07 Apr Miniature di Aprile 2010
Il sito e la rivista, utenti diversi?
Riceviamo numerose testimonianze di persone che frequentano il nostro sito ma non hanno mai avuto tra le mani la rivista. Si complimentano per la struttura e l’impaginazione web, si lamentano della lentezza degli aggiornamenti, colgono l’originalità delle immagini e degli argomenti pubblicati online, ma alla fine non sanno davvero come è fatta o come si è trasformata la rivista. L’idea iniziale di www.porthos.it era, oltre ad avere un modo rapido di presentarci, affiancare a uno strumento di riflessione, quale è un periodico cartaceo, un mezzo più immediato di comunicazione con i lettori. Col tempo, penso di non essere riuscito nel mio intento. Se da un lato in Italia l’uso del computer e di internet non è ancora un patrimonio comune, dall’altro chi si rivolge al web vuole sollecitazioni a noi meno consuete; così si è generata una specie di spaccatura. Molti dei lettori della rivista non sanno che esiste il sito, o non navigano volentieri, per questo non è facile instaurare una comunicazione costante, meno male che c’è il telefono per le esigenze più stringenti… Allo stesso tempo, la gran parte degli utenti web ignora la sostanza tattile della rivista e l’invito a una lettura meno fugace che strenuamente sosteniamo. Convincere i primi a frequentare di più la rete non è facile, visto che per molti si tratta di un problema generazionale; la cosa che mi sembra davvero difficile è lavorare con i secondi. Sta a noi essere più bravi a seguire e ad arricchire il sito, così da creare un legame più continuo con la carta.
Gli agricoltori, non cambiano lavoro
O almeno non dovrebbero, nonostante le recenti imprese di vero e proprio marketing coltivate da alcuni produttori facciano pensare il contrario. Il punto non è la mala postura di molte persone che, eternamente insoddisfatte, fanno cose diverse da quelle che sanno fare – deve essere un modo come tanti per sentirsi vivi – quanto invece il legame che stringe in maniera definitiva alla terra una persona che vi si dedica. La crisi economica impone di riprogrammare la propria vita, richiede a persone avanti con gli anni di imparare un lavoro nuovo e di misurare la propria flessibilità intellettuale e di carattere. Ma un agricoltore che fa? Coltiva il frutto o la verdura che vanno di moda? Non sono sicuro che sia una buona idea, seppure alcune varietà vegetali non abbiano bisogno di molto tempo per cavarne reddito credibile; gli ultimi cinquant’anni di esasperanti monocolture hanno sperperato un patrimonio di varietà, non hanno risolto i problemi economici dell’agricoltura consegnando un quadro quanto meno incoerente, se non addirittura bipolare o schizofrenico. L’andirivieni di contributi all’impianto di nuove varietà, che dopo qualche anno si trasformano in contributi all’espianto, la dicono lunga sulla maniera di amministrare la terra che dovrebbe nutrirci. E a guadagnarci sono sempre i soliti noti, quelli che vivono sulla precarietà della situazione, sulla paura della nuova invasione di crittogamici e insetti, sulla costante assistenza e sull’eterna emergenza. Attenzione… di nuovo mi sto facendo deviare dal moralismo che contamina i miei pensieri, sono afflitto da un neoqualunquismo contadino. No, non volevo arrivare a questo. Mi piaceva segnalare che gli agricoltori, sebbene alle prese con alcune delle vicende sopracitate, continuano a non cambiare lavoro. Non possono permetterselo? Non saprebbero fare altro? Conosco contadini che aggiustano i motori più sofisticati, che scrivono meglio di tanti di noi o che suonano uno strumento così bene da potersi esibire in pubblico, solo per fare degli esempi. Forse, non cambiano lavoro perché non saprebbero spiegare a se stessi l’abbandono di un privilegio così grande, quello di essere quotidianamente così vicini alla nascita della vita. Un beneficio sconfinato che nessuna catastrofe può pareggiare.
Certo, se le persone che hanno un buon lavoro sentissero per intero anche il proprio privilegio, forse assisteremmo a una minore quantità di “fughe in avanti”, con successivi dolorosi ripensamenti. E poi questo è un periodo nel quale le persone le buttano fuori…