Intervista a Davide Vanni

a cura di laura pinelli e francesca pasqui

Abbiamo intervistato Davide Vanni, autore del documentario Vitae dedicato ai produttori di vini naturali che verrà proiettato sabato 9 aprile alle 18:30 a Cerea, in provincia di Verona, nell’ambito della manifestazione ViniVeri. Introdurrà l’evento Sandro Sangiorgi.

Davide Vanni studia al liceo scientifico di Salò e inizia ad allontanarsi da casa nel 1995 iscrivendosi alla facoltà di psicologia di Padova. Poi inizia il lavoro con i ragazzi autistici in terra friulana. Un altro trasloco lo conduce a Torino per il biennio alla scuola Holden e tanto cinema. Dopo un campus di cinema e magia in Lucania parte deciso verso il mondo del documentario.



Sandro
: È palpabile la tua felicità, la tua soddisfazione per aver realizzato questo viaggio; ti spiace esserci arrivato così tardi?
Davide: No, credo sia stato il naturale evolversi delle cose. Era una forma che volevo sviluppare e ci sono arrivato con i miei tempi.
S: Perché un educatore frequenta la scuola Holden? Come funziona?
D: Funziona che frequentare quella scuola non ti porta automaticamente da qualche parte.
S: Tu già lavoravi nel settore dell’assistenza sociale?
D: Io ero laureato in psicologia ma, in Italia, se non prosegui il cammino dello psicologo, non rimangono molte cose da fare. O cerchi lavoro in una grande azienda oppure vai a fare… il pastore! [ride].
S: Fai il pastore… oppure ti occupi di Risorse umane nelle grandi aziende, piene di laureati in psicologia.
D: Sì, infatti, tre giorni dopo la mia laurea mi chiamarono per lavorare come psicologo del lavoro, ma non era quella la mia intenzione. Già dal secondo anno e mezzo non ero più convinto del percorso che stavo facendo.
S: E all’inizio che cosa ti aveva convinto? Eri all’inseguimento degli amici?
D: Avrei voluto frequentare il liceo artistico, poi per varie cose non sono riuscito. Scelsi lo scientifico e da lì pensai di continuare facendo architettura o psicologia.
S: Le psicologhe sono bellissime!
D: Più che altro sono problematiche [ride]. Ho incontrato tante persone che andavano lì per risolvere i propri problemi.
S: Il passo da architettura a psicologia non è proprio scontato…
D: M’interessava studiare ed entrare in quello che pensavo fosse l’aspetto più umano della psicologia; invece mi sono scontrato con una parte sperimentale, abbastanza fredda. Soprattutto a Padova.
S: Un’osservazione distante?
D: Un’osservazione non partecipe. A parte rari esami, nei quali ho avuto modo di studiare cose alle quali ero molto interessato, che mi sono servite e che continuo ad approfondire.
S: Per esempio?
D: L’antropologia, la storia delle religioni, la sociologia, discipline raggruppate nell’approccio junghiano che trovo più complesso.
S: Anche più interessante da percorrere?
D: Più interessante e più onesto nei confronti della vita, che non è solo un approccio sperimentale di causa ed effetto, ma qualcosa di più; ci sono i sogni, le cose impreviste, i conflitti. È un’osservazione più instabile e meno scientifica, forse per questo intimorisce la scuola accademica. Nei docenti stessi vedevo un diverso modo di affrontare le lezioni, di parlare… e anche tra noi studenti, quei pochi presenti alle lezioni, si è creato un legame che prosegue tuttora.
S: Un legame di amicizia o anche un confronto scientifico?
D: Non un confronto scientifico, è più un filosofeggiare, un dialogare. Quando ci si risente, anche se sono passati mesi o anni, si riprende sempre da dove ci si è lasciati. È una bella complicità fra tre persone. È quello che, secondo me, manca alla freddezza con cui sono trattati gli argomenti e che costringe a stare seduti sui banchi senza avere un’esperienza pratica necessaria per chi vuole lavorare con le persone.
S: Quindi dopo due anni e mezzo ti sei accorto che non era il tuo percorso, però hai pensato che sarebbe stato meglio completarlo.
D: Esatto.
S: Finita psicologia che succede?