In vino veritas

“Non nascondere a nessuno il pensiero e la dignità
La minoranza non è una debolezza
La maggioranza non è una qualità”
Niccolò Fabi

PER MOTIVI DI TROPPA AFFLUENZA MOMENTANEAMENTE NON E’ CONSENTITO L’INGRESSO. Ci scusiamo per il disagio.
Questo vedo scritto sulle porte chiuse dello Spazio Etoile appena arrivo in Piazza San Lorenzo in Lucina domenica pomeriggio. Soprattutto, vedo la folla davanti agli ingressi: non mi aspettavo tanta partecipazione.
Mi metto in fila, paziente e caparbia: al Sens of Wine ci vado, eccome. All’’evento dell’’anno nella capitale ci devo essere, eh sì, tre enormi manifesti fuori dell’’ex cinema mi ricordano la notorietà dell’’organizzatore ed io questo percorso dei sensi proprio non me lo voglio perdere. Perdo invece ben 70 minuti della mia esistenza in coda, cercando di capire da chi è composta questa varia umanità che vuole a tutti i costi spendere 15 euro per… A questo punto, mentre penso ai soldi da dare, si avvicina una ragazza chiedendomi se ho il biglietto. Alla risposta “certo che no”, mi regala il suo ingresso omaggio, lei è stufa di aspettare in fila, è da venerdì che tenta di entrare. Bene, buon segno, la sorte è dalla mia.
Attendo, non mi spazientisco, non m’innervosisco, sto lì nel mio immobilismo sovietico che si colora di curiosità e leggera emozione. Il mio primo evento enogastronomico.
A noi esseri umani in coda, viene distribuito il libercolo ufficiale della manifestazione: bello, proprio bello, non c’’è che dire, elegante, curato, graficamente accattivante, per spiegarci che stiamo per entrare nel tempio del vino in cui vivremo un’’esperienza sensoriale unica. Sono pronta, siamo tutti pronti, si aprono di nuovo le porte ed entriamo, a spinta, senza pietà, sgomitando, ma entriamo… “Accidenti che bolgia!” mi scappa da dire a voce alta, noncurante dell’’aplomb dello staff. Ci si orienta facilmente. C’’è il desk dove si paga il biglietto, c’’è quello del guardaroba ad un euro ed infine il desk della distribuzione dei bicchieri: lascio una cauzione di 5 euro e mi consegnano un calice con tanto di sacchetto portabicchiere. Via, si parte.
Ci sono le indicazioni per due percorsi da seguire ma gli spazi sono così stretti, le persone talmente numerose che si crea una notevole confusione fuori e dentro di me…
Macché via dei sensi attraverso i capolavori dell’’enogastronomia italiana, qui il vino non si riesce né a vedere, né tantomeno a sentire. Sento invece prepotente l’’odore, il sudore della folla, sento la temperatura troppo alta, la mancanza di aria. Proteggo il bicchiere con un braccio perché le persone sgomitano per passare da una sala all’’altra. Vedo facce paonazze, sento schiamazzi, riconosco alcuni miei ‘simili’ che hanno occhi smarriti, i produttori che quasi urlano per cercare di spiegare il proprio metodo di vinificazione a… Già, a chi? Mi fermo un momento in un angolo ed osservo, ascolto. Ci sono quelli che con 15 euro finalmente bevono quanto vogliono, quelli che vorrebbero essere esperti ma sono coscienti dei propri limiti e quelli infine, spassosissimi, che si credono veri intenditori dal naso e dal palato sopraffini.
Nonostante la folla rumorosa, distratta, alticcia, decido di sgomitare anch’’io e di assaggiare dei vini. Alcuni mi piacciono, altri no, certo in quelle condizioni… Alcuni sono, ovviamente, troppo freddi o troppo caldi, ma in molti noto un comune denominatore: le etichette. Davvero interessanti! Sì, ecco, lo confesso, vengo attratta anche dalla grafica delle etichette: elaborate, innovative, accattivanti, accidenti, uno studio del design che non mi sarei aspettata.
D’’altronde proprio non mi sarei aspettata tutto questo, mi sarei aspettata altro, perlomeno il “percorso dei sensi” promessomi, perlomeno le perle gastronomiche invero piuttosto scarse. Tutt’’altro che esigui sono invece gli sponsors, importanti, ridondanti che ritrovo ovunque e che mi distraggono ulteriormente perché lo spazio vitale è insufficiente.
Ho caldo, cala l’’entusiasmo, esco.
Incontro l’’aria fresca della sera, la libertà di movimento e di pensiero, rimango perplessa.
Mi manca qualcosa, mi manca tutto. Vorrei un calice, una mescita lenta, la naturale sacralità del vino. Vorrei che qualcuno mi raccontasse i vigneti, l’’odore della terra, la luce del sole, la meravigliosa e maledetta imprevedibilità della natura, la Bellezza dell’’uva; l’’onestà del produttore, l’’entusiasmo, la fatica, le pressioni del mercato; i tempi, i metodi, le passioni, i segreti, le peculiarità, l’’unicità.
Vorrei riconoscere il colore nelle sfumature, respirare gli elementi, ritrovarli e sorprendermi nel lento e complesso percorso della conoscenza del vino.
Del ‘Sensofwine’ mi resta invece una gran Sete di sapere e tanti interrogativi: in questa scintillante manifestazione, opacizzata a mio parere dal carico della pubblicità e dall’’insufficienza degli spazi, Luca Maroni, attraverso il suo metodo scientifico, avrà saputo davvero far parlare il vino nel linguaggio sublime dei sensi? Soprattutto, c’’è la volontà di educare il consumatore, di condurre per mano il fruitore ed accompagnarlo in una personalissima esperienza sensoriale?

Datemi un calice, del vino e ricominciamo daccapo.