Cirò palo low

Sogno l’amore: il vino a Cirò


testo e foto di alice e francesco mazzali
a cura di sandro sangiorgi

 


27 dicembre 2020, l’Italia è in zona rossa. Abbiamo l’opportunità di muoverci per un viaggio di studio e di lavoro. Resteremo tre giorni a Cirò, dove ci aspettano Matteo Gallello e Francesco De Franco. 
Sette ore di viaggio trascorse lungo la dorsale adriatica, dall’Abruzzo alla Calabria, incontrando poche auto in un’atmosfera surreale.

Cirò palo low

Se aprissi gli occhi
saprei cosa guardare: il tuo splendido volto
così pieno di luce, così vero per me
non saprei cos’altro guardare.
Sogno l’amore, dall’album Uomo Donna del 2017 di Andrea Laszlo De Simone

vicoli2

I vicoli di Cirò sono lettere d’amore. Dichiarazioni sfacciate, schiette, così urgenti da dover essere impresse sui muri e visibili a tutti. Che gli altri vedano quanto ti amo, si rendano conto di cosa farei per te. I muri scrostati delle case si prestano bene a restituire la tragicità di certi sentimenti, in fondo lo sanno tutti che il medium è il messaggio e la poesia è in tutte le cose.

«Mi raccomando, quando camminate a Cirò guardate sempre attraverso le finestre o tra le fessure delle serrande. Se state attenti, in ogni edificio scorgerete delle vasche» ci dice Francesco De Franco, la nostra guida. E noi allora, con l’entusiasmo di due bambini a cui è stato detto un segreto, camminiamo senza mai guardare avanti, ma sempre a sinistra e a destra, così da poter scorgere le attrezzature nei garage dei cirotani. Matteo ce l’aveva detto che in Calabria, e soprattutto in quella particolare zona, il vino in casa lo fanno tutti. Lo confermava lo stesso De Franco nella sua Voce di Porthos 37: “Da sempre, la prima cosa che ti chiedono a Cirò è a che punto sei con la vigna. La domanda sulla famiglia viene sempre dopo. Qui il tempo degli uomini è scandito dai ritmi del vigneto”. Stupiti, ci lasciamo trascinare dal vento continuo tra i vicoli di quel paese labirintico; ogni angolo, anche il più decadente, ci cattura. Il vento a Cirò è costante, violento, e ce ne siamo accorti ancor di più quando Francesco ci ha portati a vedere le sue vigne. «Riesce sempre a darmi molta energia, il vento» – continua, mentre noi stentiamo a restare in piedi – «e quando studiavo fuori, ogni volta che tornavo salivo qui su per lasciarmi sopraffare».
Alle sue parole, in quei giorni, spesso seguiva un lungo silenzio, come se dovessimo metabolizzare non solo una frase o un concetto, ma un territorio intero. Lo stesso silenzio ci coglie quando la sera del nostro arrivo lo sentiamo parlare con Matteo, oppure quando, il giorno dopo, è impegnato con Cataldo Calabretta in una conversazione schietta e appassionante. Mangiamo nella luminosa cucina di Francesco, davanti a noi il mare in lontananza e l’aria, sempre l’aria che scuote i rami dell’ulivo davanti alla finestra. Il nostro ospite ci spiega: «riesco a gestire le annate attraverso la macerazione, ma è molto difficile. Con un giorno in più di contatto il Gaglioppo cambia totalmente, praticamente per stare tranquillo devi dormire in cantina. Allo stesso tempo però è un vino che sta in piedi sempre, perché il tannino crea uno scheletro e, anche con un contatto relativamente breve, si forma un’impalcatura solida che non distruggi». Poi passiamo a indagare gli aspetti culturali: «Ciò che mi interessa di più è il discorso sulla comunità, sul rispetto per la terra, il ruolo sociale del vino. Le condizioni che ci sono in questa valle permettono a tutti di coltivare quantomeno in biologico. Mi chiedo perché invece a molti risulti così difficile…».

sardella low

Siamo al terzo caffè ma il retrogusto della famosa sardella locale mangiata poco prima continua a darci conforto, “simbiosi di mare e di terra, d’acqua e di sole”1. Cataldo Calabretta chiude la conversazione rimarcando l’autorevolezza del Cirò che, purtroppo però, non sempre paga: «Sempre più, oggi, si apprezzano prodotti immediati, con una storia simpatica e un profilo accattivante. I nostri vini non possono essere così. Sono profondi, hanno bisogno di tempo e di pazienza e questo è contrario all’attuale andamento del mercato. Oggi si parla tanto, purtroppo la narrazione va oltre la via del vino».

_________________
1Espressione letta nel settore riservato alle specialità gastronomiche locali del delizioso Museo di Cirò intitolato a Luigi Lilio

Come sono felice che al mio cuore sia dato di provare la gioia semplice e innocente dell’uomo che porta a tavola un cavolo da lui coltivato, e allora gode non solo del cavolo, ma anche di tutte le buone giornate che rivivono in quell’istante, il bel mattino in cui lo piantò e le dolci sere in cui lo annaffiava e si compiaceva di osservarne la crescita.
Johann Wolfang von Goethe, I dolori del giovane Werther, traduzione di Gemma De Sanctis, Giunti Editore, Firenze 2009.

La simbiosi viscerale e primitiva tra la natura e la gente di Cirò ci lascia smarriti. È una sensazione provata più volte nei giorni trascorsi in Calabria e che ci rimanda con la mente a immagini e testi del romanticismo tedesco: prima con le parole degli agricoltori, sempre infervorati e sorridenti, poi con la foschia della valle in cui ci immergiamo come in un quadro di Caspar David Friedrich. Un sentimento simile, vicino alla soggezione, ci sorprende ogni volta che i nostri occhi incrociano i loro, sempre così vivi, lieti nonostante una terra complessa da lavorare e verso la quale nutrono una devozione lampante. Nell’estate del 1926, in una lettera rimasta senza risposta, Marina Cvetaeva scrisse a Rilke: «L’amore vive di parole e muore di azioni». Se da qualche parte questa frase è vera, non lo è a Cirò, dove l’amore per il vino vive di azioni e si tramuta in lavoro duro, come abbiamo capito arrivati nella vigna della famiglia Fezzigna, nel comune di Umbriatico, appena fuori Cirò. Francesco Fezzigna, suo padre e Francesco De Franco si fermano davanti a ogni pianta, parlano in dialetto e restano svariati minuti a immaginare l’evoluzione delle viti, la loro storia. Hanno sia la passione di chi sta parlando di calcio sia l’educazione e la sensibilità di chi discorre di letteratura e di vita, a metà tra l’assoluta serietà, a tratti severa, e il gioco, come quando staccano un fiore giallo e ne succhiano lo stelo.

Fezzigna2

Passiamo anche per il frutteto dove è contenuto anche l’orto, il vento splendido e quella luce possono esserci solo in Calabria. Mentre godiamo di tutto questo, Fezzigna padre ci guarda, come se intuisse i nostri pensieri, e ci dice con una semplicità solenne: «Immaginate cos’è cenare qui d’estate», indicando un prato sotto un pino maestoso. Poi continua: «Se passo la giornata in campagna, qualcosa a casa la devo riportare. Se rientro senza neanche un ortaggio mi sento triste, mi sembra di non aver fatto il mio dovere». Agricoltori prima che vignaioli, donne e uomini che vivono interamente il loro territorio.
Lo stesso luogo a volte tanto sfavorevole che sembra respingere chi lo serve. Come capita a Gianni Lonetti, proprietario di alcune vigne a Melissa lasciategli dai suoi genitori in un terreno ripido, ostile, e per questo amatissimo. «Il mondo è precisamente questo: un obbligo di spartizione», scrive Roland Barthes. È qualcosa che Gianni ha capito da tempo: cammina nell’argilla e ci mostra la terra scavata dai cinghiali, sempre puntuali a frugare, divorare e spartire con lui il frutto della fatica. Anche l’acqua è capace di fare molti danni, e arrancando ci chiediamo come possa sopportare tutto questo. La risposta la troviamo nelle espressioni di quel ragazzo dagli occhi buoni, che dopo ogni frase annuisce e sorride come se volesse dirci di stare tranquilli, di non preoccuparci per lui, perché lui ce la fa e tutta quella fatica è sopportabile.

Ai piedi della vigna, oltre gli ulivi, c’è un pino gigantesco, tagliato in cima, il punto di riferimento per Gianni quando si trova a valle e cerca le sue vigne con lo sguardo. Ci racconta che proprio laggiù, nel 1949, i contadini della zona hanno provato a spartirsi i terreni lasciati incolti dai proprietari terrieri e per questo sono stati duramente colpiti. È il famoso eccidio di Fragalà, quando la polizia uccise due uomini e una donna e ferì altre quindici persone colpendole alle spalle. Ci viene il dubbio che “l’obbligo di spartizione” di cui parla Barthes non valga proprio per tutte le persone, o almeno non in tutte le epoche.
A Cirò abbiamo avuto la possibilità di assaggiare i vini di alcuni produttori della zona che hanno deciso di vinificare e imbottigliare il Gaglioppo delle singole vigne, ognuna a rappresentare un pezzo di quel luogo così variegato. Hanno raccolto l’uva a parità di maturazione fenolica e tecnologica, a volte in momenti diversi, e vinificato allo stesso modo. Da un anno si riuniscono, assaggiano quelle prove, s’interrogano e condividono ciò che sentono, ciò che imparano; sono mossi dalla volontà di conoscere meglio il loro territorio e fare ricerca. Ecco, dei giorni a Cirò ci è rimasta l’idea di comunità. La collaborazione è il motore di un posto geograficamente lontano dal resto. Gli uomini e le donne che abbiamo conosciuto riescono a superare le peculiarità degli individui, dei singoli vini, per confluire in un intreccio costante, vitale.