Verticale di Fiano di Avellino Vadiaperti

Vadiaperti, ovvero la fierezza della tradizione. La cantina di Montefredane (AV), di proprietà della famiglia Troisi è una delle aziende storiche d’Irpinia, anche se questa definizione può aprire un controsenso visto che ha cominciato ad imbottigliare solo nel 1984.

Ma la storia di questa terra, come un po’ di tutto il nostro Sud, è antica e recente al tempo stesso; una storia di antiche radici e di lunghi oblii; di gemme preziose sepolte spesso sotto pesanti strati di polvere e detriti, generati dal sottosviluppo, dallo sfruttamento, dall’incapacità di tanti di tenere alta la testa, mostrare con fierezza le proprie mani segnate dalla fatica contadina e il proprio vero volto, nei cui occhi brilla la luce dell’antica sapienza italica e poi greco-romana. Gemme preziose riportate alla luce dalla tenacia, la determinazione, la costanza, condite anche da un pizzico di folle genialità, di qualcuno dei figli di queste terre, che ha avuto la forza e la lungimiranza di credere innanzitutto in se stesso e poi nel proprio lavoro, nella propria tradizione, ridando corpo e vita alla sua storia, che la terra aveva custodito, preservandola dagli artigli di chi, col miraggio di portare sviluppo, l’avrebbe dissipata al vento, disperdendola.
Uno di questi uomini è stato Antonio Troisi, “Il Professore”, che ebbe la forza e la capacità di sfuggire alle consuetudini consolidate, aprendo nuove strade a tutta l’Irpinia, non solo vitivinicola.
Le consuetudini di un tessuto di piccoli viticoltori che, quando non conferivano all’unica grande cantina della zona, la sempre benemerita “Mastroberardino” di Atripalda, vinificavano in proprio, artigianalmente, commercializzando il vino sfuso sul mercato locale.
Dalla vendemmia 1984, “il Professore” si mise in testa quest’idea, che ai più parve anche un po’ balorda, di vinificare ed imbottigliare in proprio, conscio del fatto che quelle vigne, in contrada Vadiaperti a Montefredane, con la loro esposizione prevalente a sud-est, con la natura tufaceo-vulcanica dei terreni, con le forti escursioni termiche anche estive, potessero esprimere appieno il carattere, l’acutezza, la profondità di questa terra.
Tutta questa storia si è dispiegata a noi in una sera, quando colui che ha raccolto il testimone del “Professore”, il figlio Raffaele, ha voluto dimostrare tutto il suo affetto per la figura e per il lavoro di suo padre, ma anche per la sua terra, aprendo lo scrigno della sua cantina e rivelando i tesori che vi erano custoditi.
Il 21 marzo scorso Raffaele Troisi, con la collaborazione di 2 figure chiave del presente e del futuro della vitivinicoltura irpina, Lello Del Franco e Paolo De Cristofaro, ha dato vita a un evento probabilmente unico in Irpinia: una “verticale” di Fiano di Avellino Vadiaperti con 11 annate che ci hanno riportato indietro fino al 1988. La degustazione è stata allestita con la professionalità che è consueta ai personaggi citati, ma anche con la necessaria (e questa non consueta) leggerezza: le annate non sono state presentate in sequenza ascendente, come si è soliti fare, ma alla cieca e in ordine casuale, così da liberare le percezioni e penetrare appieno i segreti di questi vini che, va detto, non erano stati realizzati per essere invecchiati, bensì con il solo scopo di esprimere compiutamente il loro terroir.
L’emozione, condita da qualche legittimo timore, di Raffaele era palese, ma gli esiti sono stati senz’altro sorprendenti. La varietà di espressione di questi 11 vini, la loro ricchezza di sfumature, evidente risultato di un processo di profonda evoluzione, sostenuto comunque dal nerbo di acidità e mineralità in varia misura sempre presenti, hanno dato luogo a stimoli e sensazioni che solo un grande vitigno può suscitare.

Certo tra i vini delle annate presentate, alcuni ci hanno colpito di più: il 1990, ad esempio, con un attacco di sentori balsamici e di mandorle ed un prosieguo di spezie, chiodi di garofano in particolare, mentre al palato l’acidità risultava leggermente attenuata ma in equilibrio con la mineralità ed il finale di mandorla amara restava nella memoria; il ’95, di grande carattere, con note di crosta di pane e arancia candita, una sapidità importante, che impegnava a lungo il palato; il ’94, più sottile dei precedenti, ma molto elegante, equilibrato e persistente, con note di pane, di agrumi ed una leggera nota animale; il ’92 soprattutto, un vino veramente notevole, di grande equilibrio e personalità, con una nota di brodo in partenza, che poi lasciava spazio a toni di agrumi e frutta secca, un paradigmatico equilibrio tra acidità e sapidità e una lieve nota amara che contribuiva ad impegnare tutta intera la cavità palatale.
Anche le annate più recenti hanno rivelato aspetti interessanti, la 2004 in particolare, che univa alla giovanile florealità, una sapidità la cui profondità e persistenza lasciavano presagire uno sviluppo meritevole di attenzione.
In ogni caso, la sensazione finale e complessiva che ha dominato i nostri pensieri dopo questa verticale è stata che il Fiano è un vitigno importante, sicuramente in grado, in Irpinia, di dare vini di complessità e struttura tali da consentire un’evoluzione profonda e durevole, purchè vinificato senza acrobazie enologiche, ma con attenzione alle peculiarità del vitigno e del territorio.