«Niente spumante, siamo bollicine»

Il tono è stizzito, del genere “reazione scomposta”, e si capisce bene perché. La «presunta necessità di un riordino nel mondo dello spumante emersa in occasione dello scorso “Forum degli spumanti”» risveglia la ferma avversità del consorzio di tutela del Franciacorta. «Non siamo spumante, basta con le confusioni», recita il comunicato stampa ufficiale.

«Data la sua tipologia, molto, troppo spesso, il Franciacorta viene confuso e definito semplicemente spumante. Noi vogliamo porre fine a questa confusione a difesa del nostro prodotto ma anche, molto, a difesa del consumatore. Il territorio della Franciacorta ha caratteristiche uniche e ben circoscritte, le aziende che ci lavorano producono il Franciacorta seguendo un disciplinare rigorosissimo, i tempi di lavorazione sono i più lunghi in assoluto per la categoria, gli investimenti, le modalità e la volontà di tutti coloro che ci lavorano sono tali da conferire a questo prodotto caratteristiche uniche e inimitabili. Per questi, e molti altri motivi, non può essere chiamato in altro modo che Franciacorta».
Il messaggio è chiaro. Il consorzio ricorda che il Franciacorta ha acquisito il diritto, elargito dall’Unione Europea (reg. 753/2002), di indicare in etichetta il solo nome del vino/territorio, senza dover menzionare null’altro, neppure la tanto agognata Docg, ottenuta nel 1995 e pur esibita con orgoglio. Un privilegio che solo altri nove vini europei si sono visti riconoscere. In pratica, come nel caso dello Champagne – sola denominazione francese a non poter riportare in etichetta la formula Appellation Champagne Contrôlée, che sarebbe illegale –, il termine Franciacorta dovrebbe bastare a definire tipo di prodotto e origine geografica.

Di fronte a cotanto prestigio, consolidato persino dall’Ue, stupisce che il consorzio si preoccupi ancora di essere confuso con il termine spumante, evidentemente letto con un’accezione negativa. Se alla celebrità corrispondessero un’effettiva tipicità dei vini e una chiara supremazia qualitativa sulle altre “bollicine” italiane, non ci sarebbero ragioni di preoccupazione. Né di promulgare un comunicato così perentorio. È paradossale che si rinneghi il termine spumante con sdegno, preferendo allegramente il termine bollicine, spesso utilizzato dai franciacortini. A rigor di logica, l’uno e l’altro comportano la stessa nefasta generalizzazione agli occhi del consumatore. Anzi, bollicine ha l’aggravante di non indicare neppure un’origine viticola; potrebbe trattarsi di un soft drink. Ma le strategie di comunicazione e promozione sembrano interessare in modo del tutto particolare i produttori di questa Docg.