Intervista a Davide Vanni

S: In che modo entra il documentario nell’incontro Vino-Persona-Luogo?
D: Il documentario deriva da una mia esigenza di conoscere.
S: Ma nasce immediatamente?
D: No. Inizialmente trovavo quasi fastidioso avvicinarmi a questo mondo, per me così bello, per farne un documentario; provavo una sorta di allontanamento emotivo. Pensavo: «Sarebbe bello fare un lavoro su Stefano, sul vigneto, sul vino, su persone che vivono in questo modo la campagna e donano una profonda emozione accogliendoti e facendoti provare i loro prodotti». Però la pensavo come una cosa talmente intima che non ci fosse bisogno di fare un lavoro del genere.
S: Intima tra te e lui, tra te e il vino? Spiegami meglio.
D: Era una cosa che vivevo io ma che estendevo anche agli altri. Pensavo che chiunque avrebbe potuto conoscere i produttori e la viticultura ed emozionarsi come me, ed era bello lasciarlo per ciò che era: un’esperienza di vita vissuta e null’altro. Tuttavia continuavo a pensarci, giorno dopo giorno, gli incontri aumentavano, tornai a trovare Stefano e gli altri e pian piano mi dissi che forse, in maniera delicata, si poteva realizzare qualcosa. Da lì nacquero l’idea e il progetto. Avevo già fatto piccole cose, ma in quello che realizzavo mancava il respiro.
S: Ti prego, sii più preciso.
D: Mancava un di più a livello spaziale e nelle differenze individuali: una complessità.
S: E cosa dovevi fare per arrivare a quel livello?
D: Dovevo viaggiare e guardare di più.
S: È come se dovessi superare un’intimità, un pudore tuo, per cercare di indagare?
D: Sì, il documentario mi ha aiutato a superare le timidezze e a rapportarmi con le persone e i luoghi.
S: Tu hai grande delicatezza nella ripresa. Una persona non si accorge di essere registrata o fotografata da te. Questo ti ha aiutato di fronte a persone che, nella loro quotidianità, non sono abituate a stare davanti ad una telecamera?
D: Credo di sì. Si è sempre creato un rapporto di sinergia tra me e l’altro. Anche nei casi in cui inizialmente il rapporto era un po’ freddo, l’atmosfera si è sciolta in breve tempo. È un approccio che sento mio e che mi aiuta.
S: Parliamo un attimo del viaggio. Se tu avessi avuto l’automobile, l’avresti usata?
D: No, questo è sicuro.
S: Pensavi dall’inizio che il viaggio andasse fatto così e ne eri convinto? Forse perché nella tua vita hai comunque viaggiato poco in auto, sei stato più accompagnato. Anche da me, per esempio [sorride].
D: Doveva essere fatto così. Con treno, autobus, BlaBlaCar, traghetto e piedi, molto a piedi.
S: E questo come e cosa favorisce? Per esempio, qualcuno potrebbe dirti che saresti riuscito a raccontare più storie e andare da più persone, utilizzando mezzi più veloci. Cosa rispondi?
D: Che si perderebbe.
S: Che cosa hai bisogno di conservare?
D: Ho bisogno di lentezza, di arrivare pian piano alle cose.
S: Quanto tempo facevi passare tra l’incontro con un produttore e il momento in cui scrivevi per il sito di Porthos?