Pollenzo

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M: Quello che hai appena puntualizzato, Nicola, dell’ebbrezza come concetto prezioso, mi ricorda un dialogo di un anno e mezzo fa con Eva Cantarella, a proposito dei greci che bevevano vino non allungato con l’acqua; questo viene spesso considerato un indizio sulla diversa modalità di produzione, per cui serviva una correzione sul momento. In quella discussione gli sciiti – considerati i barbari in quel contesto – bevevano il vino puro che portava immediatamente all’ubriachezza. Questa costanza del tempo dell’ebbrezza che libera l’anima senza arrivare all’ubriachezza mi sembra un paradigma prezioso della nostra storia. E lo dico come introduzione alla mia ultima domanda: come si concilia l’idea di benessere legata al vino con la sua natura alcolica? Mi piaceva questa idea dell’ebbrezza che è come un magnete che tira su dei pesi diversi dalla coscienza, anche dei materiali, delle densità diverse.

S: Eh sì, non c’è niente da fare: l’alcol è un convoglio straordinario. È il primo veleno. E l’acidità, secondo elemento che rende il vino una bevanda così speciale, ha a che fare con le pareti dello stomaco. È la prima cosa che dico: non percepire – come erroneamente stanno facendo alcuni – il ritorno al vino come alimento. Quando il vino è stato alimento fisiologico l’umanità se la passava male: era durante le guerre (perché non si poteva bere l’acqua che era avvelenata dai cadaveri), durante le pestilenze e voi immaginate cosa significa dover bere vino perché non puoi bere l’acqua. Come diceva Nicola, l’acqua è la sostanza più importante. Io la uso nel vino perché bere l’acqua con la quale si sciacquano i bicchieri durante una degustazione, può essere veicolo d’informazione. Una delle cose che cerco di ricordare alle persone quando si avvicinano al vino è: lui non sa di essere colore, odore, sapore, sensazioni finali; dovremmo ricordarcelo, siamo noi a leggerlo così; lui è nudo di fronte a noi, aspetta una persona sensibile e solo in questo modo si comincia ad avere una relazione sana col vino.

N: Aggiungo solo un altro aspetto: dal punto di vista fenomenologico, completamente aderente al reale, i sensi non esistono, esiste un corpo senziente unico che poi viene scomposto in sensi come quando gustiamo vino e contemporaneamente vediamo, ascoltiamo, percepiamo. Questo sentire unico incontra un altro ente unico, questo intreccio crea differenze di percorso per cui io sono io e il vino è il vino, ma quando il vino entra dentro di me, io mi mescolo con lui e ognuno mantiene la memoria di sé. Quando si dice: questo vino è diverso da sei mesi fa, fenomenologicamente non ha senso, perché chi può essere diverso tu o il vino? Non c’è modo di saperlo. È la relazione che è differente.

S: Pensate come, grazie all’effetto dell’alcol, le aspettative si modificano. Questo permette di aprire dei piani percettivi diversi. Io dico sempre alle persone che il cambiamento è reciproco: ci sono molte cose di noi che si modificano. Quando poi devi fare un racconto della degustazione, per scrivere una guida, queste cose le devi prendere in considerazione. Ecco perché non si possono assaggiare troppi vini.

M: Molte di queste persone, che nel 1997 non erano ancora nate, non hanno memoria dei cambiamenti di cui abbiamo parlato, e vedono questo ritorno al vino come una bevanda che fa parte della dieta: si presenta come alimento e quindi viene considerato più facile da contestualizzare. Tutti darebbero un giudizio sul pane che hanno mangiato, ma sul vino, ancora dopo trent’anni, c’è molta resistenza. Questo può aiutare la comprensione, ma anche, purtroppo, far sbagliare di nuovo l’approccio.

S: Il vino è un alimento spirituale, di questo parlava Nicola, di questo mescolarsi tra il vino e la persona.

M: Quindi questo concetto di benessere riguarda l’incontro con la sfera sensoriale e la sfera che riguarda l’intelligenza e la cultura di una persona. Quando ne parliamo in riferimento al corpo queste parole ci ingannano.

S: Ma tu credi davvero che il corpo e la mente siano scollegate?

M: Credo solo che è l’anima che, nel bene e nel male, ha la possibilità di prestare attenzione all’alcol che introduciamo nel nostro corpo. Non credo siano entità distinte, però il piacere fisico di una bevanda alcolica nel corpo si vede subito, porta all’ubriachezza.

S: Infatti il corpo risponde. È importante insegnare l’ascolto di se stessi, concentrandosi su quello che il vino fa dentro di noi, il percorso che fa dopo che è stato deglutito; cominciate a sentire quando passa nello stomaco, quando comincia ad avere degli effetti. Sentite come state. È sorprendente vedere il cambiamento nelle persone che prima non erano abituate ad ascoltarsi.

M: L’estremo limite era la consistenza in bocca…

S: Invece no, il vino fa un viaggio ancora lungo dentro di noi.