Dialogo tra due enofili impenitenti

C – Gran bella domanda. E ti rispondo così: il meno possibile. Anzi, già che ci siamo, vediamo di essere ancora più precisi. Come giustamente precisava in un articolo qualche tempo fa, un noto enologo italiano, il prodotto naturale (perché definitivo) della fermentazione del mosto d’uva è, propriamente, l’aceto e non il vino. Il vino, a suo dire, sarebbe soltanto un intermedio stadio evolutivo tra i due, pura espressione di un’attività, o meglio di un’ingerenza, meramente antropica. Questa è una consapevolezza fondamentale. Il vino esiste, è bene tenerlo sempre presente, perché, come tu giustamente sottolinei, c’è, da sempre, la mano dell’uomo dietro. Rappresenta una grande tradizione, che si perpetua da migliaia di anni, ma non si può negare che il vino è stato certamente anche innovazione. Di conoscenze, di tecniche, di uomini. Ogni società e ogni tempo hanno dato al vino qualcosa di particolare, espressione del loro grado di civiltà. Ma è proprio per questo, forse, che il vino è “vita”. Speculare, direi, alla vita umana stessa che, nel connubio con la Madre Terra, lo ha generato. Citando Lapo Mazzei, produttore in Chianti Classico: “È qualcosa a metà strada tra la vita vegetale e quella animale”. Alla Natura, alla pianta della vite, non importa un accidente del vino. Le interessano soltanto i semi, ossia la sua conservazione genetica. Quindi la mano dell’uomo è indispensabile, dietro al vino. Ho l’impressione però, che la nostra società (apparentemente progredita ed evoluta) abbia calcato un po’ la mano: che l’Uomo, ci abbia messo troppo di suo, questa volta.
S – I vini naturali servono anche a questo. A dimostrare che quel connubio Uomo-Natura possa tranquillamente continuare ma con un atteggiamento da parte dell’uomo diverso da quello diffuso negli ultimi anni, ossia più rispettoso della materia prima di partenza. In questo senso i migliori produttori naturali – che sono ancora una minoranza – stanno restituendo al vino quella dignità di forma d’arte che gli spetta di diritto e che si è persa in larga misura. E l’arte è sempre espressione di libertà e di grande sofferenza interiore al tempo stesso. Ed è vero che il risultato è sempre qualcosa di suscettibile a mille interpretazioni. Ma all’artista questo non interessa. L’arte è un linguaggio universale. Quando è autentica, poiché frutto di ispirazione, lancia sempre un messaggio a chi vi si pone davanti, messaggio non sempre chiaro e univoco, né immediatamente riconoscibile in quanto tale. In questo senso, nel vino, come in tutte le forme d’arte, è presente, intrinsecamente, una valenza formativo-educativa: il vino inteso come bevanda universale e non come prodotto globale.
C – Un approccio corretto al vino implica sicuramente due importanti effetti culturali: un responsabile e consapevole consumo delle bevande alcooliche in generale, e un approccio gioiosamente sensoriale all’esistenza, in grado di contrastare la pericolosa decadenza dei sensi e farci assaporare il piacere di fermarsi. Tanto per fare un esempio, sono cresciuto in una famiglia in cui l’acqua a tavola non c’era, e ancora oggi il vino accompagna tutti i miei pasti giornalieri. Ebbene: come ho verificato sulla mia persona e su quella di tanti altri enofili, quello con l’alcol in generale è sempre stato un rapporto sano, all’insegna della maturità e del controllo. Chi ha l’abitudine di accompagnare i propri pasti giornalieri con il vino spesso registra un rapporto positivo, moderato e responsabile. Persone che non si ubriacano disperatamente, ma continuano ad apprezzare, con un giusto approccio, un bicchiere di un buon Rhum agricolo o un bas-Armagnac. Bere responsabilmente può essere un modo come un altro per riconoscere e rispettare la bellezza.
S – Il liquido odoroso, come tutte le forme d’arte, è fatto per conoscere e coltivare la bellezza. E bellezza significa anche equilibrio, rispetto delle proporzioni. Se riusciamo a percepire il vino sotto questa forma, riusciamo a comprenderlo molto meglio perché finisce per alimentarci spiritualmente. Praticando altre forme d’arte si riesce a cogliere la sua irregolarità, l’imprevedibilità, così come la trasversalità di cui il liquido odoroso è impregnato. Il vino restituisce un’esperienza di natura artistica e l’esercizio organolettico influenza il nostro approccio verso ciò che ci circonda, risollevandoci dall’assopimento sensoriale e riconsegnandoci a un prezioso stato di disponibilità verso il mondo.
C – Riprendo Ernst Fischer, filosofo tedesco scomparso nel 1972: «In una società in decadenza, l’Arte, se veritiera, deve riflettere la decadenza. E a meno che non voglia tradire la propria funzione sociale, l’Arte deve mostrare un mondo in grado di cambiare e aiutare essa stessa a cambiarlo». E che cos’è la decadenza se non la sopravvenuta incapacità di una società di vedere l’infinita bellezza che c’è nel mondo e di farsi dunque guidare da essa? L’imperversare, nell’ultimo ventennio, di vini omologati e sempre uguali a se stessi, tecnicamente impeccabili ed eppur privi di contenuti e di emozioni, non è forse una delle tante espressioni del declino culturale della società contemporanea?
S – Sicuramente, ma è in atto, anche se molti non se ne rendono conto, un grande processo di cambiamento, e una cosa è certa: in una visione globale olistica, che tenga conto dei bisogni naturali dell’uomo ma anche del suo fabbisogno edonistico e culturale, il vino e il suo corretto approccio, costituiscono, grazie al benessere e allo spirito euristico infusi, un interessante contributo all’evoluzione della qualità della vita e di conseguenza, del grado di civiltà di una società moderna, proiettata verso un futuro basato sempre più su valori come solidarietà, uguaglianza, comunità.