dell’Anjou o Chardonnay di Meursault. È proprio in questi casi che si ritrova un vino sospeso tra la peculiare lettura della sapidità del luogo, l’essere incondizionato, e le vibrazioni che procura all’assaggio. Alcuni vini di Lucio Canestrari e Fiorella De Nardo, i più liberi e rari, le loro prove più strambe, sono un sospiro di sollievo. Così come alcune annate del Vigna delle Oche Riserva di Natalino Crognaletti. Gli Eremi di Corrado Dottori e Valeria Bochi non è solo uno spartiacque, una pietra miliare per tutti i Castelli di Jesi (da anni è fuori dalla doc), ma anche una consolazione, un’espressione appassionata del vero, grande Verdicchio.

Di seguito i piatti, cucinati dallo staff de “Il Giardino”, e i vini serviti in accostamento durante la cena di venerdì 6 aprile presso la Villa Cattani Stuart di Pesaro:

Aperitivo a tavola con frittino misto
Mai Sentito! Verdicchio sur lie 2016 La Staffa (Staffolo)
Disimpegnato e simpatico, è succoso e non si fa carico di essere coinvolgente. L’acidità mi pare sopra le righe, la vena linfatica, infatti, è come “scoperta” e interferisce con la leggiadria del vino.
Si trova a suo agio sull’impudica grassezza di cibi da aperitivo, come il fritto di verdure e le (vere) olive ascolane di Massimo e Paolo Biagiali.

Exquisito di baccalà
Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore Cipriani 2016 Tenuta San Marcello (San Marcello)
Inizio accomodante, legato alla florealità e a un complesso odoroso “canonico”, il suo è un epilogo semplice. Certamente, la moderazione e la lieve morbidezza riescono a collocarsi felicemente sul baccalà mantecato.

Polenta da mais Ottofile di Roccacontrada con baccalà
Il Gentile 2016 Di Giulia (Cupramontana)
Appena versato nel bicchiere può scoraggiare tanto è silente, si capisce che non manca di grinta e ti spinge a cercare. Quanto a tattilità, dona tutto se stesso e incide deciso sulla compattezza e il condimento generoso di polenta e baccalà alla moda marchigiana. È uno di quei vini esemplari per far capire l’importanza della temperatura di servizio: se troppo bassa il vino è immobilizzato, a 12-14 °C trova la sua intera dimensione espressiva.

Paccheri con moscioli e paccasassi
Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore Kypra 2016 Ca’ Liptra (Cupramontana)
Altero, mostra un profilo aristocratico e comincia un po’ contratto; stando nel bicchiere si esprime in modo più diretto e spigliato. Il suo essere ficcante ed espansivo gratifica il ritorno marino, ferroso dei moscioli e quello agrumato dei paccasassi.

Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore Campo delle Oche 2014 Fattoria San Lorenzo (Montecarotto)
Quasi agli antipodi del cuprense, il vino di Natalino Crognaletti è pieno e saporito; per quanto persista sulla lingua, è però segnato da un’impronta fuori posto di caramello che ne limita continuità e attrazione. L’alcol è imponente e in precario equilibrio con gli estratti e l’acidità.
Lavora sul lato morbido del piatto, lo attacca con cautela e punta ad allungare la sensazione unta del famoso e intenso condimento “biagialesco”.

Maialino brado al forno con patate arrosto e verza
Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore Gaiospino 2015 Fattoria Coroncino (Staffolo)
È lui. Affidabile, disinvolto, concreto e potente, grazie alle straordinarie uve originate dal vigneto di Spescia e colte nella loro piena maturità. Tuttavia sembra impegnato a compiacersi, preoccupato a tratteggiare il proprio profilo e meno incline a donarsi. Seducente, dalla struttura piena, può però far poco nel confronto col carisma del successivo.
Dilaga, si espande con tenacia, riesce a tenere testa alla carne che, dalla sua, ha tre meravigliose e riuscite consistenze: morbidezza, fibra e croccantezza.

Gli Eremi 2015 La Distesa (Cupramontana)
La memorabile luce di contrada San Michele. Arriva consolatorio e verace, straccia la compostezza dei Verdicchi assaggiati in precedenza. Irrompe vibrante, aiutato da una volatile fervida e costruttiva che, come un’evocazione primordiale, scolpisce nella memoria un’immagine vitale, profonda e persistente. Sono l’articolazione e la pervasiva stratificazione del sapore a consentire uno scambio continuo con la carne.

Bombolone con crema all’arancio e gelato artigianale al torroncino
Verdicchio dei Castelli di Jesi Passito Curina 2015 Pievalta (Maiolati Spontini)
Senza effetti speciali, ha un profilo stretto e puntuale che porta ristoro all’abbondanza della pasta fritta e della crema. L’acidità, per quanto isolata, riesce a tenere le fila della moderata portata zuccherina e del lascito maturo.

verdicchio pesarowf