Pinot Ötzi: il commento di Sandro

Pinot Ötzi 2006 – Considerazioni organolettiche generali

L’elemento di spicco è il portamento. Questo vino, frutto di un taglio tra un Pinot nero della Val Venosta e uno della collina di Castel Juval, evita la rigida postura ricorrente in diversi Blauburgunder altoatesini, così affezionati ai sentori di frutta e a un impatto gustativo secco e fortemente orientato dall’acidità. Sin dal colore emana un senso di maggiore maturità, i profumi si levano gradualmente svelando una complessità in fieri, in bocca è come se tardasse, si prende tutto il tempo per far apprezzare la sua carnosità, non si preoccupa del fatto che un ingresso così compassato possa far pensare a un modo dimesso; la tensione occupa la seconda parte della lingua, l’acidità si afferma dopo un cammino sotto traccia, il finale evoca pienamente le premesse odorose amplificandone il volume.

Dall’osservazione delle analisi chimiche s’intuisce, ancora prima di sentirli, che i vini possono esprimersi attraverso sensibili differenze. Incuriosisce il comportamento della solforosa – finalmente qualcuno che ne indica il contenuto onestamente – dal quale si evince il buon prospetto evolutivo, in particolare dei vini conservati in altitudine. Un dato che avremmo voluto avere con maggiore precisione è quello sull’umidità delle diverse cantine, da collegare alla perdita per evaporazione. Da un’osservazione empirica, e non periodica, la cantina di Castel Juval è al 50%, quella di Oberraindlhof al 65%, mentre il Fon asciuga l’umidità del ghiacciaio di Grawand portando quella della cantina intorno al 40%; non a caso è in quest’ultima che la botte subisca una maggiore evaporazione.

900 metri sul livello del mare

Conservato nella cantina di Castel Juval, è il più pronto dei tre. La disinvoltura, con la quale esibisce l’ampiezza odorosa e la susseguente tenerezza gustativa, è propria di un Pinot Nero volitivo e affascinante, godibile senza essere elementare. Molto buono il suo comportamento a bottiglia aperta verificato nell’arco di tre settimane, durante le quali il vino non è mai sceso sotto un apprezzabile tenuta, modificandosi delicatamente. Da accostare a una minestra autunnale di funghi e legumi.

1500 metri sul livello del mare
Conservato nella cantina dell’Albergo di Helmuth Raffeiner, l’Oberraindlhof, è il meno pronto dei tre, o meglio mostra una fisionomia più contratta, della quale l’impronta del rovere è l’elemento centrale. Il test a due settimane dall’apertura ha confermato la sostanza delle prime impressioni e, forse, il vino sta attraversando una fase introspettiva. Rimangono intatti elementi come la tensione e la contemporanea avvolgente piacevolezza, salvo ritrovare, nelle sensazioni finali, netto il sentore del legno. Possiamo misurarlo sul classico prosciutto cotto affumicato cucinato alla piastra e accompagnato da un frutto dolce.

3212 metri sul livello del mare
Conservato nella cantina dell’hotel Grawand, è il più interessante perché dona una sintesi tra la verve brillante ed energica del vitigno e l’ambita profondità gustativa. Questa sensazione si avverte col passare dei giorni, quando le diversità espressive dei tre vini si sono ampliate e l’Ötzi più “alto” è emerso come promettente modello di capacità evolutiva. L’intensità complessiva merita il confronto con un coniglio marinato e poi fritto.

Tutti hanno la vocazione a servire la tavola propria del Pinot Nero, alla quale aggiungono una imprevedibile versatilità che apre spazi gastronomici per piatti d’impronta mediterranea.