Il Pranzo di Natale

Abbiamo chiesto ad una nostra affezionata lettrice di parlarci del suo pranzo di Natale, proponendole alcune domande, che trovate in fondo all’’articolo. Per usare le parole dell’’autrice, “più che di una testimonianza si tratta di confidenze in ordine sparso. Ma il tono è leggero e l’’umore ottimo”.
Auguri e buona lettura.

A casa dei miei genitori non c’è mai stata una gran tradizione per il pranzo di Natale. Mi è rimasta in mente qualche vaga traccia del menu di tradizione, forse la carne bollita (ma io la preferivo sotto forma di polpetta il giorno dopo).
Il ricordo più vivo riguarda mio padre, quella volta che si mangiò la carta del panettone (ma lui si è mangiato anche il cibo per gatti, quindi, niente di strano).
Del Natale ricordo anche la ricerca del muschio per il presepe, ed il gatto che rubava le riproduzioni di plastica delle pecorelle; sterminato il gregge, il presepe si popolava di leoni, giraffe e zebre (io sostituivo le pecorelle smarrite utilizzando uno dei miei giocattoli preferiti, “gli animaletti” – riproduzioni di plastica di animali d’ogni specie).
E poi c’erano i concerti con la chitarra (io) e la tastiera (mia sorella), i pezzi più riusciti: da “Astro del ciel” a “Jingle bell” (in questo sono cambiata poco; lo scorso Natale mi sono messa al piano con le mie nipotine di 8 e 10 anni che hanno cercato di darmi una lezione… di pianoforte, s’intende).

Da quando vivo per conto mio ho istituito la cena della vigilia di Natale.
La mia è una famiglia poco numerosa, di impronta matriarcale. Quasi tutte donne che amano cucinare. Risultato: un’abbuffata che dura tre giorni (per smaltire tutto il cibo).
Alcuni piatti della tradizione di famiglia: i bigoli in salsa (tutto rigorosamente fatto in casa), il baccalà mantecato (quello con l’aglio), qualcosa con il radicchio di Treviso (inevitabile). Nella mia fase vegetariana propinavo agli ospiti imprevedibili manicaretti a base di tofu e seitan; agli ospiti irriducibili offrivo anche un menù più tradizionale ma, rigorosamente, a base di sole verdure. Da quando non sono più vegetariana gli invitati sono molto più sereni.

Mi piace curare addobbi e decorazioni, sfidando gli attentati quotidiani del gatto di casa; l’attuale inquilino peloso (che non discende dall’appassionato di pecorelle) predilige gli angioletti appesi.
Tra gli addobbi più riusciti l’albero (rigorosamente finto e riciclabile) decorato con i tappi di tutti i vini bevuti nel corso dell’anno. Qualche tappo, sempre lo stesso, si ripropone sull’albero ogni anno, in virtù del valore affettivo che possiede, proprio come si fa con le palle di Natale più preziose.

La sera della vigilia mi piace ricevere gli ospiti con un vestito carino (sopra, il grembiule – il mio preferito è quello con su scritto “kiss the cook” che mi fa sentire una vera cuoca) e la musica in sottofondo (Keith Jarrett è il più gettonato – principalmente in onore di mio zio – uno dei pochi uomini presenti; Jarrett è l’unico musicista jazz che lui conosca).

Quello che più mi piace è la confusione che si crea; quel profumo di cibo che si sente anche nell’ascensore e l’affollamento per casa, anche grazie ai parenti acquisiti nel tempo, la pila di teglie, pentole, piatti e vassoi che si accumula in cucina (ognuno si riporta a casa la sua parte di avanzi e di pentole da pulire).
Non è tanto il significato religioso del Natale, quanto lo stare tutti insieme; in effetti, in famiglia non ci frequentiamo molto.

Sono personalmente orgogliosa del successo ottenuto: oggi, dopo qualche anno, la nostra cena della vigilia di Natale è diventata una piccola tradizione, e così, all’inizio dell’autunno, gli ospiti cominciano ad interessarsi all’evento (mia madre già mi ha chiesto indicazioni sul menu).

Non c’è un piatto preferito; io, contravvenendo alle regole del bon ton culinario, ma soprattutto a quelle del buon senso, con l’occasione sperimento nuove ricette.

Piatto detestato: i datteri appiccicosi e glassati (se hai provato quelli veri, che stanno sull’albero, quelli confezionati ed addizionati di zucchero diventano immangiabili). Ma in generale i datteri non mi piacciono.

A mezzanotte, ci scambiamo i regali. Nel frattempo si chiacchiera, si dormicchia, qualcuno va alla messa di mezzanotte, ma di solito il momento di scartare i regali arriva in fretta.
Poi tutti a dormire; ed il giorno dopo si ricomincia a casa di qualcun altro.

Adesso che ci penso io ho raccontato la mia cena della vigilia di natale, che in realtà precede, solo di poche ore, il pranzo di Natale. Ma lo spirito non cambia; quello che mi piace, quello che probabilmente non ho vissuto da bambina, è la gioia di stare tutti insieme.

E poi, fino a poco tempo fa, io ero la più piccola in famiglia e quindi quella più coccolata. Poi è nato il figlio di mio cugino e, per fortuna, tutto è cambiato.

A casa di mio marito, al pranzo di Natale di famiglia partecipano circa 30 persone (sono una famiglia piuttosto numerosa). Di solito ci si ritrova a casa dei suoi genitori ed il principale problema… è trovare un posto a tavola (una specie di gara, i posti non bastano mai).

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Natale ha ancora un significato o è solo un’abbuffata?

Come lo vivevi da bambina?

E adesso? Pranzi fuori o in famiglia? Cucini oppure no?

Il piatto che fa Natale? E quello che detesti?