Degustazione di Gravner al Circolo dei Saggi Bevitori di Asolo

 

 

 

“… le parole servano alle idee, ma non le idee alle parole”
Alessandro Verri, Programma linguistico degli illuministi milanesi

 

Abbiamo riportato quanto più possibile la dinamica di dialogo e scambio originata dalla degustazione, durante la quale tutti hanno avuto la possibilità di esprimere, attraverso il vino, se stessi e i propri sentimenti. È la modalità che preferiamo e che si nutre della libertà di associare le sensazioni ai ricordi e alle immagini, al di là di filtri, didascalie e costrizioni. Ospite dell’evento Vittorio “Gianni” Capovilla. In sua compagnia abbiamo degustato le due memorabili grappe di vinacce di Breg e di Ribolla e ci ha consegnato la sua esperienza di degustatore e di amico personale di Josko Gravner.

a cura di matteo gallello

 

Sandro Sangiorgi Mi sembra molto importante poter condividere questi sei vini di Gravner che da un lato non si trovano facilmente e dall’altro hanno un costo considerevole, due condizioni che di solito scoraggiano la persona consumatore. Dunque sin da quando sono stato “ingaggiato”, ho pensato che fosse un’occasione da non perdere.
Un episodio che rende bene quanto possa essere significativo esserci è l’idea, sorta proprio qui ad Asolo, di dare il titolo al libro “L’invenzione della gioia”, espressione estrapolata da una poesia di Borges. Ricordo ancora la telefonata che feci a una persona, prima che iniziasse la degustazione dei vini di Valentini, qualche anno fa.
Un’altra volta, sempre qui, stavo leggendo la raccolta di poesie “Sale” di Wislawa Szymborska e venni colpito da “Conversazione con una pietra” che si trova anche su Porthos 26 e che può essere considerata il vero manifesto dei consumatori dedicato ai vini naturali perché riguarda la comprensione del vino, l’assaggio, la sensorialità.
Il messaggio di stasera è quello di concentrarci sui vini e su di noi provando, se possibile, a tenere aperta una porta che, di solito, chi è abituato a degustare tiene chiusa per varie ragioni; perché si potrebbe scoprire qualcosa che non vogliamo sapere di quel che sentiamo, alla quale non siamo abituati e quindi ci proteggiamo approcciandoci con uno schema ben preciso, che ci rassicura anche nella gestualità e nella modalità dell’assaggio. Si percorrono strade conosciute per evitare sorprese che potrebbero destabilizzare. La persona consumatore dovrebbe incamminarsi verso un altro percorso: svegliare quella parte assopita e concentrarsi sugli effetti sensoriali, non solo fisiologici.
Invito sempre a sentire quel che il vino offre, senza richiedergli nulla. La prova di stasera è importante, perché non degustiamo alla cieca e abbiamo un totem della produzione del vino italiano. Gravner per i produttori friulani è sicuramente quello che ha raccolto anche più attenzioni internazionali, sarà la sua altezza, il suo physique du rôle… e fortunatamente, lo dico con affetto, non è presente e quindi non abbiamo neanche un dovere di accoglienza e di ospitalità. Degustare con i produttori è sempre un po’ problematico perché, per quanto ci possa essere libertà di espressione, non emerge mai la battuta fulminante, il commento bruciante.
Dunque proviamo a non cercare, comportiamoci da viaggiatori, non da turisti; questi ultimi vanno in un posto cercando quel che hanno lasciato, mentre il viaggiatore non cerca nulla, osserva e si gode quello che trova.
Ho scelto di non rivelare le annate nel programma per far sì che le persone non fossero condizionate e potessero scoprire solo stasera i vini e le relative annate. Serviremo, in ordine, la Ribolla nelle versioni 2002, 2004, 2005 e poi i tre Breg 1998, 2004, 2005; quest’ultimo vino è frutto dell’assemblaggio dei tanti vitigni contenuti in un vigneto in collina. Un tempo il nome Breg era preceduto dal termine Vinograd, e insieme significano infatti “vigneto in pendio”. Cinque vini sono vinificati in anfora tranne il Breg 1998. Leggerò due poesie che fanno nascere una forte corrispondenza con la personalità tormentata di Josko; sono di un poeta molto caro a questo territorio, Andrea Zanzotto. Le varie fasi professionali vissute da Gravner si collegano alla costante ricerca della verità che magari in un momento gli era parso di raggiungere, accorgendosi successivamente che non potesse essere il traguardo quanto piuttosto il senso stesso della sua avventura di produttore. Il cammino tortuoso del continuo interrogarsi, la volontà di ricredersi, mai per convenienza e al di là delle mode, sono caratteristiche peculiari di Gravner.
Le poesie che leggerò appartengono a due momenti distinti della vita di Zanzotto; quello giovanile, appena dopo la Seconda Guerra Mondiale, e uno più maturo, gli anni ottanta. In questa scelta c’è la ricerca di un parallelismo tra i due interpreti: se Josko guardasse indietro, forse non sarebbe più in grado di riconoscere come propri, razionalmente, alcuni vini che ha amato; ciò non significa che non provi vicinanza, anzi secondo me li ama proprio perché figli di un tempo diverso. Così come credo che Zanzotto ami questa poesia straordinaria che mi lega al Veneto, questa regione di acque straordinarie, di vini generosi e di persone dalla sete atavica… Per fortuna! S’intitola “Fiume all’alba”.

 

Fiume all’alba
acqua infeconda tenebrosa e lieve
non rapirmi la vista
non le cose che temo
e per cui vivo

 

Acqua inconsistente acqua incompiuta
che odori di larva e trapassi
che odori di menta e già t’ignoro
acqua lucciola inquieta ai miei piedi

 

da digitate logge
da fiori troppo amati ti disancori
t’inclini e voli
oltre il Montello e di caro acerbo volto
perch’io dispero della primavera.

 

Dovrebbe essere ascoltata a lungo, letta e riletta, perché c’è il segreto del territorio che ci ospita.
La poesia giovanile è meno attinente di quanto lo sia quella che mi appresto a leggere, tremenda, tragica, drammatica e bellissima proprio per questi motivi.
Appartiene a me, a Gravner, a molte persone tormentate, s’intitola “Orizzonti”.

 

Stanco di non allinearmi
verso l’orizzontalità – e con odio
dell’irrequietezza dei colli,
stanco forse di avervi insultati
accettando che diveniste fantasmi,
o genitori:
che pressoché dissonate, che state fuori
da ogni contaminazione o sospetto
o lecca-lecca di tempo,
fuori dagli effetti speciali
e dai metabolismi erratici
del Tutto. Non avete bisogno
del mio sostegno, del mio
ricordo.
Non esiste bisogno né critica del bisogno.
Siamo, anche se io stento, fatti di orizzonte,
disadattati a questo tipo di mondo.
Ma in linea di massima convinti

(costituendo chissà quale frase)
di essere,
di meritarci di essere, un bell’essere,
di avere in pugno, chissà come,
ogni carenza e rastrematura
infida e terrificante

dell’essere.

 

Per spiegare il vino dobbiamo interrogare noi stessi. La parola, la capacità di descrivere rappresenta un atto educativo. È importante esprimere quel che nasce dentro, attraverso la forza della parola e più vi sembra improbabile quel che sentite e maggiore è la probabilità che abbiate ragione, la vostra ragione. Dobbiamo superare la tipica situazione nella quale la guida dice quel che si deve percepire.

Gianpi diceva: «Vedrai, ci sono persone che hanno molti dubbi sui vini di Gravner, magari vogliono capire meglio per quale motivo non li amano oppure vorrebbero provare a capire se possono essere amati». Credo che Gravner sia uno dei cinque produttori italiani che provoca più dubbi e questo effetto lo si nota benissimo: da un certo punto di vista i suoi prodotti creano più problemi di quelli di Valentini, per parlare di uno che molti di voi hanno condiviso qui con me.

Degustatore 1Mi sembrano vini un po’ altezzosi. Ho provato una simpatia immediata ma mi rendo conto che c’è qualcosa di complesso, difficile.

S.Una cosa è essere complessi e un’altra è non essere amichevoli.

Deg. 1Diciamo che non sono amichevoli.

S.Hai usato un termine molto importante che è “altezzoso”. Ogni volta che bevo i vini di Gravner penso a Radikon, ogni volta che bevo quelli di Radikon, penso a Gravner. È come se attraverso i ricordi io li metta sempre l’uno vicino all’altro. Il senso non è tanto nell’amichevolezza, perché ognuno la gestisce

come crede, però certo sono altezzosi. Hanno una chiusura molto forte, rigida. Come se facessero selezione.

Deg. 2Per me sono familiari anche se è la prima volta che degusto i vini di questo produttore. Mi ricorda il luogo dove si conservano le provviste, nel quale c’era anche un odore di vino e aceto. Invitano a riassaggiare, c’è qualcosa che mi apre la memoria ed è una piacevole sensazione.

S.È una bella differenza: lei che non li ha mai bevuti, sente l’aspetto familiare del luogo dove venivano conservate le cose e anche una punta di aceto. Questi vini hanno giustamente una volatile intensa e un’articolazione seriosa, quasi “pachidermica”. E qui, secondo me, si nota la differenza con Radikon che produce dei vini con una spinta più leggiadra. Questo aspetto mi permette di introdurvi alla scelta della macerazione sulle bucce.
Gravner a metà degli anni novanta vive una grande crisi, si accorge che tutto quel che gli avevano raccontato i tecnici, sui contenitori in legno e i lieviti, non coincideva con quel che sentiva lui, non percepiva più la “radice”, la base dalla quale era cresciuto. Se negli anni ottanta il vino bianco era caratterizzato dalla vinificazione in acciaio, malolattica spesso non svolta, grande freschezza e contemporaneamente capacità di conservazione ma non di evoluzione, nel decennio successivo invece il legno diventa caratterizzante. Proprio in quel momento Josko ha avuto difficoltà, nel tentativo di recuperare l’essenza della Ribolla in particolare, ha scoperto che probabilmente la strada era la macerazione sulle bucce. E da quel momento in molti lo hanno seguito.
Sentire l’odore di casa in questi vini scioglie quell’aspetto altezzoso che aveva percepito l’altra signora. Chi ha ragione? Entrambe.
Si può dire che Gravner non fa niente per essere accattivante, questo non significa non percepire il calore domestico, l’origine, le radici. Mentre durante gli anni ottanta in Friuli, nel Collio, si cercava a tutti i costi di sfruttare la varietalità, era dunque il periodo in cui esplodevano i Sauvignon di Venica e di Villa Russiz, Josko non sognava nemmeno di selezionare i lieviti che estraessero un determinato profumo. Un’aspetto importante che Gravner ha portato attraverso due generazioni è il tocco, nonostante la struttura.
Lei che li trova altezzosi comunque è attratta ed è costante il richiamo al bicchiere, lei invece che li trova familiari è magnetizzata e continua a cercarli. Più che di piacere, si può parlare di attrazione. Come in una tela, si rimane avvolti. La Ribolla riporta sull’etichetta 12.5 gradi alcolici, sembra siano di più. È evidente che nel 2004 intervenga, in aiuto, l’acidità.

Deg. 3Il 2002 e il 2005 si somigliano. C’è una continuità. Mentre nel secondo l’acidità è un po’ slegata.

Deg. 4Assaggiandoli mi colpisce, rispetto agli altri bianchi macerativi, l’eleganza e la sapidità incredibile.All’inizio può essere un po’ disagevole. Poi più li bevi e più li berresti.

S.Per adesso l’intonazione dell’assaggio è positiva. Qualcuno vuole mettere sul piatto delle osservazioni meno positive, critiche? Sentite in questi vini qualche carenza?

Deg. 5Ho un passato da sommelier A.I.S. per cui ho una certa concezione del vino e faccio veramente fatica. Trovo che la parte acida sia predominante: anche io ho ricordo dei vini che bevevo da piccolo, ma questa nota acetica è eccessiva.

S.Perché mettere le mani avanti, “avvertendo” del fatto che tu sia diplomato all’A.I.S. ?

Deg. 5Hai ragione. Sicuramente è un gusto personale che mi porta a fare questo tipo di valutazione in questo momento.

S.Mi sembra comunque una dichiarazione credibile. Hai detto che in questo vino c’è una volatile quasi insopportabile: è un argomento forte, importante. Io la sento ma non tanto durante, quanto nella memoria dell’assaggio, nel momento in cui la bocca si vuota, rimane un senso di asciutto non necessariamente piacevole.

Deg. 6Sono d’accordo con te. L’ho definita “sensazione di argilla”. Ed è la cosa che mi resta dopo aver bevuto il vino e non è piacevole.

S.Non mi sembra abbia a che fare con l’argilla dell’anfora. La volatile ha il potere di rendere al vino una leggerezza, una bella dinamica che, a posteriori, asciuga la mucosa.

Deg. 7Avevo la sensazione che mi rimanesse qualcosa sui denti e sulle pareti della bocca, come un velo. Quel che mi ha colpito è stata l’evoluzione del vino in bocca, una sensazione diversa dietro l’altra. Dopo la deglutizione continua a parlare, ha mille sfaccettature.

Deg. 8 Chissà se lo avessi assaggiato alla cieca. Mi ha messo in crisi. Ci sono aspetti che lo riconducono a un rosso.

S.Questi vini andrebbero degustati nei calici neri. Gravner sostiene che il vino sia bianco e l’ha detto prima che iniziasse a produrli con la macerazione sulle bucce. Non cerca il bianco fine a se stesso ma creativo.

Deg. 9Penso sia una questione di disabitudine bere questo tipo di vino e quindi ti porta a fare considerazioni completamente diverse da quelle alle quali si è abituati.

S.Anche tu hai la sensazione che la volatile asciughi un po’?

Deg. 10Secondo me l’antipatia che può generare questo vino deriva dalla mancanza di corrispondenza tra il colore e la sensazione che ti aspetti all’assaggio che manca completamente di morbidezza. Secondo me bisogna concedergli una seconda possibilità, che non si fermi al primo assaggio perché dopo ti prende, ti rapisce, diventa più sapido. È un po’ l’ effetto che mi ha fatto la Vernaccia di Oristano: mi aspettavo morbidezza e invece aveva una forte impronta ossidativa.

S.Questo vino vive grazie a un rapporto più dialettico e disinvolto con l’ossigeno.

Deg. 11È la prima volta che sento vini così perfetti. Questa perfezione è l’elemento accattivante ed è la prima volta che li sento così puliti, netti. La volatile è assolutamente equilibrata e i profumi sono veicolati lentamente. Nel primo sento al naso una sensazione di miele, di fiori e poi nel momento in cui si assaggia è secco ma questo passaggio è estremamente equilibrato. Non so da cosa derivi questa qualità eccezionale perché pur facendosi sentire questa ricchezza olfattiva poi porta un equilibrio più fine. Non cede alla dolcezza. Vorrei mi spiegassi in cosa consiste l’effetto delle anfore.

S.L’anfora ha il bellissimo potere di far decantare i vini senza spogliarli, di farli fermentare in modo progressivo. Inoltre sembra sia un ambiente molto favorevole alla fermentazione e soprattutto alla stagionatura successiva. Un luogo materno, potrebbe essere questo il segreto. Ma a questa domanda risponderebbe meglio il produttore.
Gravner è sempre stato un perfezionista, le ragioni tecniche che lo hanno portato attraverso le varie fasi hanno a che fare sempre con una ricerca incredibile di pulizia al punto che, per questo motivo, non riesco ad amare i suoi vini e su di me entra in gioco l’aspetto affettivo. La Ribolla consegna un’idea di materialità che si percepisce molto bene masticando l’uva, magari nell’atmosfera densa del Collio, una delle zone microclimaticamente più calde del settentrione. Si raggiungono livelli importanti di maturazione e te ne accorgi dal colore del cielo. In realtà Gravner ha provato a sottrarre, uno sforzo ammirevole, per evitare alla Ribolla inutili grevità; purtroppo però ho la sensazione si sia perso qualcosa, il vino non riesce a toccarmi il cuore.
Ormai seguo Gravner e i suoi vini dal 1979, in particolare la Ribolla, e nonostante quelli di Radikon non abbiano questa pulizia ed eleganza, li sento più affettuosi, amorevoli. Faccio un paragone di carattere critico per farvi capire come la mia sia la posizione di chi non può dire niente di male, perché questi vini sono proprio buoni. Sono un appassionato di cinema e mi viene in mente la critica che Mereghetti fa a un regista che ha girato film molto belli: «C’è sempre la macchina da presa al posto giusto, sempre il movimento virtuoso, l’attenzione per i dettagli ma poi, alla fine, ti accorgi che manca il cuore».
Non è in discussione la partecipazione del regista o del produttore e non si può dire che Gravner non abbia cuore. Io parlo della manifestazione, a parità di zone e luoghi.

Deg. 11La domanda alla quale io cercavo risposta è riferita anche al tuo incipit che non ha tralasciato l’aspetto “totem”.

S.Ti senti influenzato dal mito oppure riesci a mantenere una distanza?

Deg. 11 –Non sono capace di distinguere il prodotto dal mito.

S.Credo che la suggestione sia una delle qualità fondamentali della sensibilità umana e di conseguenza bisogna avere la licenza di farsi suggestionare anche perché scomporre questo aspetto non è affatto semplice.